Secondo appuntamento dedicato agli album di lusso in arrivo nei prossimi mesi. Altri quattro dischi che promettono scintille e guardano a un posizionamento importante tra le uscite dell’anno, si passa dalla house all’electro e pure qualcosa di più ardito. L’importante qui è il nome e il momento in cui agisce, al disco ci si arriva preparando bene l’attesa e #crumbs è qui per questo. I quattro album precedenti li trovate qui.
[title subtitle=”Tensnake: se la house supera ancora sé stessa”][/title]
Checché ne dicano i detrattori, sono almeno un paio d’anni che la house passa da momenti in cui proprio non riesci a immaginare come si possa fare di meglio, a momenti immediatamente successivi in cui ti prende di sorpresa e si supera ancora. E ogni volta a impressionare è la perfezione delle forme, la capacità di apparire placida e seducente con le parti cantate, la consistenza emozionale apportata dalle energie sempre un po’ soul, sempre magicamente deep. Oggi ripercorri i recenti colpacci di genere, scorri nomi come Art Department, Frivolous, Deniz Kurtel, T Williams, Maya Jane Coles, Mosca, Nina Kraviz, Julio Bashmore, fino all’ultima esplosione a nome Disclosure e pensi che più di così proprio non si può. Poi però ti ricordi che toh, un talentuccio qualunque di nome Tensnake ha pronto l’album di debutto e la tachicardia ti sale. Ti riascolti le due tracce già anticipate, “No Relief” e “Love Sublime”, e il cuore ti si scioglie come burro. Ripensi alle collaborazioni previste, dal redivivo Nile Rodgers a Jamie Lidell, da Jacques Lu Cont alla sempre fedele Fiora, e temi seriamente l’infarto. La house si fa pop, e qualcuno pensa ciò sia il male assoluto. Aspettiamo marzo e poi capiamo il vero male cos’è, ok?
[title subtitle=”Far pace col proprio genio, la sfida impossibile di Addison Groove”][/title]
Chiariamolo una volta per tutte: Addison Groove è un fottuto genio. Uno capace di acrobazie e invenzioni che il 90% dei colleghi lì fuori si sogna. Ed è un talento che, al contrario di quanto si possa pensare, è paurosamente versatile. Quando faceva dubstep come Headhunter tirò fuori “Nomad”, uno dei più ambiziosi e completi dischi del genere. Quando decise di andare oltre, fu uno dei più bravi a intuire le potenzialità dance del footwork e tracce come “Footcrab” o “Bad Things” fanno ancora oggi la loro porca figura. Ma soprattutto, quando lo senti live, lì sì che ti rendi conto quanto il ragazzo sia due o tre marce avanti. Il problema nel suo caso è proprio il suo irrefrenabile istinto a spingersi oltre: sperimentare per lui significa tirar fuori dei rompicapo cerebrali il cui effetto principale è vertigine e disorientamento. Il che per gli amanti della stimolazione intelligente è pura estasi, ma per quelli che cercano (anche) lo stimolo di stomaco la domanda rabbiosa è: “quando ti decidi a imprimere su album l’energia che generi nei tuoi set?”. E questa, caro Addison, capisci bene che è una domanda legittima e ancora senza risposta. Anche dopo l’ultimo EP, “BS3”, che mentalmente è ancora eroina pura, ma che sottende ancora una componente muscolare inesplosa, che spinge da sotto la superficie. Accendi anche quella e poi sarai la perfezione in terra.
[title subtitle=”La DFA resiste, Shit Robot insiste”][/title]
L’ultima volta su lunga distanza era stata nel 2010 con “From The Crudle To The Rave” e, se ben ricordate, la DFA stava vivendo un momento di trambusto interno, con James Murphy che annunciava il ritiro definitivo e i nomi storici della label che mostravano segni di stanchezza. Quella volta su Shit Robot la DFA fece all-in, smosse una campagna pubblicitaria irripetibile e scommesse tutto sulle sorti dell’album, che nel complesso non furono malvagie. Oggi la label newyorkese resiste ancora e propone sempre la sua mezza dozzina di nomi ogni anno (qualcuno finisce anche per incontrare una strana esaltazione della critica, vedi Factory Floor). Eppure le sicurezze di casa, le sole sulle quali ci si può fidare a occhi chiusi, son sempre le stesse. Per questo sarà interessante vedere cosa accadrà al nuovo Shit Robot e alla sua nota formula disco-nu-disco sempre ben infarcita di collaborazioni di livello. Stavolta ci saranno Luke Jenner dei Rapture, la certezza Nancy Whang, la coppia d’assi Museum of Love, la gustosa Holly Backler e Lidell Townsell col suo bagaglio storico. Più quel matto di Reggie Watts, che eppure in “We Got A Love” ha fatto la sua bella figura…
http://youtu.be/7fOixJ6Odu4
[title subtitle=”Max Cooper ha già vinto (ma non tenti colpi di coda)”][/title]
Di argomenti per stupirci Max Cooper ce ne aveva già dati in grandi quantità, ed erano tutti nella nostra intervista dell’anno scorso: dalla cura verso gli aspetti visivi al legame tra suono e studio scientifico, dall’importanza della semplicità a una proposta musicale sempre di altissimo livello, che alterna abilmente momenti di techno decisa e concreta a ispirazioni sentimentali che son pura emozione. Ora la cosa più interessante sarà osservare bene il potenziale capolavoro che il ragazzo potrebbe tirare fuori per l’album di debutto “Human”, previsto per marzo. Già questo suo lato raffinato e intenso l’abbiam visto progredire e farsi sempre più netto in tempi recenti e se, come sembra, esso costituirà la tela di partenza per ideare un album completo e capace di spiegare a tutti l’emotività di fondo del producer britannico, praticamente il discone è assicurato. L’anticipazione è “Adrift” e già da sola è una meraviglia di suggestione e ingegno, quindi la predisposizione è ottima. Se prosegue dritto, con la qualità di cui è capace e senza azzardare rivoluzioni dell’ultim’ora, al 90% avremo già uno dei dischi dell’anno.