Nata in occasione della presentazione del nuovo progetto Bassa Clan, che andrà in scena domani al Cavaticcio per l’evento Ricreazione, l’intervista a Fabrizio Maurizi e a Dino Angioletti non è altro che una chiacchierata tra persone che, con leggerezza, si confrontano su ciò che più amano: la musica. La voglia di parlare, di raccontarsi e di mettersi, almeno un po’, a nudo hanno fatto da spina dorsale a un confronto venuto fuori senza uno schema, senza che un binario impostato in partenza potesse frenare idee, spunti e punti di vista interessanti: si è parlato ovviamente del nuovo progetto Bassa Clan, di Bologna e del personalissimo momento dei due. Fabrizio Maurizi e Dino Angioletti sono due dj con una montagna di cose da dire e qui ce ne danno un assaggio.
Domanda scontata ma d’obbligo: quando e come nasce Bassa Clan?
Fabrizio: Bassa Clan nasce un po’ per gioco, un po’ per scherzo, a Febbraio di quest’anno. La scusa è stata un tutorial dal vivo sull’Akai MPC, uno dei più famosi campionatori di drum machine esistenti, a casa di Dino, che dista non più seicento metri dalla mia. Ci siamo ritrovati così e dopo aver giochicchiato con la macchina abbiamo pensato “perché non fare un disco? Perché non farne due?”. Da lì fino ad avere una dozzina di tracce pronte il passo è stato breve.
Il perché del nome è ovviamente…
Dino: …ovviamente perché entrambi proveniamo dalla Bassa bolognese!
Fabrizio: Volevamo dargli un nome senza troppi fronzoli, all’americana. Loro non si fanno troppi problemi a dare ai loro progetti nomi “radicati” e quest’idea si sposa perfettamente col nostro desiderio di dare a tutto questo un’impronta sia territoriale che “leggera”, senza il peso di nomi gravosi. Una Bosconi più black, diciamo.
Conosciamo bene Fabrizio Maurizi e Dino Angioletti, ma non “Fabrizio e Dino”. Chi siete? Cosa vi accomuna oltre alla musica?
Dino: Ci accomuna un’amicizia di lunga data, senza dubbio. Pensa che ci conosciamo da talmente tanto tempo che forse Fabrizio ancora doveva iniziare a suonare “seriamente”. Io mettevo i dischi già un po’ in giro, mentre lui era solo un ragazzo volenteroso, un grande appassionato, lontanissimo dalla grandi soddisfazioni che si è poi tolto con gli anni.
Fabrizio: Quando si vive la musica così, come noi, è difficile che subentri molto altro: la musica tra due dj e proprio ciò che ci ha permesso di incontrarci, di farci conoscere e coltivare la nostra amicizia. Praticamente la musica occupa il 90% delle nostre conversazioni e questo, per me, è una cosa bellissima. Che poi è una cosa che a me risulta difficilissima con molti altri colleghi: vuoi mia riservatezza e la mia timidezza, o le difficoltà che ho nell’approcciare discorsi così personali come quelli legati alla musica, ma mi è risultato sempre molto complicato entrare in certi discorsi. C’è da dire, infine, che Dino mi ha insegnato molto per quanto riguarda l’essere dj e l’essere la persona che sta dietro questo mestiere.
Dino: Oltre ai problemi e ai cazzi nostri, per noi è fondamentale condividere ciò che più abbiamo a cuore. Non andiamo allo stadio insieme, per farla breve.
Siete due artisti con un background solido e una popolarità pari a quella dei migliori artisti italiani. Cosa c’è in più in questa nuova avventura che non abbiamo già potuto ascoltare in passato?
Fabrizio: La musica che vorremmo proporre, chiaramente; ciò che stiamo producendo in studio insieme e che vorremmo venisse fuori da questa nuovo progetto. Diciamo che il nostro background e la nostra storia è piuttosto differente, specie per l’immagine che il pubblico ha di noi, anche se in realtà, quando ci scambiavamo i dischi, abbiamo sempre ritrovato parecchi punti di contatto nelle nostre selezioni. C’è venuto quasi naturale, anche se c’è voluto diverso tempo prima che accadesse, dire “ma perché non metter su un progetto a partire da quanto ci accomuna?”.
Dino: Per tante ragioni, poi, non avremmo potuto fare quello che stiamo cercando di fare partendo dai nostri nomi: Fabrizio Maurizi e Dino Angioletti…la gente comunque si aspetta sempre quel qualcosa a cui è stata comunque abituata col tempo.
Quindi una sorta di via di fuga?
Fabrizio: Beh no dai, forse fuga è troppo!
Dino: Direi che potremmo parlare di “evasione”, un qualcosa che ci permettesse di alimentare la nostra curiosità. Non dimentichiamoci che un dj non può non avere il desiderio di alimentare e supportare tutto ciò che lo stimoli. Non esistono dj, veri dj, di un solo suono per tutta la vita. Si tratta di evolversi, sia come artisti che come persone.
Fabrizio: Per me, poi, è proprio cambiato il modo di lavorare in studio: col nuovo set-up si fanno convergere le idee all’interno dell’Akai MPC campionando i suoni che più ci piacciono…io non l’ho mai fatto prima! Questo ci ha dato enormi motivazioni ed energie, oltre a divertirmi da morire.
Dino: Dopo i primi mesi abbiamo finalmente trovato un po’ il suono che vogliamo proporre seguendo i nostri stimoli. Non stiamo più davanti al computer, lì facciamo solo convogliare le nostre idee per una semplice questione di comodità. Mi ricorda quando ho iniziato a fare musica in epoche in cui non c’era Ableton – magari c’era Logic o Cubase – e in cui era assolutamente normale utilizzare una 909 “vera” piuttosto che un synth per produrre. Era più fisico, come mettere musica utilizzando i vinili anziché laptop e software.
Qual è l’identità e il taglio che volete dargli e che credete possa rappresentare il suo plus valore?
Fabrizio: Inizialmente abbiamo lavorato molto di getto, salvo poi bloccarci quando abbiamo iniziato a pensare a chi far arrivare i nostri pezzi. Mi è successo spesso in passato, il blocco arriva quando si inizia a pensare più all’interlocutore che al prodotto che si sta preparando.
Dino: …poi invece abbiamo capito quella che vogliamo diventi la nostra identità quando siamo entrati nell’ordine delle idee del “reset”. Mi spiego: da Bassa Clan non si aspetta niente nessuno, non c’è mai stato! Possiamo metter dentro la techno che ci piace, l’house che amiamo, i Pastaboys e il Maurizi che è in noi. E’ chiaro, poi, che il problema nel fare la musica è sempre lo stesso: se sei contemporaneo, sei già vecchio; se sei old school, in modo autentico e integro, allora non hai tempo. Quindi o sei avanti, un vero e proprio visionario, oppure meglio essere fedelmente ancorato alle tue origini perché quelle non invecchiano mai.
Chiarisci meglio questo concetto, è interessante.
Dino: Se tu sei “contemporaneo”, la tua musica, visti i tempi indispensabili affinché questa venga messa sul commercio, finisce con l’essere superata con una facilità disarmante. Tutto qui.
Fabrizio: La bella musica, quella autentica (come diceva Dino), non passa mai e la puoi riproporre sempre, ciclicamente. Pensa a Omar-S che viene scoperto e riscoperto in continuazione.
Non potevate che far esordire il vostro nuovo dj set a Bologna. Qual è il vostro rapporto con la città e la sua scena? Chiunque io senta parlare di non voi non fa che spendere parole al miele nei vostri confronti.
Fabrizio: Sapere che in città si parli bene di noi mi fa un sacco piacere, anche se devo confessarti che è una cosa che abbiamo sempre percepito e che ci lusinga. E’ bello, poi, che qualcuno te lo ricordi, specie se viene da fuori come te che vivi qui da poco. Per quanto riguarda il dj set al Cavaticcio, non poteva essere altrimenti: adoro la mia città e non l’ho mai nascosto, tanto da preferirla a Berlino quando partire era la cosa probabilmente più giusta per la mia carriera. Ho perso sì occasioni, ma per me è sempre stato fondamentale rivendicare le mie radici e la mia voglia di fare qualcosa di buono qui. Muoio ancora dalla voglia di far nascere qualcosa nella mia città, o più in generale in Italia.
Dino: Ricordati che veniamo dalla Bassa bolognese e siamo persone abbastanza “veraci”, di campagna! Quando ho iniziato mi sono ritrovato a fare questo lavoro nel locale più underground dell’intera scena bolognese, il Kinki…
Fabrizio: …il centro del mondo, sotto le Due Torri!
Dino: Esatto, dalla campagna alle Torri, in un posto speciale dove potevo esprimermi come più mi sentivo.
Quindi la risposta è “non poteva che essere Bologna perché è a Bologna che noi vogliamo stare”.
Fabrizio: Sì, certo. Senza scendere nel campanilismo, Bologna in passato ha rappresentato una delle scene più belle d’Europa. Nemmeno Londra, forse, riusciva a tenerle testa negli anni ’90 quando c’era il vecchio Link, il Livello 57, il TPO, il Covo, il Kinki, il Matis…
Perdonatemi, ma perché ora s’è spenta così? Io, che la conosco relativamente poco, posso dire di averla vista impoverita rispetto al passato quando ci sono stato per la prima volta anni fa.
Fabrizio: Pensa che ora sta rinascendo qualcosa, secondo me.
Hanno aspettato Bassa Clan, insomma.
Dino: Hanno aspettato te! Possiamo tranquillamente dire, comunque, che prima c’era un’altra amministrazione locale e c’erano soldi per la cultura e per la musica; il mondo della notte era meno demonizzato e la cultura del sindaco sceriffo alla Rudolph Giuliani ancora doveva colpire le città italiane. Siamo stati esterofili pure nella politica, mettiamola così. Prima si tolleravano centri occupati dove poi era facile potesse nascere dell’arte, come poi è successo di lì a poco a Berlino.
Si può dire che il Crash! oggi possa rappresentare l’anima della vecchia Bologna?
Dino: Direi di sì, il Crash! potrebbe avere quel tipo di potenzialità lì.
Fabrizio: Ma la vecchia Bologna era anche clubbing, mica solo centri sociali!
Dino: Certo Fabrizio, ma la vera differenza rispetto a prima, oltre alle dinamiche politiche, è che prima nel club ci andavi per socializzare; per sfondarti, per parlare di musica, per litigare e per confrontarti…insomma andavi per vivere!
Fabrizio: Ma basta pensare al DAMS quando nacque, fu epocale! Qui in quel periodo convogliava di tutto: potevi vedere il concerto del Clash organizzato dal comune in Piazza Maggiore, i CCCP ogni settimana in Piazza Verdi; oppure beccavi Neffa, Gruff (che ancora oggi il mio idolo) e tutta la banda hip hop al Livello 57. E’ roba che ha fatto la storia.
Dino: Ogni sabato, sempre al Livello 57, c’era la trance con tremila persone; oppure Plastikman o Lory D al Link; oppure potevi andare al Matis o al Kinki, dove ha suonato Kerri Chandler nel 1993, tanto per dire. Insomma, si usciva dal lunedì alla domenica e c’era sempre una scena viva e in salute.
C’era più voglia. O forse non te la toglievano.
Dino: Non te la toglievano. Io comunque mi sento fortunato ad aver iniziato a fare clubbing al Kinki in quegli anni: lì ho assorbito idee e passioni, aldilà dei cazzi e delle stronzate con cui abbiamo sporcato poi la musica.
Dj set in giro per l’Italia e materiale in uscita: che bolle in pentola?
Fabrizio: Il progetto è in pieno sviluppo e in costante divenire quindi è ancora presto per avere qualcosa di definito come release, per le quali aspettiamo delle risposte, o per confermarvi degli show speciali che ci attendono nei prossimi mesi. Comunque c’è un festival molto importante che faremo e c’è materiale che reputiamo valido.
Dino: L’unica cosa che penso si possa dire è che ora è il momento di lasciare che le cose seguano il loro corso naturale. Tra queste includiamo anche l’idea di implementare il nostro dj set con delle macchine analogiche.
L’esigenza di unirvi in questa sfida è figlia di due particolari “fasi artistiche” che state vivendo, o c’è dell’altro?
Fabrizio: In realtà c’è dell’altro ed è un motivo davvero banale: sono tornato lo scorso Settembre, dopo dieci anni trascorsi in centro, a vivere dove sono nato, a pochi metri da casa di Dino. Io in vita mia non avevo mai fatto dischi con nessuno, nemmeno un remix, e per me stava diventando un’esigenza misurarmi in questo tipo di esperienza; in più farlo con qualcuno con cui condivido praticamente molte delle mie esperienze personali e il mio gusto in fatto di musica è stata una porta fantastica da aprire.
Quindi non c’entra il cambio di management e la chiusura dell’esperienza all’interno di Memento.
Fabrizio: Io direi che tutto questo è stato concomitante. Per quanto riguarda il cambio di management è stata una cosa che era nell’aria da un po’, anche se io ho grandi difficoltà a chiudere i rapporti importanti che instauro. Era un po’ che s’era rotto il meccanismo e che le cose venivano viste e pensate in modo diverso, dal djing alla gestione della label. A dire il vero, però, io non ero al timone di Memento già da un po’ nonostante io avessi curato e partecipato attivamente alle prime release, pensato al nome e al logo quando tutto è nato. Ma non è qui il punto: il fatto di lasciare Memento, oltre al management, è stata un gesto che mi è sembrato corretto nei confronti di tutti quelli che ci hanno seguiti. Ero legato a doppio filo con l’agenzia e con la label, per questo non mi sembrava giusto uscire da una porta ma restare all’interno dell’altro discorso. Volevo essere il più possibile chiaro.
A proposito di label: il momento particolare che sta vivendo la discografia ha imposto un restyling anche di Manocalda, non proprio l’ultima delle label italiane, mentre il trio Pastaboys sta vivendo una fase in cui sembrano prevalere, salvo occasioni speciali, più i percorsi legati ai singoli che quelli focalizzati sul collettivo. Dino, tu dove ti vedi? In cosa investirai le tue energie?
Dino: Premetto che il progetto Pastaboys è tutt’altro che accantonato, tanto che a breve usciremo su Rebirth con un featuring di Osunlade. Lo stesso discorso vale per Manocalda che, dopo diverse uscite digitali attraverso le quali abbiamo cercato di far quadrare le cose intorno alla label, ha finalmente un nuovo distributore con la voglia di investire sul progetto. Vogliamo che rifiorisca l’identità della label: Manocalda aveva un mercato pazzesco in Giappone e negli Stati Uniti tanto che “Body Resonance”, anche grazie alla licenza ceduta a Defected dopo le prime stampe, ha venduto quasi diecimila copie in tutto il mondo. Pensa a “Born Again” di Ricky L che aveva un potenziale tale da essere stata originariamente “ceduta” all’americana Tommy Boy e che è ritornata sotto di noi solo con i nostri remix. Ma la sai la storia della versione commerciale, che poi venne intitolato “Babylonia”, dov’è nata? Da Tiesto che anni dopo ha iniziato a suonarla col pitch a +8. Questo per ricordare cos’era Manocalda, che poi è ciò che vogliamo torni a essere, ovvero una label che abbia un volto e che si basi sul rapporto umano e non su quelle promozioni che tanto vanno di modo ora.
Per chiudere: c’è dell’altro che vi frulla per la testa, oltre a Bassa Clan?
Dino: Io vorrei dare spazio al mio progetto disco G&D, dove col mio socio Gino ci divertiamo a rieditare vecchi lavori e a remixare Dimitri From Paris e Dj Rocca.
Fabrizio: Io, dopo un po’ di “silenzio”, sto tornando su quella che era la mia traiettoria originale per riprendere a fare un suono più duro. Ho messo in moto l’ingranaggio, ora vediamo che ne esce.