Tra i buoni propositi per quest’anno nuovo c’è quello di fare qualcosa per evitare quelle solite, noiose, inutili polemiche che invadono ancora le nostre timeline. Soprattutto quando i temi sono così oldie, così superati che uno si chiede se vale ancora la pena prendersi il disturbo di aprire bocca. Eppure questi lamenti li sentiamo ancora oggi, e ancora oggi producono flame come se fossero grosse intuizioni. E allora stavolta #crumbs vuol sporcarsi le mani, si mette l’impermeabile e scende in piazza tra le polemiche insensate, dando un po’ di risposte a tono. La (vana) speranza è di non finirci più invischiati senza aver fatto nulla: a voi quante volte è capitato?
[title subtitle=”Ma a quello/a lì la musica gliela scrivono gli altri, lui/lei fa solo la popstar”][/title]
Buongiorno caro, benvenuto nell’anno domini 2014. Ti aggiorno brevemente su cosa è accaduto mentre tu partorivi con sforzo questo colpo di genio: il pop esiste da tipo 60 anni e l’industria musicale ha iniziato ad andarci d’accordo abbastanza presto, capendo fin da subito che per avere successo commerciale il prodotto deve avere due cose, l’immagine da una parte, lo stimolo stilistico dall’altra. Siccome sai, il successo piace più o meno a tutti, si è pensato che fosse una buona idea prendere un personaggio dal talento pratico e dalla grande presenza scenica, e metterci dietro un producer di grande sensibilità pop che gli modellasse la musica addosso. Tutto qua. Non è un’anomalia del sistema né un complotto globale, è semplicemente una caratteristica comune del “prodotto pop”, come i tavoli e le sedie lo sono del “prodotto ristorazione”. Mi sa che è un tantino tardi per scandalizzarsi, sai. Anche perché l’idea funziona bene e ha dato ottimi frutti. Ma magari è la prima volta che lo noti e ti sei ritrovato disilluso di colpo, povero cucciolo. C’hai ragione dai, in fondo è una cosa che è venuta fuori proprio da pochissimo, guarda qui…
http://youtu.be/C2q2bis6eLE
[title subtitle=”Ma i veri djset son solo quelli coi vinili”][/title]
Ehhh già, la gettonatissima storia dei paladini dell’#onlyvinyl. Ogni volta vengono fuori i De Vita di turno a fare il gioco di chi ce l’ha più lungo e a ricondurre tutto alla tecnica, solo e soltanto alla tecnica. Come se il clubbing fosse fatto di giudici con le palette dietro la schiena tipo olimpiadi di tuffi, con le votazioni sullo stile della performance suddivise per nazione. Non è che per caso vi fosse sfuggita la ragione unica per cui la gente frequenta i club, ossia la ricerca di un’esperienza liberatoria globale? Un grande DJ ha prima di tutto senso del momento e capacità di creare sintonia col proprio pubblico, e l’esperienza in pista è fatta di spazi, mood, tempi, contatti, inventiva. La tecnica è solo una parte di un tutto, e sì, le nuove tecnologie fan sì che non sia più la più importante. È grave? Se ne può discutere. Ma non con chi per amor di polemica tratta un’esperienza grandiosa e multisfaccettata qual è il clubbing come farebbe un macellaio con l’ultima consegna di maiale. Meno parole e più sensazioni, e che diamine.
[title subtitle=”Ma qui in Italia non siam bravi a fare musica elettronica”][/title]
Senti ciccio, questo senso di inferiorità congenito dell’italiano medio rispetto all’estero sarà anche fondato su elementi reali, ma è una delle cose più tristi e depressive che abbiamo. I confronti con le scene londinesi o berlinesi sono completamente fuori luogo, ma non per i motivi che pensi tu: lì hanno sì tanti producers che rendono le cose vivaci, ma a far davvero la differenza è l’ambiente, la comunità che offre un clima di fiducia verso le proprie produzioni ad ogni livello, dalle etichette che pubblicano alla stampa che ama guardare in casa propria. La vera differenza è tutta lì, nella buona disposizione degli individui. E l’ambiente depresso e disfattista da noi, se non te ne fossi accorto, lo fai anche tu. Tu che nemmeno provi a guardarti intorno, tu che alle produzioni italiane non dai alcuna chance già sul nascere, preso come sei da quel che (legittimamente) ti racconta la stampa estera dei suoi pargoli. Il giorno che arriverà un torrenziale di buonsenso e fiducia nel nostro paese sarà il giorno in cui i nostri artisti inizieranno a sentirsi appagati e i pezzi validi arriveranno finalmente a un target più ampio, e non ai soliti quattro stronzi che si sbattono ogni giorno per dirvi che oh, sotto il nostro velo del silenzio abbiamo un sacco di roba veramente interessante. E meno male che almeno all’estero se ne accorgono.
[title subtitle=”Ma la vera musica, l’unica davvero genuina, è la musica underground”][/title]
Oooh ma quanto sei figo. Oooh ma quanto ne sai. Questa misteriosa “musica underground” immagino che te la ascolti nelle radio pirata come si faceva in Inghilterra negli anni ’90, vero? Gira sotto casa tua in formati illegali, passa di mano direttamente da chi la produce a chi la ascolta, giusto? Perché tu che sei tanto esperto sai bene cosa in passato voleva dire “essere underground”. Conosci che significa appartenere a una comunità fuori da ogni logica di visibilità, possedere un senso di insofferenza verso il sistema, lavorare ai limiti della legalità, produrre e fruire prima di tutto come missione sociale, credere di star costruendo qualcosa di prezioso e tentare di custodirlo facendo in modo che lo conoscano il minor numero di persone possibile. È così che ti procuri la tua musica underground, giusto? Come dici? L’hai scaricata dall’internet? Ah sì, conosco di che si tratta. È quell’invenzione che ha permesso a tutti i producers di raggiungere potenzialmente chiunque in ogni angolo del globo, e agli ascoltatori di ascoltare qualsiasi tipo di musica con un semplice clic. Quella per la quale il concetto stesso di underground, quello originario e vero, non può più esistere per costruzione, ha perso completamente il significato. A meno che tu non l’abbia visto scritto nei tags del pezzo che hai scaricato. In base ai quali oggi l’underground sarebbe la trap…
[title subtitle=”Ma è un genere in difficoltà, ormai è troppo pop”][/title]
Sì ragazzo, abbiam capito che sei un Paladino Reale Della Purezza Assoluta e alla prima minima apertura verso ciò che piace al grande pubblico le tue antenne si rizzano immediatamente e il genere è dichiarato irreversibilmente da seppellire. Perché il pop è sempre qualcosa da cui rifuggire, è il demone da sconfiggere, è il male. Ma ti dirò una cosa: tra tutti i mille motivi per cui un genere può esser considerato in declino o in difficoltà, l’apertura al pop è il meno fondato. I generi in declino son quelli che non offrono più stimoli a chi produce e a chi ascolta, son quelli che non mostrano più nuove direzioni, son quelli che si adagiano su uno schema unico e non coprono ulteriori varianti. Un genere che riesce a vincere la sfida suprema di oltrepassare i confini di nicchia e conquistare i favori del pubblico generalista, beh, altro che in difficoltà, è nel miglior stato di salute possibile. Poi si può discutere per giorni sulle sfumature di questo tipo di trasformazioni, sul contatto con la base, sul rispetto dello spirito originario, e le conclusioni cambierebbero da caso a caso. Ma tra chi si chiude in sé stesso e scommette tutto sul rapporto di fiducia col proprio pubblico specifico, e chi si apre al mondo e inizia a conquistarlo, dimmelo tu chi rischia prima che finisca il carburante.