Il frenetico e instancabile susseguirsi di emozioni che la musica elettronica ci regala senza soluzione di discontinuità non poteva non travolgerci anche questa settimana, proponendo spunti, più o meno lieti, davvero interessanti. Sa da un lato il cuore della puntata di Suoni & Battiti di questo venerdì è rappresentato dai grandi ritorni – sulle nostre pagine non potevano mancare, infatti, i nuovi EP firmati da Jamie xx e da Luciano – dall’altro avremmo compiuto un errore imperdonabile se ci fossimo lasciarci sfuggire la possibilità di dire la nostra su release sorprendenti (gli album dei Downliners Sekt e di Eomac), e su lavori del tutto al di sotto delle aspettative, come le attesissime raccolte firmate da Dillon (su BPitch Control) e Ron Morelli, ancora una volta su Hospital Production.
[title subtitle=”Jamie xx – Girl / Sleep Sound (Young Turks)”][/title]
“Girl / Sleep Sound”, il nuovo EP firmato Jamie xx per Young Turks, è senza ombra di dubbio il disco del momento. Senza ombra di dubbio. La nuova fatica di Jamie Smith, che esce a distanza di tre anni dal singolo “Far Nearer” e dall’album “We’re New Here” (quello in cui si è divertito a manipolare e a rinverdire i vecchi lavori di Gil Scott-Heron), si è rivelata a noi avidi consumatori di musica necessaria come solo i grandi lavori sanno essere. Vibrante, profondo e ricercato, il numero diciotto del catalogo della label britannica, rappresenta il compromesso perfetto tra il suono asciutto e minimale dei The xx – sì, sembra una banalità perché lo è a tutti gli effetti – e quanto Jamie è solito produrre quando calca sentieri più prossimi ai club. Manca la componente vocale che Romy e Oliver danno alla musica del trio, qui affidata a campioni tagliati e assemblati in modo da creare un ipnotismo magnetico, ma il “peso” del groove e delle parti ritmiche (specie in “Sleep Sound”) è proprio quello lì. Ci voleva, 10/10!
[title subtitle=”Downliners Sekt – Silent Ascent (InFiné Music)”][/title]
Chiusa la triologia per Disbot (“Hello Lonely, Hold The Nation”, “We Make Hits, Not The Public e “Meet The Decline”) e dopo aver fatto il loro ingresso all’interno della famiglia InFiné con due EP validissimi – specie “Balt Shakt”, il singolo in due parti inserito anche nella nuova raccolta – il duo catalano Downliners Sekt torna a far parlare di se con il suo nuovo album, “Silent Ascent”. Quando si parla di musica, sei anni, tanto infatti è passato da precedente “The Saltire Wave” (su dskt[dot]com), rappresentano un tempo sufficiente per stravolgere carriere e intraprendere scelte stilistiche e musicali in grado di trasformare interamente i connotati di un artista. Bene, questo è proprio il caso di Fabrizio Rizzin e Pere Solé: abbandonate le influenze post-ponk, i Downliners Sekt si tuffano nella ben più magnetica via di quell’elettronica “erudita” che oscilla boriosa tra la dubstep e la techno. E lo fanno in modo inappuntabile: “Silent Ascent” suona tanto crudo quanto consapevole e ambizioso; è vero, a tratti ricorda (anche troppo) “Untrue” di Burial, ma qui le tinte grigie e dolorose che hanno fatto la fortuna del ben più celebre collega inglese vengono alleggerite da scelte melodiche capaci di quietare l’ascolto, creando un piacevole compromesso tra la l’impietosa malinconia del britannico e il suono che ha fatto di InFiné una signora label. “Silent Ascent” non sarà la raccolta che vi cambierà la vita, ma è un album nel vero senso del termine e questa, oggi, è da considerarsi una qualità da non dare mai per scontata.
[title subtitle=”Dillon – The Unknown (BPitch Control)”][/title]
“The Unknown”, il secondo album a firma Dillon uscito da poco su BPitch Control, non entusiasma in alcun modo, diciamolo chiaramente sin dall’inizio, lasciando nelle nostre bocche il sapore agrodolce dei passi falsi e delle occasioni mancate. Ad amplificare i rimpianti (suoi e nostri), ovviamente, ci sono i lusinghieri consensi raccolti dal precedente “This Silence Kills”, il cui stile convincente e ricco di intense sfumature avrebbe dovuto rappresentare il trampolino attraverso il quale la brasiliana avrebbe potuto compiere il definitivo salto di qualità, quello capace di inserirla nel novero degli artisti in grado di coniugare in modo unico l’elettronica con il pop/folk. Così, però, non è stato: “The Unknown” è una raccolta prolissa in cui Dillon sembra non riuscire a sfuggire alla trappola della retorica (almeno per buona parte del percorso tracciato dalle dodici tracce). Gli unici lavori a fare eccezione sono “Don’t Go”, “Lightning Sparkerd” e “Nowhere”, vicini come a volersi fare forza vicendevolmente, dove Dillon ci fornisce l’unica via di fuga dallo stile stereotipato della prima parte dell’album. Se state cercando un album che vi metta in un angolo, vi leghi e che efficacemente vi canti di malinconia e torbide emozioni, allora “The Unknown” fa per voi. Se state cercando un lavoro che sappia trascinarvi, anche in modo irruento e doloroso, attraverso uno spettro di emozioni più vasto allora dovete dirigere la vostra ricerca altrove. Io dalla voce di Dillon mi aspetto molto di più, ma magari sono io a sbagliare.
[title subtitle=”Eomac – Spectre (Killekill)”][/title]
Mentre gli amanti della techno si sfregano le mani in attesa dell’uscita degli attesissimi album di Answer Code Request, Abdulla Rashim e Psyk, ecco che Eomac anticipa tutti e piazza la sua zampata pubblicando su Killekill quella che è da considerarsi a tutti gli effetti una piccola ma preziosissima perla. “Spectre”, che rappresenta il ritorno sulla label berlinese per Ian McDonnell dopo l’irruenza di “Spoock”, è una raccolta colta, profonda e pesata, dove emozioni torbide e dense come la schiuma della Guinness costruiscono un percorso fluido e inteso lungo le undici tracce che la compongono. La foga e la violenza cieca dei lavori che fin qui hanno spesso caratterizzato la discografia dell’irlandese lasciano spazio, qui, a un suono che sposta la sua attenzione dal solo dancefloor (quello nero come la notte e ricco di insidie) a un ben più ricco spettro di emozioni. “Spectre”, infatti, non è né un album di singoli né un insieme di tool da pista: Eomac, valorizzando i tratti distintivi del suo suono (qui e lì si possono distinguere “spruzzate” di Lakker) coglie in pieno il senso della sua missione, costruendo una storia lineare e coerente, dove salite e discese animano le tinte scure e claustrofobiche della sua musica. Questi sono gli album di cui non ci si può stancare, uno di quei lavori da non lasciarsi scappare perché ballare è bello, ma farlo emozionandosi è cosa ancor più appagante.
[title subtitle=”Paul Woolford – Erotic Discourse (Dense & Pika / Kowton Remixes) (Hotflush)”][/title]
Non me ne vogliano Scuba, Dense, Pika e Kowton, ma più ascolto questo EP di remix di “Erotic Discourse” più penso che certi lavori andrebbero lasciati stare lì, al loro posto. Punto.
[title subtitle=”Abe Duque – Body Of Work (Abe Duque Records)”][/title]
In uscita tra poche settimane, “Body Of Work” rappresenta una sorta di best of di Abe Duque, lo storico produttore di New York che da quasi un ventennio sforna hit dal sapore acid in grado di mandare in estasi i dancefloor di mezzo pianeta. Tra le diciassette tracce inserite nel CD potevano mancare, ovviamente, le intramontabili “Acid”, “What Happened?” e “Who’s Got The Flave Again?”: per gli amanti del vintage (e non solo) è vietatissimo lasciarsi sfuggire questo nuovo ADR.
[title subtitle=”Ron Morelli – Periscope Blues (Hospital Production)”][/title]
Il colpo a effetto se l’era giocato con “Split”, il buon Morelli, quindi questo nuovo “Periscope Blues” non può stupirci più di tanto. Ancora una volta, purtroppo, scordatevi di L.I.E.S. e del suo suono – quello capace di trasformarla da fenomeno di nicchia in una delle label del momento – e non aspettatevi qualcosa di neanche lontanamente paragonabile ai meravigliosi lavori firmati dai vari Marcos Cabral e Legowelt: via il calore dei groove, marchio di fabbrica soprattutto dei primi dischi della label americana, e spazio a quel buio senza ritorno che già aveva fatto sua la prima raccolta su Hospital Production. Si tratta di un rischio, Ron Morelli ne è sicuramente consapevole tanto da azzardare per la seconda volta a distanza di pochi mesi, ma l’autore non sembra curarsene troppo. I trenta minuti abbondanti di “Periscope Blues”, ahinoi, parlano una lingua che, in tutta onestà, non convince quanto lo spessore del suo autore meriterebbe: disagio, buio e inquietudine come possono convivere con le vibrazioni avvolgenti a cui la sua piattaforma ci ha abituati? “Periscope Blues” sembra un lavoro pensato e assemblato con l’unico scopo di colpire, esempio perfetto del tipico prodotto firmato da un artista ricercato ed eclettico che vuole apparire tale. Ron definisce l’album come una “missione andata male”, ma noi (che non abbiamo ruoli da recitare) possiamo permetterci il lusso della sincerità e affermare che “Periscope Blues” è comunque una buona raccolta, ma nulla più. Sì Ron, sarebbe potuto essere più buio, nero e tormentato; avresti potuto confezionare un viaggio ancor più algido e “pericoloso”, ma sei sicuro che è proprio questo che ti è richiesto?
[title subtitle=”Luciaen – Cadenza / Stranger (Basaec)”][/title]
In attesa che anche il suo dj set torni sugli standard di inizio carriera, quando l’onda creata dalla sua selezione e dalla sua tecnica veniva celebrata come un’esperienza imperdibile, Luciano fa quello che tutti gli amanti di Cadenza si auguravano da tempo: tornare alle origini e restituire a una delle piattaforme più amate dell’odierna scena house mondiale i fasti e il lustro di un tempo. Messa così, le scelte che la label svizzera ha compiuto negli ultimi anni suonano come una disfatta totale, ma se si è amata anche un pochino la musica dei suoi primi out non si può non sostenere che il cambio di rotta “mainstream” del suo timoniere abbia nuociuto alla profondità di contenuti e alle vibrazioni che l’avevano caratterizzata quasi dieci anni fa. Così Luciano fa un balzo indietro, ripesca dalla cantina qualche vecchio demo polveroso – “Cadenza” è considerata dallo stesso dj il suo primo, vero lavoro, mentre “Stranger” fu inviata a Derrick May per la sua Transmat, salvo poi essere scartata dall’americano – e da vita a Basaec, pubblicando la sua prima e attesissima uscita. “Cadenza / Stranger” è un salto indietro di dieci anni, un EP in cui è ancora viva l’incoscienza e il totale disincanto con cui Luciano cercava nuove soluzioni, quelle vie che hanno fatto di “Bombero’s / Octagonal” e “Orange Mistake” delle perle intramontabili. Luciano sembra aver capito – o almeno questo è ciò che mi piace pensare – che il suo futuro passa attraverso la riscoperta di un passato che più attuale di così si muore. Bentornato.
https://www.youtube.com/watch?v=2HSwae0rdLI