Non si sa molto di A Sagittariun: si sa giusto che è di Bristol e che nell’ultimo paio d’anni ha mostrato un talento estremamente variegato, con una buona quantità di EP in grado di spaziare tra il recupero dei suoni rave, il breakbeat e la techno dritta, per cui se si mette assieme il valore che ha già dimostrato con il mistero che lo avvolge è normale che ci avviciniamo al suo esordio sulla lunga distanza con un bel po’ di curiosità.
Il discorso è chiaro fin da subito, dai primi accordi di “Sundial”, la traccia di apertura: avendo a disposizione l’ora o poco più di un album anziché i pochi minuti di un EP, A Sagittariun sa che non deve catturarci subito e se la prende comoda, lasciando che ci acclimatiamo senza fretta nel mondo del suo album che, è evidentissimo, è pensato per essere ascoltato tutto insieme, come un’esperienza unica e coesa e non come un insieme di tracce.
Non facciamo a tempo ad arrivare alla seconda traccia, “Crystallization” (che vede la collaborazione di Skip McDonald della Sugarhill gang, già alla chitarra con gente come James Brown e Afrika Bambaataa), che già siamo rapiti dai pad morbidissimi e dall’atmosfera tecnologica e futuribile ma accogliente che pervade tutto il disco, e anche se la traccia successiva, “V4641 Sgr” la butta un po’ più sulla cassa in quattro non saltiamo certo sulla sedia, ma al massimo ci diamo a un po’ di pacato headbanging con la faccia soddisfatta, e continuiamo così, ancora più convinti, sui breaks di “Conquering Lions”, uno dei momenti migliori del disco.
I richiami al passato sono forti in tutto il resto dell’album, nella fattispecie al periodo in cui cominciava a farsi strada quella che poi prenderà il nome di “IDM” (definizione che ha fatto la fortuna di alcuni e che invece è disprezzatissima da altri), ma non crediate che “Dream ritual” sia un album di revival becero: al contrario, in tracce come “The Age Of Sin” e “Year Of The Ox”, che strizzano l’occhio all’electro, è evidente che ci troviamo di fronte a un artista che ha saputo interiorizzare molto della storia della techno e aggiungerci del suo, creando qualcosa che fa sicuramente la gioia di chi come chi scrive apprezza la musica di quel periodo ma che è perfettamente in grado di essere apprezzata anche come opera a sé.
D’altronde, quando ti trovi di fronte a una serie di tracce quasi perfetta come le tre di chiusura, “The Mind Has No Time”, “A Lucid Dream” e “Network Restoration”, da dove provengano le ispirazioni conta poco: quello che conta è la capacità di creare un intero mondo in cui perdersi, e questo ad A Sagittariun è riuscito benissimo.