Si è parlato un po’ troppo dell’Eurovision e del pessimo inglese di Emma Marrone. In Italia fa tutto schifo? No, c’è chi l’inglese lo mastica benissimo e riesce a concettualizzare il pop, tanto da paragonarlo a un ferro da stiro. Loro sono gli M+A, freschi vincitori del Glastonbury Emerging Talent Competition 2014. Michele Ducci e Alessandro Degli Angioli, accompagnati da Marco Frattini alla batteria, saliranno a giugno sul palco del Festival con la F maiuscola: Glastonbury, il tempio dove passano tutti i mostri sacri della scena musicale contemporanea.
Glastonbury. Come vi siete sentiti al momento della vittoria?
Non saprei, è stato bello, non ce l’aspettavamo, ma sono sempre un po’ appannate certe situazioni; è stato davvero tutto molto veloce, dopo la premiazione siamo ripartiti subito per Londra perché io e Marco avevamo l’aereo la notte stessa.
Come state preparando il live? Sarete sempre in tre sul palco?
Stiamo scrivendo nuovi brani e comprando nuovi strumenti. E sì, saremo sempre in tre.
A proposito, ora che Letterman è andato in pensione, dove vorreste suonare entro il 2014?
…mmh, a casa di Letterman.
Qualche anticipazione sul tour estivo?
Gireremo un po’ l’Italia e l’Europa. In Uk, oltre a Glastonbury, saremo anche al Y-not Festival (Derbyshire) Brownstock (Essex) e probabilmente anche al Nozstock (Herefordshire).
Italia. Avete attirato l’attenzione dei grossi media, a luglio sarete ospiti di UNALTROFESTIVAL e dividerete il palco con MGMT e Panda Bear. Può essere l’inizio di una nuova era per la nostra musica?
Non credo, in queste cose è un po’ come con i viaggi nel tempo dove chi viaggia resta uguale.
C’è ancora molta confusione attorno alla parola “pop” in Italia?
Credo di sì, come per altre parole e altre cose. Se il grado di incomprensione generale non fosse così radicale e ignaro delle sovrastrutture potrei anche dire che dopotutto è giusto così: il pop è di suo una parola confusa, vaga, sempre nello slittamento; starci dentro significa avere a che fare con le contraddizioni, farsene carico. Penso a cose strane se penso al pop, ad un ferro da stiro ad esempio: da un lato regolare, preciso, stirato, meccanico – strutture, strofe – ritornelli: nel pop si stira un panno – dall’altro, nel processo, c’è sempre qualcosa di qualsiasi magico, che è il vapore. Credo che quel vapore sia l’essenza del pop: far diventare il ferro un animale che sbuffa. E poi mi piace questa cosa che nel pop in fondo non ci si senta onesti, che non ci si senta né alti né bassi, che non ci sia mai piena coincidenza tra le cose, che ci sia – se ci si dispone in una certa maniera nei suoi confronti – sempre dello scarto: è un buon farmaco contro tante illusioni. In tanti altri generi, che pure abbiamo frequentato, c’è un po’ l’inganno di credere che ci sia un rapporto di esteriorità rispetto a certe dinamiche – moda e mercato, ad esempio – rapporto di esteriorità che in realtà non esiste…insomma, c’è l’inganno del tempo libero che non è mai veramente libero ed è sempre tempo del lavoro.
Parliamo degli album. “Things.Yes”, dalle atmosfere nordiche, è un esercizio di stile sui suoni. “These Days” invece, è più suonato e strizza l’occhio a gruppi come Phoenix o Beck. Cosa dobbiamo aspettarci dal prossimo lavoro?
Una fusione tra i due dischi e un salto ontologico, quello chi si vorrebbe in ogni disco.
L’artwork è uno dei vostri punti di forza, che rapporto c’è tra parole, suoni e immagini?
Ci siamo noi. Grafiche, t-shirt, e tutte le altre cose, sono fatte da noi, e sono semplicemente un altro mezzo per espandere la musica su altri livelli.
Con chi vi piacerebbe collaborare?
Todd Terje, Connan Mockasin, Chanel.
Come vi vedete tra qualche anno?
Bellissimi?