Giulio Fonseca fa sicuramente parte di quella categoria di produttori legati al filone della “bedroom music”: in macchina così come in treno o sul divano di casa, è capace di produrre brani che riescono a sconvolgerci (in senso positivo) sia da fuori sia dall’interno. Quando l’abbiamo incontrato a Palermo, in occasione della data organizzata dai ragazzi di Bangover, ci ha dato subito l’impressione di un ragazzo umile e con i piedi ben saldati a terra: un ragazzo dalle idee chiare che è stato capace di ritagliarsi uno spazio nel panorama elettronico italiano lasciando parlare le sue produzioni. Spring Attitude se n’è accorto e l’ha fortemente voluto nel suo cartellone del 2014, tanto di cappello a Giulio.
Com’è nata la tua creatura musicale?
Go Dugong è nato dopo un periodo di pausa dove non stavo più suonando con il mio vecchio gruppo, i Kobenhavn Store. Tutto è iniziato dopo aver visto il live di Gold Panda al Magnolia: lì sono rimasto completamente estasiato. Io facevo musica elettronica già da quando avevo sedici anni con un’Amiga 500 però non avevo mai deciso di propormi dal vivo perché non sapevo bene come fare, allora vedendo qualcun altro che lo stava facendo ho detto “ah cavolo allora sono uscite delle macchine che mi possono permettere di fare la mia roba anche dal vivo”. Allora ho cominciato a ricercare un pochettino ed ho deciso intraprendere questo progetto, ho iniziato a fare le mie prime tracce, ho installato Ableton che non l’avevo mai usato. Ho proprio ricominciato da zero
Come ti sei avvicinato al mondo della produzione? Quali software e strumentazione usi in studio e come sono cambiate le cose negli anni?
Ho iniziato con solo software, poi pian piano non mi bastavano più e ho iniziato ad acquistare qualche macchina, campionatori, controller e synth come l’AKAI MPD 32, APC 20 e Roland Gaia SH-01. Adesso fortunatamente sono andato a vivere con Death In Plains che possiede molti synth analogici. È bello perché ci scambiamo la roba in casa, quindi lui li presta a me ed io li presto a lui. Mentre adesso, per le registrazioni dell’ultimo disco, sto usando roba campionata da me come flauti cinesi e percussioni suonate a mano, proprio per avere un suono più realistico, più organico. Meno piatto e più personale.
Nelle tue produzioni sono riconoscibili molte influenze chillwave, glitch hop e IDM. Quali sono i dischi, gli artisti e le esperienze che hanno formato il tuo percorso artistico musicale?
All’inizio ovviamente dopo il live di Gold Panda, il suo album “Lucky Shiner” è stato in loop nel mio stereo per parecchi mesi. Insieme a lui ho ascoltato tanto Four Tet e un sacco di hip hop, principalmente anni ’90: le influenze sono quelle. Adesso sto ascoltando veramente poco di musica elettronica, un po’ per il tempo, un po’ perché mi sono spostato su altri ascolti. Mi sono buttato su roba vecchia come vinili che ricerco online o quando sono in giro a suonare: funk, roba caraibica, africana, sudamericana, samba, jazz e soul. Non riesco a stare aggiornato sulla musica del momento, a parte qualche amico che mi passa la sua roba come Capibara, Godblesscomputers ed Hearthquake Island.
Dove trovi l’ispirazione per i tuoi brani?
Di solito trovo una cosa su internet che mi colpisce e cerco di musicarla e farci un pezzo. Uno dei miei siti preferiti è FFFOUND, che è una fonte infinita d’ispirazione, o anche per esempio ultimamente ho letto “Cuore di tenebra” e ho fatto qualcosa che s’ispira a quelle atmosfere. A proposito di ispirazione vera e propria da poco mi sono trasferito a Milano, quindi farei due divisioni: prima che mi trasferissi, a Piacenza, è stato molto più un lavoro di ricerca, si sente nei pezzi perché c’è molta più roba suonata e meno campioni. Mi mettevo lì, suonavo e quando trovavo una linea melodica figa, che mi piaceva, ci costruivo attorno tutto il pezzo. Adesso da quando mi sono trasferito a Milano ho l’immaginario della metropoli degli anni ’10. Quindi un insieme di culture ed etnie che si uniscono tra di loro e creano questo melting pot che mi ha sempre affascinato durante i miei viaggi all’estero. Se ti fai un giro su viale Padova vedi che arrivano un sacco di odori, voci e musiche. L’immaginario è quello, unito anche al fatto che mentre prima mi mettevo davanti alla mia tastiera a suonare un po’ a caso, seguendo il mood del momento, adesso in questo momento penso prima a delle situazioni, a delle immagini, a qualcosa che mi ha colpito e cerco di musicarlo, quindi di crearci dietro qualcosa, costruirci una soundtrack. Sta cambiando, è cambiato e adesso è cosi
So che “Was” è formato da tracce scartate e poi ripescate…
“Was” è nato grazie a Marcello Farno (il suo manager). Io stavo già lavorando a un disco ma erano più che altro prove: stavo provando un po’ di tutto per cercare la mia strada, quindi era proprio un lavoro di ricerca del suono. Quindi cosa è successo, avevo una serie di pezzi che suonavano molto diversi l’uno dall’altro, si sentiva molto questa differenza, non c’era un concetto dietro stimolante, non erano soddisfacenti. E quindi ho deciso di abbandonare l’idea di fare un disco fin quando non avevo bene in mente cosa fare, come strutturarlo e un concetto dietro su cui basare le idee. È successo che però i tempi si sono allungati molto e Marcello mi ha detto di fare uscire qualcosa, allora gli ho mandato una serie di pezzi e insieme ne abbiamo scelti cinque. Quelli che risultavano meglio insieme ma che anche sentivo più miei, quelli con più cuore, e li abbiamo fatti uscire come EP. Ma in realtà sono scarti, è un regalo che ho voluto fare a chi mi segue, l’ho messo in free download a Natale. Solo un pazzo può fare uscire una roba a Natale. (ride)
“Was” è stato un successo sia dentro che fuori dallo stivale, tant’è che è finito anche tra i consigli di XLR8R. Te lo saresti mai aspettato? Che feedback hai ricevuto?
Infatti è strano. Ma perché secondo me in quel periodo di Natale non c’è nessun pazzo che fa uscire qualcosa quindi l’unico stronzo ero io, e quando gli è arrivato il pezzo che gli ho mandato hanno messo quello perché non avevano nient’altro da mettere. In realtà secondo me è andata così. (ride)
Hai pubblicato un 7” su LabenStrasse (etichetta portoghese su cui hanno pubblicato anche Slow Magic e Sun Glitters). Come sei riuscito a metterti in contatto con loro?
È successo che ho conosciuto Sun Glitters e Slow Magic e tramite loro ho conosciuto LabenStrasse, ho scritto una mail a loro e mi hanno risposto “ciao Giulio ti stavamo per scrivere anche noi. Mandaci un po’ di roba che siamo molto interessati.” Quindi gli ho mandato i pezzi e tra il marasma dei brani ne hanno scelti due per il singolo.
Insieme a loro (Slow Magic e Sun Glitters) e ad altri artisti, vedi Digi G’Alessio, Godblesscomputers e UXO, fai senza dubbio parte di questa nuova onda post-glo. Ti senti di appartenere a questo movimento?
Assolutamente si. È quello che voglio fare ed è anche la cosa più naturale. Quando ho cominciato con Go Dugong, l’Italia non l’ho proprio presa in considerazione ma avevo bisogno di nuovi stimoli, conoscere nuove persone e nuove scene, quindi ho investito tutta la promozione e la ricerca di contatti, label, webzine e blog verso l’estero. Poi in Italia non so cosa è successo ma ho visto venir fuori nuovi produttori che fanno roba super figa davanti alla quale non si può rimanere indifferenti quindi invece di fare quello per forza esterofilo ho iniziato ad apprezzare da dentro i nuovi produttori italiani. Purtroppo come scena siamo ancora molto chiusi all’interno del nostro paese, fatta eccezione per Clap! Clap! corteggiato da Ninja Tune, Ninos Du Brasil che escono per DFA di New York o per esempio Haring, che è un producer belga che ammira molto la scena italiana, sta collaborando con i Dropp e ha fatto un remix anche per me ed Earthquake Island. C’è gente che questa scena italiana la sta notando e la percepisce come una scena vera. Però diciamo che la scena che conosco io, quella più vicina a me è ancora un pochettino chiusa all’interno dell’Italia, dovrebbe un attimo scomodarsi, alzarsi dalla sedia e cercare nuovi ascoltatori e possibili utenti all’estero. Con internet ormai illimitato adesso siamo in un momento in cui le potenzialità ci sono.
Ciò che mi attrae maggiormente di quest’onda è l’approccio spontaneo e genuino, quasi DIY, nella realizzazione e composizione dei brani, e anche in tutto il resto. Ti ci rivedi?
Si, io sono un tipo super istintivo. Ho dei luoghi che m’ispirano e che magicamente mi aiutano a una riuscita migliore del brano. Adesso sono in un posto diverso (Milano) ma mi ricordo che a Piacenza quando mi mettevo nel mio studio di casa con i miei due monitor, c’erano meno possibilità di far uscire un bel pezzo rispetto a quando mi mettevo sul divano con le gambe incrociate, col computer sulle cosce e a produrre suonando con la tastiera. Ho anche fatto un sacco di pezzi in treno, viaggiando molto cerco sempre di sfruttare quell’ora in qualche modo: infilo le cuffie e mi metto a suonare. Adesso mi forzo quasi a creare un pezzo, a volte non mi viene fuori niente perché proprio non c’è l’ispirazione. A volte succede che becco il campione giusto, faccio partire nel modo giusto la traccia e viene fuori una roba figa anche se non sono super inspirato in quel momento. L’ispirazione può anche arrivare dopo.Può essere che fino quando non mi metto a lavorare non viene fuori niente. Se tutte le volte dovessi aspettare l’ispirazione non combinerei nulla.
Che cosa fai quando non suoni? Hai un lavoro?
Faccio il grafico per una società di Piacenza.
Parliamo di Spring Attitude. Il 23 Maggio condividerai il palco insieme a Sun Glitters, The Range e Catching Flies. Come stai vivendo l’attesa? Cosa ti aspetti da quella serata?
Non ne ho idea. Io non so in che situazione suonerò, sicuramente sarò uno dei primi quindi non so se all’orario in cui suonerò io ci sarà pubblico sufficiente ad ascoltarmi, ma sicuramente sarà una figata.
Prossime mosse?
Sto lavorando a un disco. Per la prima volta ho un’idea vera e quindi ci sto lavorando e sta venendo molto bene. Però non ho scadenze, me la sto prendendo con comodo, non so con quale etichetta uscire. Voglio aspettare cosa ho per mano e ascoltarmi il mio prodotto finito.