Se non fosse per quei tagli ai campioni vocali che tanto rimandano agli ultimi lavori più elettronici (e dub, oserei dire) di Bonobo, si potrebbe affermare che “Ghosts Of Then And Now”, il nuovo album in uscita su Ninja Tune, rappresenta quasi la colonna sonora di un film francese in bianco e nero. Non sono un grande cineasta e probabilmente sto per dire una cosa che farà inorridire gli appassionati del genere o chi certe cose le studia e le conosce davvero, ma per me quelle pellicole mute piene di sguardi hanno sempre avuto un non so che di parigino (almeno nelle ambientazioni) e romantico – due aggettivi che spesso, almeno i più, tendono a sovrapporre e confondere come sinonimi.
Ma nella nuova e attesissima raccolta firmata da Illum Sphere di parigino non c’è effettivamente granché: vuoi per quei giochi di riverberi che qui e lì spuntano ricordandoci quanto Burial abbia toccato l’anima di molti produttori della sua generazione (ascoltate “At Night”, fantastica); vuoi per quel retrogusto soul (“The Road” e “Love Theme From Foreverness”, ad esempio) che ci catapultano in una realtà che sembra sposarsi meglio con Manhattan e la sua solitudine piena di facce; vuoi per un beat comunque spontaneo e sporco che profuma di ricercata decadenza (“It’ll Be Over Soon”), fatto sta che con “Ghosts Of Then And Now” Ryan Hunn fa centro al primo colpo consegnandoci un album che mi azzarderei a definire universale, emotivamente complesso e intenso. Una raccolta capace di travalicare ogni confine di genere, usandone al tempo stesso mille e nessuno. Sembra un lavoro scritto per l’uomo che, pienamente assorbito nella realtà in cui è immerso, cerca un distacco da ciò che lo circonda.
E’ sincero e vero come il Simon Green di “Days To Come” ma meno solare. E’ crepuscolare, ecco.
E’ un album umano, questa è la sua più grande qualità a mio avviso. E non è poco, non è lo è affatto, perché Illum Sphere riesce, in sole tredici tracce, a raccontare quelle che sono spesso le ore più buie della nostra giornata scegliendo un percorso estremamente realista ed emotivamente coinvolgente. In “Ghosts Of Then And Now”, però, non si scappa, non si cerca una via di fuga: qui si va incontro alle difficoltà, le si abbraccia – ecco l’umanità, ecco il realismo.
Poi arriva il momento di “Near The End”, preludio della fine non solo a parole e per posizionamento nella tracklist, dove una cowbell scritta in 3-2 (come una clava latina di un disco di Villalobos) e una batteria decisa si stendono e fanno da base ad un piano jazz che disegna l’anima sensuale dell’artista. Bellissima, forse la più bella dell’intero album. E’ un crescendo dolce e impetuoso; è il dessert al termine di un ottimo pasto, quello che precede i saluti che spettano a “Embryonic” che ha il compito di accendere finalmente la luce. S’è fatta l’alba, grazie del giro Ryan.