La house, la techno e i beats. I tre terreni più vivaci dell’elettronica di coinvolgimento, che da soli racchiudono un buon 80% di quel che i giovani producers tirano fuori di questi tempi. Dentro son soddisfatti tutti i potenziali bisogni degli ascoltatori e degli artisti di oggi: tradizione e sperimentazione, forma e contenuto, underground e orientamento poppy, durezza e flessibilità. Le tre compilation di cui vi parliamo in questo #crumbs offrono un punto di vista autorevole per ognuno dei tre ambiti, non omnicomprensivo né indicatore della tendenza complessiva, ma sicuramente vicino al meglio che questi generi stanno offrendo quest’anno. Ci piacciono, queste compilation, ci tengono alta l’attenzione e ci ricordano quel che non muore mai. Da decenni. E meno male.
[title subtitle=”Street Bass Anthems, l’orgia dei ritmi firmata Seclusiasis”][/title]
Se andate sulla pagina discogs della Seclusiasis troverete ancora scritto che quella di Starkey e Dev79 è “una label dubstep“. Non è mai stato solo questo, nemmeno agli inizi, e sicuramente non lo è più da parecchio tempo. La Seclusiasis è sempre stata un parco giochi dove Starkey & co. si son divertiti a giocare coi suoni più sghembi del momento, da dieci anni a questa parte. “Street Bass Anthems” è la compilation a cadenza grossomodo annuale, dove i boss tirano dentro tracce prese da ogni dove. Ma devono essere pezzi folli, di quelli che nessuna label di norma pubblicherebbe perché non esiste alcuna label che si dedica a pezzi così fuori schema. Ecco, dove le altre non riescono ad arrivare, arriva la Seclusiasis. “Street Bass Anthems Vol. 1” usciva nel 2006 e il focus era più sulle bizzarrìe grime del periodo, oggi siamo al volume 7 e la trap regna: con le sue forme impossibili da inquadrare, coi suoi ritmi mai fermi, i suoi eccessi ghetto e le sue potenzialità più atmosferiche. È la fiera del weirdismo, da prendere come tangente estrema, i confini più avanzati in cui i beats possono spingersi ad oggi. E tra vari pezzi degli stessi Dev79 e Starkey (non chiedetevi che fine ha fatto lo Starkey di “Ear Drums And Black Holes”, siate buoni), c’è anche l’ultima fatica del nostro The Golden Toyz, che quando c’è da esagerare non si tira mai indietro. Che ve lo dico a fare.
[title subtitle=”Chi vuole underground mangia techno: il Fabric di Dettmann”][/title]
Niente da fare, è proprio come dicono su RA: la dimensione massima di Marcel Dettmann è quella di dj e di selector, non quella di producer. Quando produce album lui lavora di teoria e prospettive, dà vita a lavori rispettabili, ma non son quelli che l’han reso il mito che è ora. Oggi Dettmann è Dettmann perché incarna nella sua persona tutto quello che il pubblico vuole dalla techno oggi. Che si può riassumere in una sola parola: underground. In un periodo in cui ogni cosa può cedere alla commercialità, la techno oggi intende posizionarsi in maniera stabile dentro le fedeli mura della sua purezza, garantendo al suo pubblico quel mix di rigore, senso di appartenenza, ascolto di culto e riverenza religiosa di cui oggi si ha tanto bisogno. Non c’è nessun altro genere oggi che può garantire l’attitudine underground quanto la techno, e Dettmann è la guida autorevole che le sta dando le direzioni. Per questo il suo Fabric 77 rappresenta l’essenza della techno 2014 meglio di tutti gli altri. Dentro c’è il gusto e lo spirito suo e dei suoi sodali, tutti i giovani della sua MDR e la giusta dose di nomi classici. Non è l’innovazione che si cerca qui, ma la severità, l’intransigenza, l’impermeabilità da ogni distrazione. Si potrebbe quasi parlare di tradizione.
[title subtitle=”Educare con empatia: gli insegnamenti house di Solomun”][/title]
La house invece agisce in modo diverso. Se i beats sono il bambino vivace che scorrazza nel giardino e la techno il patriarca con tanta esperienza che tramanda raccomandazioni d’integrità, la house è una madre flessibile ma decisa, che ammorbidisce gli insegnamenti e trasmette autorità con morbidezza ed empatia. Sa accompagnarti, la house, sa capire le tue esigenze, ti viene dietro, ma (anche se non te ne accorgi) ti dà una guida, ti sorveglia, fa in modo che tu non prenda direzioni cattive o faccia scelte malvagie. A settembre è uscito il “Global Underground #40” firmato Solomun, quattro anni dopo il precedente, e niente meglio di esso suona come una mano dolce ma consapevole, pronta a condurti nelle strade migliori per te. Due dischi testimoni di una flessibilità enorme, col primo disco capace di scorrere le delicatezze dei vari Sohn, Christian Löffler, Jay Paul e Planningtorock e il secondo che poi ti ripete il messaggio con fare serio, facendotene capire l’importanza. Ti coccola come un bambino ma non ti dà occasione di ridere e scatenarti, Questo è impartire educazione in maniera coscienzosa, far passare una lezione chiara senza il peso di un monologo dalla cattedra. Sono i tuoi stessi passi che ti stanno insegnando qualcosa riguardo a quel che la house può e vuole fare in questo momento storico: guidare il gusto, mettendo bocca su ogni fronte senza paura, ma pronunciando sempre parole equilibrate. E tu l’hai capito sulla tua pelle, mentre ti lasci trascinare una volta ancora, di nuovo con forme diverse, di nuovo con un’eleganza che non ha nessuno. Nessuno.