L’altro ieri a Roma, al Cinema Farnese di Piazza Campo de’ Fiori, ha avuto luogo l’anteprima stampa di “What Difference Does It Make”: A Film About Making Music”, lungometraggio diretto da Ralf Schmerberg volto a coronare i quindici anni della Red Bull Music Academy che da ieri potete apprezzare online su www.rbma15.com.
Venendo da Via del Pellegrino, dal lato opposto della piazza rispetto al cinema, tutto era come ogni giorno, la solita Campo de’ Fiori. Una volta davanti al cinema ci è stato chiaro che così non era: tutta o buona parte dell’Italia del girone elettronico era davanti al Farnese, “il cinema di riferimento per gli appassionati di film di qualità”. Da subito un clima semi festoso che ricordava alla lontana quello al Moll d’Espanya di Barcellona nei giorni del Sonar, non a fine serata ma all’inizio, quando incominci ad individuare i primi volti conosciuti e tutto e tutti sono ancora sobri. L’organizzazione Red Bull impeccabile come sempre, eventi in piccolo o in grande che sia ci sanno fare, punto. Passata una mezz’ora di chiacchiere si entra in sala e dopo qualche minuto improvvisamente si spengono le luci, inizia la proiezione. Occhi inchiodati allo schermo per un ora e mezza. Il lavoro si apre e si chiude con le parole dei ragazzi che hanno partecipato all’Academy di New York nel 2013, occasione in cui è stata girata buona parte della pellicola; fra questi due estremi, quelli in cui ci si avvicina maggiormente alla relazione emotiva fra gli studenti (se così è passabile chiamarli) e l’Academy, si intervallano in continuazione momenti di ironia, serietà ed emotività: dalle profonde riflessioni di Brian Eno (colonna portante di tutto il film) ai preziosi consigli di Malcolm Cecil, dai vaneggiamenti di Seth Troxler e la simpatia e sincerità di Lee Perry alla serietà di François K, e come queste moltissime altre testimonianze di figure di grande rilevanza storica e artistica. Ogni testimonianza è inserita all’interno di precise focalizzazioni sui diversi aspetti implicati nel diventare un musicista, cosa significa essere un musicista, cosa vuol dire per sé e per gli altri, perché esserlo, perché non esserlo, come ciò può completare la personalità di un individuo, come allo stesso tempo può distruggerla, a quali momenti critici si va solitamente incontro, come ricercare l’equilibrio, oltre poi ad aspetti più concreti come l’esibizione live. Pensandoci bene quello in questione non è solo un film che cerca di dare risposte, ma anche un film che pone molti quesiti, che propone un approccio critico alla musica e alla carriera artistica. Tutto questo inserito all’interno di una portentosa cornice, New York City. Il modo in cui la città si insinua nel film è meraviglioso. Si ricostruiscono la frenesia, l’imponenza, la ricchezza, la povertà, il caos e la quotidianità attraverso inquadrature strette, a volte strettissime; cani e gatti di ogni genere, luci, topi, spaccature nell’asfalto, pozzanghere, rivoli, dropout, cantanti di strada; si fa leva più sui particolari, sulle piccolezze piuttosto che sugli skyline. Inquadrature di vita newyorkese che rincorrono e ricalcano ad intermittenza le parole di Rakim, Pantha Du Prince, Nile Rodgers, Erykah Badu, Thundercat, Skream e tutti gli altri, e che spesso assumono la funzione di una non troppo velata critica sociale.
Cosa centra con A Film About Making Music? E’ proprio questo il punto, centra e di brutto. Perché come dipingere vuol dire vedere, creare musica vuol dire ascoltare, ascoltare quello che abbiamo intorno e quello che abbiamo dentro. Attenzione: non c’è romanticismo, c’è rispetto, coscienza, c’è grande cognizione di causa. Ed è bello vedere gente che scrive musica magari da 40 anni che non ha ancora perso vitalità, emozioni, energia non solo per se stessi ma anche e soprattutto nel trasferire ad altri ciò che hanno imparato con gli anni sulla propria pelle.
“What Difference Does It Make: A Film About Making Music” non è solo per chi sogna di diventare un musicista, è una pellicola per tutti coloro che passano la vita nella musica. Per chi sogna di avere un vinile dorato attaccato alla parete (possibilmente il suo!), per chi sbatte la testa al muro cercando di capire come riuscire a chiudere un brano per il semplice gusto di ascoltarsi sotto forma di musica, per chi non è interessato a concludere una traccia ma lo è solo nell’alleviare con le proprie note il cammino dei passanti e sì, in qualche modo è anche per chi fa sistematicamente tardi in ufficio pur di non schiodare dalla macchina e ascoltare l’ultimo accordo.