Gli artisti con alle spalle una carriera lunga e variegata come quella di Joey Negro sono molto pochi, ma ancora meno sono quelli in grado di mettersi a nudo e di raccontarsi in maniera così approfondita e articolata: per molti di noi appassionati di musica l’occasione di aprirci e di raccontare la nostra passione è spesso un invito a nozze, ma ci è capitato davvero di rado di assistere a un autentico fiume in piena come è stato Dave durante la nostra chiacchierata. Inutile dire che i racconti di uno che produceva hit da Top 10 quando molti di noi facevano le elementari, o magari non erano nemmeno nati, sono qualcosa che chiunque abbia un minimo di interesse nella musica in generale, e non solo nella “nostra”, potrebbe ascoltare per ore, ma neanche nei nostri sogni migliori avremmo mai pensato che un artista del calibro di Joey Negro si sarebbe dimostrato così disponibile a condividere la propria esperienza.
Allora, com’è andata la stagione estiva? So che quest’estate hai avuto una residency al Glitterbox a Ibiza, com’è stato? E come va in generale sull’isola?
E’ stata un’estate piuttosto ricca di impegni, sono stato a Ibiza quattro o cinque volte e ho suonato in altre parti del mondo e in UK, quindi è stato un sacco di lavoro, che direi è ottimo. In generale credo che ci sia stata un po’ una resurrezione della house music, che significa che ho suonato in posti che volevano quello che faccio; le date al Glitterbox sono state ottime (suonerò anche al Closing Party del 27 Settembre), e anche quel poco che ho visto nel resto dell’isola nei weekend in cui riuscivo a restare lì mi è parso valido. Credo che Ibiza sia sempre stata un posto un po’ più per le cose techno e strumentali, non è mai stata un posto da soulful house o da disco: la maggioranza dei party sono più techy e più orientati alla “drug music”, e da che io mi ricordi è così, ho suonato sull’isola molte volte ma non è esattamente che abbia quintali di richieste di suonarci, e posso immaginare anche che dei dj sentano la spinta a suonare un po’ più techno quando sono lì, o ad andare verso un sound più progressive o verso l’EDM, che poi è la musica che va per la maggiore adesso.
Sono d’accordo con te sulla resurrezione della musica house degli ultimi anni, e mi porta al prossimo argomento di cui volevo parlare con te, che è un po’ la storia della tua carriera: cominciamo dall’inizio, quali sono i tuoi primissimi ricordi musicali? Com’è stato che hai iniziato ad appassionarti di musica?
Credo sia stato grazie alla musica che sentivo in televisione da piccolo, c’era questo programma in UK intitolato “Top Of The Pops”, all’epoca c’erano solo tre canali in tv, non era come ora che basta andare su Mtv o su uno qualunque di tutti questi canali musicali e puoi sentire tutta la musica che vuoi, era molto più difficile sentire musica; poteva capitare che sentissi un disco che ti piaceva e poi poteva passare del tempo prima che lo sentissi di nuovo, non come ora che basta andare su Youtube e puoi sentirlo tutte le volte che vuoi. Era un’altra era. Mio padre è abbastanza appassionato di jazz, e anche mia mamma è appassionata di musica e ne ha anche scritta, e quando ero piccolo ascoltava la musica contemporanea di allora, come la colonna sonora di “Jesus Christ Superstar” o quella di “Hair”, o i Beatles, mentre mio padre era più uno da jazz e da blues, per cui ricordo di averne ascoltato un po’ anch’io, ma in generale ricordo di aver ascoltato un sacco di musica in televisione, adoravo le sigle di alcuni programmi, accendevo la tv solo per sentire le sigle anche di programmi che poi non mi piacevano, oppure mi piaceva la musica di pubblicità che sapevo c’erano prima del telegiornale e accendevo la tv solo per quello. In sostanza, mi piaceva la musica in generale, mi dava sensazioni piacevoli, ed è stato lì che è iniziato il mio amore. Poi ho iniziato a concentrarmi un po’ di più su “Top Of The Pops”, a seguire alcuni gruppi, all’epoca mi piaceva quello che si chiamava “glam rock”, tipo gli Sweet, Gary Glitter, i T-Rex e cose simili, ed è stata anche la prima musica che ho comprato, sarà stato circa il ’73-’74, e nello stesso periodo ho anche iniziato a imparare a suonare la chitarra, poi è arrivata la disco, ed è stata qualcosa di cui mi sono innamorato immediatamente, anche senza saperne niente, avevo solo sentito qualcosa alla radio tipo Heatwave, Boogie Nights, i Jacksons, ed è stato lì che poi la musica è diventata il mio hobby principale. Ovviamente da ragazzino oltre alla musica avevo anche altri passatempi, come le macchinine, gli skateboard e così via, ma attorno ai quindici-sedici anni anni la musica era già il mio passatempo principale.
Ci sta, credo che un po’ tutti “noi” abbiamo avuto un momento in cui abbiamo scoperto che la musica era la nostra passione principale. Tu però poi ci hai costruito su una carriera: quando è stato che hai fatto il passo da “la musica è il mio passatempo principale” a “ok, sono un musicista”, o comunque a “la musica è il mio lavoro a tempo pieno”?
Non mi considero proprio un musicista, cioè, so suonare qualche strumento ma non sono un pro. In ogni caso, verso metà anni ’80 passavo già molto tempo a fare musica, in studio con un amico, anche se non era proprio dance music, era più roba in stile Pet Shop Boys, perché era quello che riuscivamo a fare con le macchine che avevamo, poi credo nel 1986 ho iniziato a lavorare in un negozio di dischi a Londra ed è stato il primo lavoro in cui mi guadagnavo da vivere con la musica. Poi ho lavorato per un distributore di dischi, Rough Trade per due anni, e poi ancora ho aperto la mia prima etichetta pagata da Rough Trade stesso, e più o meno in quel periodo ho iniziato a fare musica più vicina all’house, tipo nell’88-’89, più o meno in quegli anni ho iniziato a capire che la musica sarebbe stata il mio lavoro, poi più o meno tre anni dopo ho chiuso l’etichetta e ho iniziato a produrre più musica più che a lavorare con la musica, e quello è stato il momento in cui ho capito che mi sarei guadagnato da vivere con la mia musica, anzichè con la musica in generale.
Parlando delle tracce famose a cui hai messo mano, ce n’è una di cui sono particolarmente curioso, che ho scoperto che hai prodotto tu solo leggendo la tua bio: “Relight My Fire” dei Take That. E’ veramente tua? Com’è stato che sei entrato in contatto con la band, e com’è stato che quello che poi sarebbe diventato Joey Negro ha prodotto una boy band? Qual’è la storia dietro il disco?
Sì, l’ho veramente prodotta io! Era tipo il ’96, avevo già stampato dei dischi con la Virgin, anche già come Joey Negro, in particolare “Do What You Feel” aveva avuto un certo successo e qualche altro disco mio era finito in Top 40, ma non è che avessi già prodotto delle gran gran gran hit; ero già comunque piuttosto conosciuto nell’ambiente, in quel periodo, come quello che faceva i remix disco per le major; in sostanza, per le major ero “mister disco”, avevo questa reputazione. Quello che credo sia successo, quindi, è che l’A&R dei Take That è andato da un mio amico e gli ha detto “voglio una traccia disco”, e lui gli ha detto “devi parlare con Dave Lee”, per cui ci siamo incontrati e mi ha fatto ascoltare una traccia disco che voleva che producessi per i Take That, ma io avevo già suonato nella versione originale di “Relight My Fire” di Dan Hartman, e gli ho detto che pensavo che sarebbe stata una grande idea che i Take That ne facessero una cover, perché la versione originale non era proprio famosissima in UK, era più una hit underground, mentre “Instant Replay” era molto più famosa. Ci è voluto un po’ di tempo perché il processo era piuttosto lento, ma ho prodotto la cover dei Take That ed è stato divertente produrre un disco per degli artisti pop come loro, perché ci metti la stessa quantità di energie che impieghi per produrre una traccia underground, ma poi appena l’hai finita e l’etichetta è soddisfatta si mette in moto questa macchina che fa in modo che la tua traccia sia letteralmente dappertutto, la senti al supermercato, la senti uscire dalle macchine in strada, mentre magari sei abituato a sentire le tue produzioni solo nei club. E’ stato molto interessante perché era qualcosa di diverso a quello a cui ero abituato, quando ci sono di mezzo delle pop stars la musica è sempre ovviamente importante, ma c’è anche un sacco d’altro a cui noi normalmente non siamo esposti, tipo gli aspetti di marketing; le stesse persone con cui poco prima eri in studio a produrre il disco poi le vedi sulle copertine delle riviste in giro, e anche questo contribuisce al successo del disco stesso, in maniera enorme.
Vero. Fast-forward, arriviamo a oggi: dopo “Relight My Fire” e dopo tutto il resto che hai fatto e passato, a che punto ti senti di essere ora, rispetto ad allora, sia dal punto di vista della tua carriera che da quello musicale? Cos’è cambiato, e cosa è rimasto uguale?
Beh, in molti modi è cambiato tutto un sacco. Mi ricordo che a me è successo di comprare dischi di artisti tipo, non so, gli Chic, o gli Earth Wind & Fire, e li adoravo, e poi quando sono diventati famosi, com’è successo proprio agli Earth Wind & Fire quando è uscito “Powerlight”, e ricordo di aver pensato che si fosse un po’ perso quello che c’era di buono e che mi piaceva in loro, come se stessero cercando di essere un po’ più commerciali. Ho sempre cercato di non fare così, voglio dire ho fatto dei dischi che non mi piacciono particolarmente – ok, molte delle cose che ho fatto in effetti mi piacevano al momento, ma in generale ho sempre cercato di mantenere quella che credevo fosse l’essenza, quello che c’era di buono in quello che facevo all’inizio, nel ’90, ’91, ’92, cerco di mantenerlo anche in quello che faccio ora, ma cerco anche di fare in modo che la mia musica vada avanti; sono molto più bravo a fare musica adesso di quanto fossi allora, anche solo perché ne so di più sulla tecnologia e sulle macchine in studio. Adesso il modo di lavorare è completamente diverso, è vero, ma in ogni caso adesso se ad esempio ho un problema in studio so già come risolverlo, mentre una volta magari non ne sarei stato in grado, e magari avevo solo due giorni di studio prenotati e qualunque cosa venisse fuori alla fine di quei giorni doveva andarmi bene per forza, e magari ti dicevi “vorrei poter tornare indietro e sistemare questa o quella cosa”, ma non si poteva, perché magari era un remix che dovevi fare anche abbastanza in fretta e non potevi tornare in studio a meno che non fosse davvero davvero importante, dovevi abituarti a vivere con cose che ti sembravano sbagliate. Ora invece sono in grado di rimettere mano alle cose più facilmente e farle esattamente come voglio che siano, e direi che mi piace di più così, anche se a volte significa che lavori alle stesse cose per molto tempo, ma comunque mi diverto ancora a produrre musica, per cui credo la musica che faccio ora sia almeno buona quanto quella che facevo dieci o vent’anni fa; poi c’è quel discorso che credo valga per tutti i produttori che in tutta la musica che fai c’è qualcosa che è davvero buona – si spera -, qualcosa che è ok, qualcosa che non è buona come volevi che fosse, è qualcosa di insito nella natura del processo creativo, non puoi sempre produrre una hit. In particolare io sono piuttosto critico, e per fortuna adesso sono nella posizione di poter non rilasciare qualcosa o non finirla se penso che non sia abbastanza buona, ed è anche la ragione per cui non faccio più tanti remix ultimamente, perché non voglio remixare tracce che non mi piacciano, non ho più bisogno di buttar fuori decine di remix giusto per essere pagato, per fortuna non ne ho bisogno; negli anni ’90 ne ho fatti molti di più perché era quello di cui avevo bisogno per pagare l’affitto dello studio, e sono quelle le tracce che quando mi guardo indietro penso che magari non sono le mie tracce migliori, perché magari ero un po’ di fretta, o magari gli ingredienti che avevi ricevuto non erano i migliori, o cose del genere. In ogni caso, mi piace ancora molto fare musica, e ho ancora un sacco di idee, vorrei giusto essere in grado di metterle in pratica più velocemente.
Chiaro. E credo che la velocità con cui un artista è in grado di mettere in pratica le proprie idee sia cambiata un po’ per tutti grazie alla tecnologia, nel corso degli anni, quindi che non sia solo una cosa legata al fatto che ora sei un produttore più esperto di quando hai iniziato. Quello che però vorrei sapere da un DJ e da un A&R esperto come te, è se e come la tecnologia ha influito sul sound che arriva dai “nuovi” produttori.
Certo che ha influito, credo che la maggior parte dei cambiamenti nella storia della musica siano stati guidati dalla tecnologia, come ad esempio quando è arrivata la chitarra elettrica e ha cambiato il suono di tutta la musica che è stata prodotta da lì in poi, e la stessa cosa è successa coi synth e con le drum machines, i campionatori e così via. La tecnologia di oggi fa sì che chiunque abbia uno studio completo sul proprio laptop, e la differenza principale che deriva da questo è che c’è un sacco di gente che produce musica anche senza essere necessariamente musicisti o senza aver avuto un’istruzione musicale, e anche senza budget stratosferici; ai “vecchi tempi”, se avevi un contratto con un’etichetta era perché eri una persona di talento – normalmente almeno, non sempre – e perché l’etichetta aveva dei soldi da investire nella tua musica, si poteva permettere degli altri musicisti per esempio per le parti dei fiati, o quelle dei violini, o un’orchestra. Un sacco di tutto ciò adesso non c’è più, e molti di quelli che producono dance music lo fanno su etichette proprie, senza aver bisogno di una band, e costa molto meno. Un po’ mi dispiace per loro, soprattutto per i musicisti più giovani, perché vuol dire che non ci sono più soldi da spendere per vocalist o cose del genere, ma questo è lo stato delle cose e non ci si può fare granché. Quello che comporta tutto ciò, però, è che c’è un sacco di musica mediocre in giro; non è necessariamente cattiva musica, magari è solo musica di ragazzi alle prime armi, e quasi mai si riesce a iniziare subito con dei dischi magnifici, ci vuole quasi sempre almeno un paio di dischi mediocri prima di trovare il proprio groove, e magari questi ragazzi vendono un centinaio di download dei loro primi dischi e questo li porterà a diventare i grandi producer di domani; per molti di loro non sarà così, ma per alcuni sì, e in ogni caso è così che stanno le cose e non si può combattere questa situazione, non è che si possa dire che non vuoi che esistano i laptop, o Ableton, o Logic, o qualunque cosa usi la gente. Penso solo che quello a cui ci ha portati questa situazione sia che c’è davvero tantissima musica, e che molte di queste tracce suonano simili tra loro, c’è un sacco di musica che a me sembra noiosa, perché campiona dischi che sono stati campionati già migliaia di volte; è anche vero, però, che siccome io di musica ne ho già sentita moltissima, sono una persona piuttosto difficile da soddisfare, magari giro su Traxsource o su Beatport e penso tipo “ok, questo l’ho già sentito, questo l’ho già sentito, questo acapella l’ho già sentito in quest’altra traccia”, eccetera. C’è una quantità enorme di dance music in giro adesso che è di fatto un rigurgito dei soliti sample, dei soliti acapella – e intendiamoci, io stesso ho fatto un sacco di tracce usando samples e acapella, dico solo che molti di quelli che si sentono adesso io li ho già sentiti molte altre volte; non è che non ci sia della musica che mi piace, anzi, ce n’è, è solo che trovarla è più difficile perché ce n’è così tanta in giro.
Vero, la musica buona e originale ultimamente è sempre più rara. Mi sento particolarmente vicino, tra l’altro, al tuo discorso secondo cui sei difficile da soddisfare, perché a volte ho questa sensazione io, quindi riesco a stento a immaginare come sia per te che avrai sentito una quantità di musica neanche lontanamente paragonabile a quella che ho sentito io nella mia vita.
Beh, spesso è meglio essere difficili da soddisfare, e credo valga per ogni cosa: se hai visto centinaia di migliaia di film, sarai sicuramente più esigente nei confronti dei film che vedi adesso. La prima volta che ho sentito una traccia con una determinata progressione di accordi, per esempio, o un certo suono di basso, magari pensavo “che figata”, ma magari alla decima volta non ti sembra già più così figa come la prima, ed è per questo che credo che ci siano ragazzi che hanno tipo ventitré anni adesso, e magari sentono per la prima volta una traccia che campiona “You Can’t Hide” di Teddy Pendergrass e non hanno sentito le decine di tracce che l’hanno campionata negli ultimi vent’anni, e per loro è emozionante, ma per me è noiosa. Dipende tutto dal contesto in cui ascolti le cose per la prima volta, e dall’età che hai, allo stesso modo in cui io ho sentito alcune tracce per la prima volta quando ero un teenager e mi piacevano, ma erano delle cover, e c’era chi mi diceva che la versione originale era nettamente meglio, ma io continuavo a preferire quella che io avevo sentito per prima.
Questo è un discorso interessantissimo, perché è un tema che viene fuori spesso nelle conversazioni tra “noi” appassionati di musica quando si parla di EDM: a persone che hanno anni di ascolti alle spalle magari sembra musica di scarsa qualità, ma se sei un teenager che sente musica del genere per la prima volta, magari mentre stai passando la serata più emozionante della tua vita, ti sembra la musica migliore del mondo, e magari questo passaggio ti porterà, un giorno, a diventare un buon musicista.
E’ vero, e anche se magari può sembrare ridicolo, credo che ci siano persone che nel giro di vent’anni diranno che la musica del 2035 o giù di lì non è buona com’erano i Black Eyed Peas, o gli Swedish House Mafia o cose del genere, perché per loro quella era *la* musica quando hanno iniziato ad uscire, o le prime volte che hanno preso delle droghe o si sono innamorati; non è sempre solo una questione legata alla musica, spesso dipende anche dall’esperienza in generale, e la musica è solo una parte di quest’esperienza.
Esatto, tanto dipende anche dal contesto in cui entri in contatto con la musica. Parlando proprio della tua esperienza e del lavoro di ricerca musicale che hai fatto in questi anni, e di musica che continua a restare interessante anche dopo anni, un argomento di cui volevo parlare con te è la tua “Italo House Compilation”, visto che ovviamente, essendo italiano, è un tema che mi è particolarmente caro: come hai scelto le tracce da inserire, e com’è nata la compilation?
Beh, molti dei dischi che ho scelto sono dischi che ho comprato all’epoca, quando erano appena usciti, ma sono dischi di cui mi ricordo ancora molto nitidamente; l’idea di una compilation del genere mi è venuta più volte nel corso degli anni, finché ho deciso che era il momento adatto per farla davvero. Molto semplicemente, mi sono messo a riascoltare quei dischi e in effetti ci sono due o tre tracce che probabilmente non dovrebbero esserci, e magari due o tre che invece avrebbero dovuto, ma l’idea di fondo di quando ho iniziato a selezionare i dischi per la compilation era che non fosse solo un greatest hits della house italiana, l’idea era più di mettere insieme le tracce che mi piacessero personalmente e che facessero parte del filone italo house o che fossero in generale italiane, anche senza essere strettamente house. A volte quando preparo una compilation mi capita di pensare che una traccia “debba” essere inclusa perché è molto famosa, ma in questo caso ho cercato di dimenticarmi di cosa fosse famoso e cosa no e mi sono concentrato solo su quello che mi sembrava suonare ancora bene, è stato davvero semplice così; c’è stata qualche traccia per cui semplicemente non siamo riusciti a ottenere la licenza, come ad esempio “Sueno Latino”, che mi sarebbe piaciuto includere. E’ davvero estremamente facile da raccontare, è niente di più e niente di meno che la mia visione della italo house, le mie tracce preferite; all’epoca avevo un buon numero di date in Italia e avevo l’abitudine di cercare della buona house italiana; la cosa interessante è che alcune recensioni dell’epoca dicevano che quella musica suonava come la house americana dello stesso periodo, ma io credo che avesse un suono assolutamente caratteristico, più sognante, più etereo che la rendeva unica, penso ad esempio a Steve Banzara, che suona distintamente europeo, per cui non penso si possa dire che assomiglia alla house di Chicago o di New York; è sicuramente influenzata da quelle scene, ma non credo che sia davvero così simile.
Quello che mi ha colpito particolarmente delle tracce che hai selezionato, sia nel caso di quelle che conoscevo già che per quelle che per me erano, di fatto, nuove, è che la maggior parte mi è sembrata perfettamente suonabile anche oggi, non sembrava fosse musica di venti e più anni fa. Ti capita di suonare ancora alcuni di quei dischi?
Certo che sì, non vedo perchè no! Proprio di recente ho suonato i Soft House Company e “Everything” di Montego Bay, o “Alone” di Don Carlos, che suono spessissimo, ma anche quella dei Double Dealers, anche se è un po’ più lenta, come quella di Key Tronics Ensemble, che però se stai facendo il set giusto è perfetta. In realtà solo quella dei Soft House Company è piuttosto conosciuta in UK e se la suoni la gente la riconosce, mentre se suono la traccia di Dj La Roy non la conosce nessuno, o comunque sono in pochissimi a sapere di cosa si tratti, quindi alla fine dipende tutto da quante tracce in un set vuoi che siano tracce di cui nessuno ha mai sentito neanche parlare, perché la gente comunque vuole sentire dischi che ha già sentito prima; a volte magari ti capita di suonare una canzone vecchia, che magari non è forte come una nuova dal punto di vista sonoro, e non è neanche qualcosa di conosciuto, e allora può essere piuttosto difficile riuscire a suscitare una reazione nel dancefloor, è un po’ un rischio. In ogni caso suono ancora spessissimo le tracce che ho scelto per la compilation, giusto l’altro giorno ho suonato quella di Shafty; credo sia anche perché in questo preciso momento c’è un sacco di gente che fa house music che suona come la house music degli anni ’90, per cui credo che dischi come ad esempio quello di Love Quartet, per via delle percussioni, potrebbero tranquillamente essere dischi di oggi, oppure ancora di recente stavo suonando credo in Russia, e il tizio prima di me ha suonato una cosa che non avevo alcuna idea se fosse nuova o vecchia: poteva essere un produttore nuovo che faceva cose che suonavano come i dischi degli anni ’90, oppure poteva essere effettivamente un disco degli anni ’90. Questa cosa mi ricorda un po’ la scena rare groove, sul finire degli anni ’80, in cui c’erano un sacco di artisti hip-hop che campionavano James Brown, c’erano questi quarantacinque giri che lo campionavano e non è che aggiungessero granché, se non giusto rapparci sopra, ma le percussioni erano molto simili, suonavano quasi uguali all’originale, e questo in effetti rendeva i dischi originali più suonabili, perché suonavano molto simili ai dischi hip-hop che li avevano campionati, e in un certo senso succede la stessa cosa adesso, hai dei dischi vecchi che non sono più distinguibili da quelli nuovi, perché suonano molto simili, o magari usano gli stessi acapella, o comunque hanno molto in comune.
Verissimo, credo che parte del motivo per cui recentemente molti dischi di qualche anno fa suonano così freschi sia perché ci sono molti produttori “nuovi” che recuperano gli stessi suoni. L’ultimo argomento di cui volevo parlare con te è l’enorme elenco dei diversi alias e soprannomi che hai usato nel corso degli anni: credo che quello che hai usato di più sia Joey Negro, ma hai rilasciato musica con un sacco di altri nicknames, penso ad esempio a Jakatta, Akabu, Raven Maize e Sessomatto, giusto per citarne alcuni, e credo fosse una cosa piuttosto comune avere alias diversi per rilasciare musica diversa negli anni ‘90. C’è qualcuno di questi a cui ti senti più legato, o comunque cos’è che li distingue tra di loro?
Sono legato a tutti quanti! Sai cosa, semplicemente, una volta magari avevo dei periodi in cui facevo un sacco di dischi, e magari capitava che avessi bisogno di inventarmi un nome nuovo con cui rilasciarli. Ho usato veramente troppi nomi, in effetti! Ma ormai è andata così e non posso farci niente. Ad esempio, Sunburst Band è l’alias con cui facevo le cose più acid jazz, disco, magari suonata live, ed è musica che mi piace particolarmente perché è quella che più si avvicina a quella con cui sono cresciuto, e non credo che ci sia più molta gente che fa della disco completamente da zero; c’è qualcuno, ma è molto costoso, e non suona sempre benissimo, e posso capire perché i produttori “nuovi” non lo facciano più tanto. Mi piace un sacco anche la musica che ho rilasciato come Akabu, che è l’alias che usavo per le cose più deep, o quella come Doug Willis che invece è sempre disco ma fatta di samples, e anche quella come Z Factor che era un po’ più bigroom; le altre cose come Sessomatto o Prospect Park in realtà sono la stessa musica, ma magari in quel periodo stavo facendo uscire un sacco di dischi e non potevo farli uscire tutti con lo stesso nome, per cui uscivano magari come Foreal People o come Mistura, giusto per dirne un paio: se avessi fatto uscire tutto come Joey Negro o come Dave Lee, ci sarebbe stata un sacco di musica fuori contemporaneamente con lo stesso nome, per cui mi sono inventato tutti quei nomi diversi. Spesso mi capitava di produrre semplicemente una traccia, senza stare a pensare al nickname con cui l’avrei fatta uscire, e solo dopo averla finita mi ponevo il problema, altre volte invece avevo idee che mi dicevo fin dall’inizio “questo sarebbe un bel disco di Akabu”, o della Sunburst Band; dipende davvero dall’evoluzione che hanno le tracce durante la produzione. Chiaro poi che se parto con l’idea di fare un album della Sunburst Band, e parto da un’idea jazzy a 70 bpm, è difficile che poi venga fuori qualcos’altro, come se parto con in mente qualcosa più housey, o più techy, è facile che alla fine uscirà come Akabu, ma non è necessariamente così; a volte mi inventavo nuovi nomi e li usavo giusto un paio di volte, giusto per mantenere le cose interessanti.
E ti è mai capitato di sentire il bisogno di usare un alias nuovo per rilasciare della musica senza che si sapesse che era tua? E’ una cosa che vedo capitare spesso, penso ad esempio a Tiger & Woods che hanno mantenuto la propria identità segreta per un bel po’.
Sai, credo che non sia una brutta idea, io stesso l’ho fatto spesso in passato, però è vero anche che in questo periodo potrebbe essere un rischio, perché quello che ci dicono sempre i distributori è che un disco vende meglio se è su Z records e magari ha dei nomi che la gente conosce, e quindi se fai uscire qualcosa che non ha un nome già sentito dalla gente, soprattutto adesso, è facile che sparisca senza che nessuno se ne accorga, a meno che non sia qualcosa di davvero eccellente. Quindi se un disco magari non è niente male, ma esce su un’etichetta sconosciuta col nome di un produttore nuovo, posso immaginare che non venda niente, mentre lo stesso disco su Defected, o su Hot Creations o su qualunque etichetta va forte in quel momento venderebbe un sacco, quindi credo che si debba stare attenti a fare qualcosa del genere, perché c’è il rischio di non vendere assolutamente niente. In questo preciso momento penso che sia rischioso, a meno di non adottare, ad esempio, la strategia di buttar fuori qualcosa come sette-otto dischi in un periodo ristretto di tempo e costruire un brand in fretta e avere più di una traccia di successo fuori allo stesso tempo, come hanno fatto ad esempio Maceo Plex o Maya Jane Coles: non è stato un disco solo, ma tre o quattro usciti in pochissimo tempo. Se uno pensa di esserne in grado, penso sia una strategia valida: la cosa positiva di un approccio del genere è che molta gente ascolterà la tua musica in un modo diverso: posso capire che ci sia gente che magari si è stufata della disco di Dave Lee o di Joey Negro e magari non ascolta più neanche le tue tracce, credo capiti con tutti i produttori, magari decidi che non ti piace più un’etichetta e non la ascolti più, anche solo semplicemente perché non è più di moda; capita non solo con la musica, ma anche con gli attori, o con le serie TV, di annoiarsi dopo un po’ e di cercare qualcosa di nuovo che ci emozioni; a volte basta semplicemente che ci si dica che qualcosa è nuovo perché lo avviciniamo con un atteggiamento diverso. In quest’ottica quindi credo sia una cosa positiva rilasciare musica con un alias diverso senza divulgare la propria identità, e mi piace farlo, è solo che è da un po’ che non lo faccio. Potrei farlo di nuovo in futuro, è solo questione di fare la traccia giusta, non avrebbe senso farlo con qualcosa che suoni come le altre cose mie, devo fare qualcosa di un po’ diverso per farlo. Credo anche che per avere successo con una cosa del genere la si debba rilasciare come vinile, penso che non ci sia modo di farlo uscendo solo in digitale, però in quel caso dovresti fare in modo che i distributori non sappiano che sei tu, e allora diventa più difficile, sai, la gente tende a parlare.
Vero. Per concludere, quindi, torniamo a quello con cui avevamo iniziato, la tua stagione estiva, che ormai è praticamente finita: quali sono i tuoi piani per la prossima stagione e oltre?
Non sono tanto uno che fa piani per il futuro, non sono uno che si siede e dice “farò questo, poi farò quest’altro”, sono sempre in studio a lavorare su progetti, ne ho alcuni quasi finiti, altri mezzi finiti, sto facendo dei remix di classici disco su un multitraccia, poi sto facendo della musica completamente nuova, qualcosa è più housey, qualcos’altro è più soulful, o qualcosa del genere, ho un sacco di cose in uscita sulla mia etichetta, tipo una nuova compilation della serie Under The Influence in uscita tra un paio di settimane che sarà una raccolta di tracce rare disco/soul/funk, e delle altre compilation curate da me di cose house e garage anni ’90, poi c’è Supafunkanova volume 2 che sarà una compilation di funk prodotto nel periodo della disco. Nello studio, quindi, c’è un sacco di roba che bolle in pentola; dal punto di vista del djing, invece, non è che abbia grandissimi piani su quello che farò; so che adesso la deep house va per la maggiore, ma non è esattamente il mio stile; ne suono un po’ perché l’ho sempre fatto, ma non voglio esattamente essere uno di quei dj che suonano quello che va di moda al momento, anche se credo che si debba essere comunque informati su quello che succede. Cerco di continuare a fare quello che faccio, ma non voglio neanche essere uno di quelli che suonano solo dischi vecchi, preferisco suonare cose nuove; certo, mi piace suonare dischi vecchi, ma cerco di trovare un equilibrio tra nuovo e vecchio senza essere uno di quelli che suonano sempre la stessa roba. In ogni caso, credo che per via di questo rinascimento della musica house vada tutto molto bene per me!