Forse non se lo ricordano in tanti, ma Pharrell Williams un disco da solista l’aveva già fatto: era il 2006 e tutti, ma tutti davvero, erano disposti a scommettere ingenti somme di denaro sul successo sicuro del leader dei N.E.R.D. e metà fighetta del duo Neptunes (tra i produttori più influenti dello scorso decennio). E invece “In My Mind” fu un flop colossale, talmente ridondante da fare più rumore della valanga di hit che il nostro aveva piazzato senza sosta fino a quel momento, grazie ai vari Justin Timberlake, Britney Spears e Snoop Dogg. Entrato in classifica, per restarci pochissimo, al numero 48, “In My Mind” ebbe anche vita travagliata finendo al centro di una controversia tra il suo autore e la casa discografica che all’epoca pubblicava le sue opere (la Interscope).
Chiunque sarebbe uscito con le ossa rotte da un’operazione del genere, ma non Pharrell che, poliedrico di natura, è sempre rimasto al centro delle cose che contano, sia come musicista, che come produttore, che come creatore di brand, aspettando il momento giusto per provarci nuovamente. E il momento giusto è finalmente arrivato, ora, adesso, dopo otto anni in cui il nostro ha notevolmente affinato le sue capacità autoriali, smettendo di essere solo un fabbricante di canzoni di successo. Se esiste davvero una cultura del mainstream, lui ne rappresenta uno dei punti fermi: il pop contemporaneo, per suoni, melodie, e ritornelli che in qualche modo hanno segnato e cambiato il gusto di milioni di ascoltatori, deve moltissimo a Pharrell Williams. E Pharrell, a sua volta, deve tanto, tantissimo, al pop: “G I R L”, il nuovo disco, parte da “Happy” (dalla colonna sonora del secondo “Cattivissimo Me”), presente in scaletta, e passa anche, ovviamente, per “Get Lucky” e “Blurred Lines“, i due blockbuster del 2013.
La chiave per capire cosa vuole fare e a cosa punta il Pharrell Williams del 2014 arriva proprio dal successo esorbitante di quei due brani: per certi versi è come se con “In my Mind” avesse cercato di innovare e rivoluzionare un linguaggio che ora, invece, viene accettato per quello che è. Un po’ come “RAM” porta avanti e sviluppa l’idea di una musica globale, per tutti e alla portata di tutti, popolare sì, ma anche di classe, lontana da tutto ciò che è in voga eppure perfettamente legata ai tempi che stiamo vivendo. “G I R L” è il trionfo del già sentito: c’è il pezzo che ricorda Michael Jackson e quello che fa il verso a Prince, c’è il rimando ai Daft Punk (coi Daft Punk) e quello a Blurred Lines, appunto. C’è Justin Timberlake (l’altro alpha male del pop dei giorni nostri) e Miley Cyrus, sempre per lo zeitgeist. E poi, Hans Zimmer – nuovo compagno di colonne sonore – e Alicia Keys, giusto per fare capire quale sia l’universo e il macro target di riferimento. Zero rap, zero electro, zero rischio: tutto come sarebbe stato lecito aspettarsi. Forse anche troppo.
“G I R L” è a suo modo un disco perfetto, e la perfezione è proprio il suo più grande difetto. Sembra sempre di più che la via per l’intrattenimento di qualità passi attraverso le definizioni dei discografici degli anni ’80, che l’impegno sia mirato solo a produrre roba che “funziona” per poi vederla effettivamente funzionare. Tutto giusto, tutto bello, però che palle. Ecco, Pharrell, che palle, almeno tu una volta ci provavi!