E’ lungo? E’ lungo. Ma leggetelo tutto e leggetelo con grande attenzione, il comunicato riportato a fondo articolo emesso dagli organizzatori del Radar Festival di Padova. Festival di cui siamo partner: felicissimi fin dall’inizio di esserlo, vista la grande qualità della line up (oltre al programma ufficiale, gli aftershow sono stati fatti chiamando rappresentanti di roBOt Festival, Spring Attitude, Dancity a suonare, un piccolo tocco in più che la dice chiara sulla conoscenza e la consapevolezza degli organizzatori del festival).
Ci sarà tempo e modo per parlare di musica, di come sono andate le cose sui palchi. E’ più urgente spargere subito la voce su come si è comportata l’amministrazione cittadina nei confronti del festival. E quindi: leggete il comunicato di Radar Festival. Su singole questioni sarà giusto sentire anche la controparte, ma la storia è sempre la stessa: in Italia le discrezionalità a norma di legge saltano fuori solo ed esclusivamente quando fa comodo. Noi ci auguriamo che la giunta padovana, appena insediata e da subito autrice di proclami non proprio concilianti verso un certo tipo di cultura (quella sintonizzata con l’Europa, non quindi quella museale, televisiva, o da sagra e strapaese), applichi lo stesso tipo di durezza e rigore legislativo anche nei confronti delle feste di partito (del suo partito, in primis), dei concerti dei Pooh o di gruppi similari (nulla contro i Pooh, ma – ci siamo capiti), permettendosi sempre di smentire se stessa come e quando vuole, stravolgendo i pareri preliminari al momento della concessione o non concessione definitiva dei permessi. Facesse così, ok, lo accetteremmo.
Peccato però che facesse così probabilmente sarebbe difficile organizzare alcunché. E poi, per quanto riguarda i lamenti dei residenti, le famose sessantesette telefonate ricevute dai vigili (a fronte di un rispetto quasi totale delle limitazioni d’orario di concerti e soundcheck così come stabilite per legge) e delle supposte decine di lettere arrivate al Comando dei Vigili (il primo caso in cui le Poste consegnano una missiva in meno di 24 ore? Wow!), ecco: sarebbe anche ora di smetterla. O di rispondere a tono. Le stesse persone che telefonano o mandano lettere ai Vigili per lamentarsi dei rumori di quattro giorni di Radar Festival sono le stesse che non si lamentano e non chiamano quando negli altri trecentosessantuno giorni il Parco delle Mura è lasciato all’incuria e agli spacciatori (si sa, chi spaccia non fa rumore: bravo lui).
Ma a queste persone e a questa amministrazione comunale, a questo punto, vorremmo telefonare noi. Negli altri trecentosessantuno giorni dell’anno. Ogni giorno. Più volte al giorno. Per ricordare come la cieca battaglia contro tutto ciò che è innovazione e contemporaneità è un drammatico autogol, una fesseria proprio dal punto di vista della progettualità imprenditoriale. Per quattro giorni lorsignori devono subire rumori molesti ed irregolarità amministrative, ma negli altri trecentosessantuno chi ci ripaga del vuoto e dell’arretratezza culturale, di una politica culturale che appoggia sempre più solo nomi già conosciuti, già visti, già televisti, e soprattutto già strabolliti se osservati sotto un’ottica europea e non da strapaese? Un investimento (sottilineiamo: investimento) che nasce morto?
Radar Festival può aver fatto qualche errore, non lo escludiamo in partenza: magari qualche permesso non è perfetto, magari qualche orario è stato sforato di una decina di minuti. Ma portare quasi quattromila persone paganti e motivate in un luogo di suo altrimenti deserto e pericoloso, e portarle con nomi che devi andarti a cercare, che non è che ti piovono addosso quando fruisci passivamente televisione o radio commerciali, dovrebbe essere considerata una vittoria per tutti, a partire dall’amministrazione comunale della città coinvolta. Perché le amministrazioni dovrebbero premiare le idee più nuove, dinamiche, in grado di marciare sui sentieri più globali e di illuminare nuovi spazi di economia, cultura, imprenditorialità. Premiarle, e creare le condizioni affinché possano crescere e moltiplicarsi.
Non è così? Le amministrazioni non concordano? Non considerano quella giovanile, innovativa e di taglio e respiro europeo una cultura rilevante da tutelare? La considerano un problema, o un vezzo da intellettuali ricchi di famiglia che si fanno le canne? Benissimo. Andate avanti così. Sì dai, fatelo. Poi un giorno perderemo la pazienza però, e saranno cazzi amari. Perché vi diamo una notizia: non è più come nel trentennio berlusconiano, quando una generazione è stata rincoglionita a colpi di karaoke con Fiorello, veline, tronisti e placebo televisivi vari. Occhio che il vento sta cambiando. Occhio che un tempo i padovani non sapevano e non potevano sapere cosa accadeva a Londra e Berlino, ma anche Barcellona, Parigi, Belgrado, Zurigo, città-straniera-a-caso; ora invece sì, ops, e soprattutto saranno sempre di più a saperlo. E fidatevi, ad un certo punto non basterà un nuovo concerto dei Pooh o una tappa del tour di Amici a placarli. A breve, non basterà più.