Mi è capitato di ascoltare un dj set di Marc Ash a Berlino, soltanto qualche mese fa. Oltre alla potenza emotiva e fisica che sapeva trasmettere mentre suonava, la quale si sposava perfettamente con le scelte musicali della selezione, ciò che mi ha colpito maggiormente fu la gioia che trasudava e scivolava insieme al fumo sintetico e le vibre all’interno del seminterrato in cui stava operando. Non credo sia necessario specificare cosa rendesse euforico il ragazzo e nemmeno quanto quell’entusiasmo colpisse ognuno dei presenti. Già lo conoscevo, Marc, già l’avevo sentito a Milano, sotto il nome di Crimewave, uno dei pochi baluardi di un certo tipo atipiche sonorità. Già mi aveva colpito. Crimewave oggi è stata sotterrata da concetti o preconcetti, da dinamiche italiane che ormai si reputano scontate, ma che forse ammalano, una volta di più, quell’angolo di arte sempre più stretto. Ora ci sta riprovando, a Torino, con la forza di chi sa che ogni ciclo è tale perché, ad un certo punto, si chiuderà e probabilmente ricomincerà.
https://soundcloud.com/blacksilkrecs/plovdiv-beauty-lies-in-the
Passo numero uno: qual è il disco o la traccia che ti ha cambiato la vita? La primissima. Quella che ti ha fatto capire che la musica era veramente un’emozione particolare, più intensa di altre.
“Ava Adore” degli Smashing Pumpkins. E’ curioso, nei primi ’00, a circa quattordici anni mi ritrovavo ad ascoltare principalmente musica di merda (sì, pop radiofonico americano in tutte le possibili declinazioni). Sono sincero, nessuno all’interno della mia famiglia o tra i miei amici di allora aveva una cultura musicale minimamente degna di essere chiamata tale. Vivevo in una anonima provincia del nord Italia, indegna pure di essere nominata. Per me l’unico “negozio di dischi” era il reparto audio-video dell’Esselunga, che offriva gloriose compilation quali Hit Mania o Festivalbar. Io e mia sorella minore ci ritrovavamo ipnotizzati davanti a MTV, quando usava ancora trasmettere video musicali. Un giorno, per qualche strano motivo passarono gli Smashing Pumpkins nel primo pomeriggio e rimasi subito affascinato dall’immaginario malato e fortemente disagiato di Corgan & Co, che forse meglio rifletteva la mia condizione interiore. Da lì, grazie a internet, che è stato la mia salvezza e fonte primaria di formazione musicale, approfondii la questione giungendo a Hole, Nirvana e Sonic Youth… Nel giro di qualche mese mi ritrovai ad ascoltare i Fugazi. Inutile dire quanto la mia immagine e il mio pensiero fossero cambiati: ciò nell’asfittica e benpensante provincia si tradusse presto in alienazione quasi totale dai rapporti sociali convenzionali. Sì, ne faccio una questione esistenziale, perché per me iniziare ad ascoltare musica “alternativa” significò, di fatto, lasciarsi alle spalle la predestinazione a una vita culturalmente mediocre e provinciale.
Passo numero due: quando hai capito che la musica, produrla o suonarla, sarebbe stata una parte fondamentale della tua vita?
Molto presto, per qualche inspiegabile ragione i miei genitori mi mandarono a studiare pianoforte classico dalla tenera età di otto anni. Di lì a poco compresi quello che sarebbe diventata per me la musica. A dodici iniziai a smanettare con Cubasis (una versione ridotta di Cubase) installata su un vecchio pc e a studiare i file MIDI che trovavo online: mi piaceva scomporre le canzoni che conoscevo e analizzarle scientificamente per capirne i segreti di arrangiamento e mixaggio. Più tardi scoprii i forum online sulle tecniche di produzione, mi misi a fare i primi acquisti prima DAW e successivamente di outboard analogico. I miei genitori non capivano troppo questa inconsueta passione, ma mi supportavano economicamente e presto mi ritrovai, mentre ero al liceo, con un home studio di tutto rispetto nella soffitta di casa. Allora ero sintonizzato sulle sonorità new wave anni ’80 (New Order, Devo, D.A.F., Gang of Four), andando sempre più a scoprire la sperimentazione e giungendo infine a SPK e Throbbling Gristle. La passione per l’elettronica in senso stretto arrivò più tardi, dagli ultimi anni di scuola, dopo aver assistito a un live dei Kraftwerk e di Aphex Twin nella stessa sera.
Passo a margine: quali sono stati i momenti di maggior crisi, nel tuo rapporto con la musica?
Molti, moltissimi. A causa del mio carattere e della mia indisponibilità a scendere a compromessi in campo musicale, tutti gli ingaggi con band o progetti collettivi sono finiti relativamente presto e sempre piuttosto tragicamente. L’ultimo poco meno di due anni fa. La mia (fortunatamente breve) esperienza nel mondo dell’indie italiano con un progetto pop-new wave di cui non intendo rivelare il nome, è stata tutto fuorché soddisfacente; ma a posteriori dico: meglio così! Tralasciando le irrilevanze della scena, è servito artisticamente a farmi capire che il cantato in italiano, e forse proprio il cantato, non è cosa per me. Per finire, avere intorno persone che ti ripetono giorno e notte “con questo non ci campi, spendi meglio il tuo tempo” non è stato propriamente incoraggiante. Anche se forse, per via del mio carattere ribelle, ha costituito (e costituisce tuttora) uno stimolo propulsivo per l’impegno artistico.
Passi importanti: quali sono stati finora i momenti più importanti, nella tua carriera?
Ho iniziato a sentirmi gratificato e apprezzato come artista quando mi sono ritrovato a suonare con la mia vecchia band, Cyndies, su diversi palchi europei. Cavalcavamo con discreto successo l’hype della witch-house, che faceva gran perno su di un immaginario tossico e un’iconografia (non sempre consapevolmente) oscura, ma musicalmente portava, in generale, ad esiti spesso discutibili. Tuttavia all’interno di quel circolo ci distinguemmo in qualche modo per originalità e sperimentazione, questo ci fu riconosciuto dalla critica e ci permise, oltre che di pubblicare un – bel – disco (Junkyard II, Phantasma Disques, 2011), di suonare all’estero. Iniziai a coltivare preziose amicizie (in termini artistici e in molti casi anche personali) che conservo tuttora, soprattutto nell’ambiente berlinese. Il mio recente impegno (secondario rispetto al ruolo di producer) come Dj e promoter a Milano ha portato grandi soddisfazioni. Come il successo della scorsa stagione di Crimewave, serata del tutto aliena nel panorama del clubbing milanese, che ha ricevuto una buona risposta e mi ha permesso di portare nella città meneghina in esclusiva molti amici, conoscere personalmente artisti di alto livello (Martial Canterel, Geneva Jacuzzi) e condividere palco e consolle con altri per cui provo massima stima e ammirazione (Legowelt, Veronica Vasicka). Purtroppo non sono più sicuro che questa esperienza possa continuare, a causa di seri problemi specifici della città di Milano, prima ancora che italiani.
Passi per prendere un po’ d’aria e trovare ispirazione ed energia: quali sono le tue altre passioni? Come le sviluppi? Quanto tempo riesci a dedicare loro?
Studio Beni Culturali, è un corso impegnativo che richiede molto tempo. Questo ultimamente sta limitando, purtroppo, la mia attività di produttore. Sono affascinato dall’arte in tutte le sue forme, anche visive, e mi piacerebbe sviluppare in un futuro questo gusto in ambito professionale. Magari giocando su qualcosa in equilibrio tra arte e musica.
Passi perduti: quali sono finora i tuoi più grandi rimpianti, musicalmente parlando?
Sicuramente se avessi accettato di scendere a qualche compromesso in termini di rinuncia o adattamento creativo, ora potrei parlare molto più serenamente. Sarei professionalmente più realizzato e avrei forse anche una certa autonomia economica. Ma non so quanto starei bene con me stesso. Anche il mio orgoglio, forse eccessivo, non ha aiutato. Mi rendo conto di aver sprecato molte occasioni di farmi conoscere per paura di apparire opportunista o lecchino, o perché non ritenevo la proposta sufficientemente all’altezza. Per ritrovarmi, alla fine, solo e con un pugno di mosche. Alla fine comunque mi dico: prenditi un bel respiro, hai solo ventitré anni.
Passi che consiglieresti: quali sono secondo te i cinque album (o brani) che consiglieresti e che non dovrebbero mancare nella discografia di tutte le persone a cui vuoi bene o che stimi?
The Velvet Underground & Nico
Cabaret Voltaire – The Covenant, The Sword And The Arm Of The Lord
Maurizio Bianchi/M.B. – Neuro Habitat
Aphex Twin – Selected Ambient Works 85-92
Dopplereffekt – Gesamtkunstwerk
Passi in biblioteca o videoteca: quali libri o film consiglieresti?
Sartre, “La Peste” di Camus, “L’idiota” di Doestovskij. Come registi adoro Antonioni (suo capolavoro “Deserto Rosso”), tra i contemporanei senza dubbio Von Trier.
Passi fondamentali: qual è il risultato artistico di cui finora vai più orgoglioso?
Mi sento pienamente realizzato nel mio nuovo progetto “Plovdiv”, ma si trova ancora in una fase di limatura. Per ora, una traccia è uscita lo scorso dicembre su un 12” per una compilation su Minimal Trends Records, ottenendo ottimi feedback. Anche l’attività collaterale da dj mi sta dando buone soddisfazioni. Mi capita spesso di suonare a Berlino, ed è sempre un’esperienza stupenda.
Passi virtuali: come stai vivendo l’onnipresenza del web nelle nostre vite in questi anni? Visto tra l’altro che questa è una intervista che stiamo facendo per un media on line…
Come ho già detto, devo praticamente tutto a internet, artisticamente parlando. Senza web dalla sperduta provincia e senza alcun appiglio, non avrei potuto, innanzitutto, farmi una cultura musicale. Inoltre non sarei stato in grado di diffondere le mie produzioni, creare una rete di contatti, organizzare serate e via discorrendo. Una nota negativa del web, soprattutto inteso come “social”: per molti non è un mezzo, ma il fine stesso. Mi spiego, un crescente numero di “fenomeni” da social network si crea alibi patinati e studiatissimi, spesso completamente distanti dalla loro reale personalità, cercando così di colpire o “sfondare” in qualsiasi campo creativo, talvolta persino saltellando da un ambito all’altro (dalla musica, alla fotografia, agli eventi, alla moda…). Premesso che già la definizione di “creativo” mi fa venire l’orticaria, questo atteggiamento non funziona, o meglio a volte (purtroppo) funziona; ma lascia il tempo che trova. Sono convinto però che non lascia alcuna traccia nella storia. Credo che chiunque senta in sé il germe dell’arte sia in grado di smascherare questi istrioni del presenzialismo.
Passi in compagnia: quali sono i dj e producer con cui senti più affinità, e con cui vorresti sempre e comunque condividere parole, progetti, obiettivi?
Sento di avere un’affinità elettiva con Dominick Fernow (aka Prurient, Vatican Shadow), in qualche modo ogni sua produzione asseconda i miei stati d’animo. Tra gli italiani devo moltissimo al romano Lory D e alla sua concezione essenziale e profondamente inquieta di techno. Voglio citare i miei amici conterranei Morkebla e Luca Sigurtà: abbiamo creato e condiviso una scena unica e bellissima, sono davvero felice che stiano riscuotendo successo nei rispettivi generi.
Passi incrociati: qual è la situazione, musicale e non, più assurda che ti è capitato di vivere?
Aprire il dj set di Sasha Grey. Suonare nell’abside di una chiesa protestante a L’Aia dopo Ghedalia Tazartes e ritrovarsi a fare after con questo grande uomo di cultura immensa.
Passi sbagliati: quali sono le cose che più ti danno fastidio nella scena musicale italiana?
L’Italia offre artisti di grande valore, ma questi sono di fatto proiettati all’estero dove sono maggiormente apprezzati, recensiti e remunerati. Escono per etichette straniere, suonano principalmente fuori e alcuni si sono trasferiti. Non lo dico per esterofilia, credo sia un dato di fatto sotto gli occhi di tutti. Le uniche scene italiane per cui ho considerazione sono quelle che, con grande apertura mentale, guardano fuori e chiamano da lì artisti di livello, tra cui anche molti italiani “di rimbalzo”. Credo che Torino sia la città maestra in questo, ma anche a Roma si stanno muovendo cose interessanti negli ultimi anni. Milano, un tempo avanguardia d’Italia, è ridotta a un lumicino: di fatto è rimasta una sola realtà che propone con regolarità un programma apprezzabile. La colpa? Del pubblico, prima di tutto. Poi vengono i gestori dei locali, che guardano davvero solo ai soldi, relegando all’impegno sull’artistico il ruolo di zerbino. Altro discorso: aprire (seriamente) un’etichetta in Italia, aprire un locale in Italia, aprire un’impresa in Italia. Oggi. Vogliamo parlarne…? Spero, tra quindici anni, di poter parlare in modo diverso di questo Paese, ma serbo forti dubbi a riguardo.
Passi che stai per compiere: quali sono i tuoi prossimi progetti?
Sono in procinto di collaborare per una nuova serata a Torino (dove mi sono trasferito da pochi mesi), “Devil’s Dancers”, in qualità di dj e direttore artistico. E’ un progetto molto ambizioso, vogliamo mettere qualche goccia di oscurità nella proposta musicale di questa città, che certo non soffre di carenza d’offerta nell’ambito dell’elettronica, ma qualcosa del genere ancora mancava. Indubbiamente sarà ispirata all’esperienza milanese di Crimewave, forse leggermente più audace e coraggiosa in alcune scelte. Torino è una città estremamente ricettiva, il pubblico non ha paura di sperimentare nuove cose ed è molto più spontaneo. Ho sempre in stallo il progetto della mia label, “Blacksilk Records”, che spero vivamente di riuscire a concretizzare un giorno nella forma di releases limitate su nastro di elettronica oscura.
Passi sinestetici: salutaci non con delle parole, ma con una traccia, non importa se tua o di altri.