C’è questo ragazzo biondino, magro come un chiodo e con un sorriso così, una scheggia che quando ti passa davanti fai fatica a intravedere, uno di quelli che riconosci a ballare fra i più infiammati nelle prime file sotto una consolle. Il suo nome è Davide, classe 1990, ma tutti lo conosco come Barks. Se stessimo parlando di calcio, lo sport che, soprattutto dalle nostre parti, è spesso metro di paragone per raccontare la vita, potremmo etichettarlo come una giovane promessa con i piedi buoni, un fantasista più che un attaccante di sfondamento. Però stiamo parlando di musica elettronica, infatti io e lui c’incontriamo nel backstage del MusicalZoo Festival di Brescia che, sotto certi aspetti, ad uno spogliatoio ci assomiglia un poco. Io lo devo intervistare, lui arriva bagnato fradicio (piove) con quello stesso sorriso cui accennavo nelle prime righe. In consolle c’è Tessela. Poi è il suo turno e già me lo vedo, con la stessa carica di quando balla ad occhi chiusi tra la gente, sbattersi in consolle prendendosi l’energia di quelli che fino a poco prima erano al suo fianco. “Piove parecchio.” gli dico. Lui mi guarda e risponde: “Eh sì, ero sotto la consolle. Sta suonando Tessela, mica un tipo banale.” “Io sono quello che ti deve intervistare.” “Ah, perfetto. Ti va di sederti per terra?”
Allora, prima di farti qualsiasi domanda che ti riguarda, voglio chiederti cosa consideri techno oggi, adesso. Possiamo dire che è un concetto che si sta colorando di parecchie sfumature ultimamente, forse troppe.
Diciamo che io non sono un fondamentalista. La techno è difficile da catalogare, per quanto mi riguarda è quel tipo di musica elettronica che richiama i miei punti di riferimento. Questo non vuol dire che ogni cosa elettronica che ascolto la catalogo come musica techno, ovviamente. Ciò che è sicuro è che ormai non possiamo più collocarla soltanto sotto la colonna ‘quattro quarti’. Non è più così. In questo concetto mi ci ritrovo, perché credo che la techno non sia più una questione di ritmi e sonorità, bensì di concezione e pensiero.
Allora secondo te, in ogni caso, la definizione di techno, non esiste più.
Si è un po’ persa, ma è giusto così, perché è una definizione che, se vogliamo, etimologicamente parlando deriva dalla tecnologia, quindi è un qualcosa che non può restare fermo, ma si deve evolvere. Se io dico che oggi la techno è questa cosa, spero che dopo due anni si sia trasformata in qualcos’altro.
Quindi tu che musica fai?
Io faccio techno. (ride) In base al contesto in cui suono decido di prendere una derivazione rispetto ad un’altra, rimanendo sempre ancorato a ciò che mi piace. Ci sono state occasioni in cui ho sentito di poter suonare cose dark, sperimentali e distorte di difficile fruizione, ma sono andato comunque ad attingere da quella parte di techno che amo e che allo stesso tempo è facilmente comprensibile anche da chi non è necessariamente all’interno di un certo tipo di circuito.
Cosa vuol dire ‘di difficile fruizione’?
Ti faccio un esempio: alla Buka a Milano ho avuto totale libertà. Sapevo che il pubblico sarebbe stato molto aperto e di conseguenza ho suonato roba che in moltissime realtà italiane non avrei potuto proporre. Mentre, altro esempio, ho suonato ad un festival dove c’erano quattromila persone e prima di mettere un pezzo senza cassa c’ho pensato due volte, perché sapevo che la gente non lo avrebbe voluto. Cioè, devi saperla gestire una cosa del genere. Fa parte del gioco. Puoi e devi cercare d’influenzare le tue sonorità con quello che ti piace e quello che ami veramente, ma non puoi permetterti di fare quello che vuoi.
Invece su disco, come ti approcci?
Fondamentalmente mi permetto di fare quello che desidero e questo vuol dire dosare sia il ballabile e lo sperimentale sincopato.
Da un po’ di tempo si sente parlare molto di te, sia in Italia che all’estero. Diciamo che sei riuscito finalmente a sfondare. E’ stata una cosa difficile oppure spontanea? Come ci sei arrivato?
Credo che il punto zero sia legato al mio set durante il Barrakud Festival dell’anno scorso. C’erano i giornalisti di Resident Advisor e mi hanno citato nell’articolo. E’ stata una cosa non programmata. Quella secondo me è stata la chiave di volta, poi è venuto tutto da sé, anche le cose che non mi sarei mai aspettato di fare e vivere fino a pochi mesi fa.
Tipo?
Tipo le interviste. (ride)
Prima hai parlato di compromessi. Ti sei dovuto adattare in qualche modo? Mi riferisco alle tue produzioni.
Direi di no. Voglio dire, adesso ho del materiale nuovo e ho virato leggermente il tiro, ma come concezione è simile al primo. Quando sono in studio, molto banalmente, faccio il 50% di cose classiche e l’altro 50% di cose strane, permettimi il termine. tracce senza beat, senza cassa, oppure droni. Questo nuovo lavoro ha la stessa direzione, di conseguenza non ho ancora avuto occasione o dubbi sul dover far fronte a determinati compromessi per una label piuttosto che un’altra. Per ora non m’interessa fare la hit dell’estate, capisci?
Direi di sì. Che cosa cerchi nei tuoi suoni a livello emotivo quando produci?
Allora, a luglio dell’anno scorso ho voluto smettere di fare determinate cose e cambiare nome sia a livello di produzioni sia di dj set. Dunque il primo EP, “Wood”, era banalmente legato all’alias che mi ero dato e le tracce erano di un anno e mezzo prima. Il concept era abbastanza scuro e legato all’immagine della natura, infatti ci sono molti campioni di rumori di legno che viene percosso, per esempio. Quello che ho appena chiuso invece, contiene sempre parti registrate, campionate e qualcosa da field recordings, ma ha anche un approccio più diretto e un po’ più cattivo. tra l’altro ci sarà un remix dei Dylan God, conosci?
Certo. In che senso hai dovuto smettere di fare determinate cose?
Semplicemente ho deciso di ricominciare da capo. Ho cancellato tutto quello che avevo condiviso su SoundCloud a mio nome e ne ho inventato un altro. Facevo qualche data grazie, per l’appunto, ai contatti telematici, ma poca roba.
Di fondo era la stessa idea, oppure hai cambiato, oltre che attitudine, anche modo di concepire i suoni?
Era sempre musica che sentivo “mia”, ma non mi chiamavo ancora Barks.
Ed è stata un’auto-imposizione?
No, in realtà no. Solo che avevo l’EP pronto e non mi andava che si andasse a mischiare a tutto il materiale che avevo messo in free download, quindi mi sono detto: ripartiamo da zero e affrontiamo il tutto in modo più serio. Quindi mi creo un concept fatto bene e provo a mandare il promo. Insomma, alla fine ce l’ho fatta.
Hai in programma dei live?
E’ in programma da un po’, sarà una cosa molto concettuale. E’ un progetto a lungo termine, comunque. Non credo vedrà la luce prima di gennaio dell’anno prossimo. Diciamo che è ancora in fase embrionale.