L’abbiamo fatto tutti. Anche chi vi sta scrivendo queste righe. Una foto, un filmato di pochi secondi. Ok. Qua però si sta passando il segno. E se prima l’invocazione a darci un taglio con le riprese via smartphone in serata poteva sembrare un simpatico vezzo, da accompagnare prima con un “Sì, vero!” seguito pochi secondi dopo da un “…ma anche ‘sti cazzi”, un’esigenza un po’ da snob, ora stiamo superando il livello di guardia.
Non ci credete? Date un occhio al filmato qua sopra. Inizio del concerto dei Disclosure a Milano, lo scorso 17 marzo all’Alcatraz. Anche a voi sembra un film dell’orrore? A noi, sì. E se magari pensate “Ok, è l’inizio-inizio del concerto, ci può stare”, vi basta percorrere un po’ YouTube o questo filmato postato dai nostri amici di DLSO per capire che più o meno è stato così durante tutto il live dei due fratelli inglesi.
Sinceramente: tutto questo inizia a diventare un’idiozia di massa. Ma pazienza, la massa di suo sarebbe libera di fare quel che vuole. Il problema è però anche di sostanza artistica e di qualità della vita e di ciò che è l’esperienza musica: tutte queste persone occupate più a riprendere il concerto che a viverlo ammazzano l’atmosfera e il divertimento. Sì, anche il tuo, non solo il nostro. Quel che è peggio, sdoganano il modello per cui il live set deve essere un souvenir, non un’esperienza da vivere visceralmente e gioiosamente. Andare ad un concerto e passare metà del tempo a riprendere (ma anche solo cinque minuti) è come andare a Venezia e pensare solo a comprare la gondola di plastica o il cappellino da marinaio fatti dai cinesi senza fare nemmeno mezzo giro in città, per le Calli e i Campi. Voi come lo chiamereste un turista così? Ecco. Ci siamo capiti.
Riprendere un concerto o un dj set in modo insistito significa che si trova più importante essere in un posto dove c’è un evento artistico (far vedere di esserci) che viverlo, apprezzarlo e giudicarlo, questo evento. Se è così, allora ce lo meritiamo Psy, il Pulcino Pio, il play back, le puttanate e le plasticate. Che questo succeda ad un concerto – bello o brutto, non è questo il punto – di quella che è considerata una delle band più interessanti emerse nella club culture degli ultimi anni, significa che il germe dell’idiozia sta iniziando ad attaccare anche il “nostro” ecosistema.
Ripetiamo: l’abbiamo fatto anche noi. Siamo stati “idioti” anche noi. Ma ora è il momento di smettere. E’ il momento di cominciare a fare una seria campagna di opinione contro questo (mal)costume, perché sta diventando una deriva pericolosa. E attenzione, non stiamo nemmeno qua a fare i noiosi discorsi da sociologi d’accatto su quanto ormai ci sia questa credenza comune per cui un’emozione sia più profonda se filmata e postata sui social piuttosto che vissuta (anche se potremmo, e forse dovremmo). Ognuno è libero di viversi le esperienze a modo suo.
Ma la libertà di un individuo finisce lì dove lede quella di un altro. E questi concerti con così tanti smartphone alzati ed illuminati rischiano di innescare un processo rovinoso per tutto il sistema musica. Una spettacolarizzazione “soft”, leggera e superficiale, dove chi è presente pretende poco (gli basta filmare cinque minuti) e di conseguenza chi è sul palco si sentirà autorizzato a dare sempre di meno.
Quindi ecco, fatevi un favore: la prossima volta che vedete uno davanti a voi che sta tenendo su per più di venti secondi uno smartphone o un tablet per filmare un live o un dj set, ditegli – cortesemente – di smetterla, un concerto o una serata in un club non è la stessa cosa della Torre di Pisa o delle Cascate del Niagara. Chi filma, in questi casi, avvelena anche te. E quello che a te è caro.