Dell’Italia si dice che è un paese sclerotizzato, in mano a chi è vecchio di anagrafe e di pensiero, un paese dove non c’è ricambio, dove gli stimoli provenienti in arrivo dall’estero – quelli più “giovani” ed innovativi, e scusate il termine fra virgolette – vengono spesso e volentieri soffocati nella culla. Perché? Perché perché manca l’attenzione da parte delle istituzioni, manca l’attenzione da parte delle folle generaliste, manca la collaborazione reciproca, eccetera eccetera. Tutto vero. Anche nella musica. Ma nella musica, insomma, forse un po’ meno: abbiamo già parlato di una nuova ondata di artisti che sta, in modo più o meno organico, dando una bella botta e una bella spinta ai panorami sonori di casa nostra. Lo sta facendo, in media, più di coloro che hanno per anni ricopiato calligraficamente il verbo minimal techno, un verbo diventato in fretta, in Italia, troppo remunerativo per essere creativo.
Però ecco, ora non bisogna cadere nell’errore opposto, in noi che vogliamo uno svecchiamento della abitudine italiote anche negli ascolti e nel clubbing. Non bisogna per forza lodare tutto quello che abbandona il filone Hawtin-Luciano-Dice e abbraccia invece quello che sta, diciamo a spanne, tra Flying Lotus, Rustie, Burial, Tri Angle, Hessle Audio e Four Tet. Chiaro che le nostre simpatie vanno ai secondi, non fosse altro perché solo un malato di mente può fare musica alla Flying Lotus e pensare di guadagnarci nell’immediato, oggi nel 2014 nel Belpaese, visto com’è ancora tarato il mercato di casa nostra delle serate nei club e dei live. Ma il nuovismo per principio, il supportare una scena per quello che fa “idealmente” più ancora che per quello che fa concretamente, è un errore sempre dietro l’angolo. Se una cosa è fatta bene, è fatta bene. Indipendentemente dal genere. E se è fatta in modo un po’ sbrigativo, anche se lavora alla nostra “causa”, beh, non è per forza musica a cui perdonare tutto, e da supportare a prescindere.
Questo lungo preambolo pare non c’entrare nulla con “Night Safari”. E invece ha, a modo suo, importanza. Perché quello che vogliamo dire è che se da un lato Andrea Mangia alias Populous rischia decisamente di essere indicato come uno dei capofila di questa nuova ondata italiana (assieme a, per dire, Godblesscomputers e Clap! Clap!), cosa che pure gli auguriamo, dall’altro uno sguardo più attento e più esperto capisce invece una cosa: che in questo suo nuovo lavoro non ci sono solo i suoni-del-momento per tutti coloro che cercano l’innovazione nell’elettronica e nella club culture italiana, anche se indubbiamente ci sono (c’è un po’ di Burial, un po’ di UK Bass, un po’ di wooferoni, un sacco di percussioni, anche un po’ di tastieroni, c’è la chill wave per i cuori più indie). C’è di più. C’è uno spessore, nell’essere “di moda”, che deriva da una comprensione profonda, ragionata, per nulla influenzata dall’hype dei generi – questo è il paradosso – che oggi sono hype. Poi: c’è anche pazienza, molta pazienza. I brani sono rifiniti e ben sviluppati, non sono abbozzi di due minuti e, anche se a prima vista non sembra, richiedono un ascolto non distratto, non randomico. C’è poi la storia: una storia, nel caso di Populous, dove le suggestioni alla Boards Of Canada sono importanti tanto quanto le cavalcate percussive tanto di moda oggi tra gli hipster – e quindi è il caso di farli convivere, ‘sti due estremi, e li si fanno convivere per bene.
Populous non salta fuori ora. Era più di dieci anni fa che, inspiegabilmente, la Morr Music allora hipsterissima e amatissima dal pubblico indie e un po’ negletta dal pubblico dei club, tirava fuori dal nulla materiale di un italiano sperso lì in fondo al Salento. Nel frattempo sono successe varie cose, progetti collaterali, pause forzate, dubbi, momenti di stasi, release riuscite ed altre meno riuscite; la cosa veramente bella di “Night Safari” è che da un lato fotografa un artista che ascolta un sacco di musica, e la ascolta coscientemente, captando cosa è nuovo e “fresco” nel panorama contemporaneo e tentando di immetterlo in quel che fa; ma dall’altro anche un artista che non ha l’urgenza di dimostrare di essere nuovista (di non c’entrare cioè nulla col passato e di essere piuttosto iper-connesso col presente), che non indossa cioè i suoi buoni ed “hipsterici” ascolti come un vestito da sfoggiare quanto piuttosto come suggestioni da cui farsi ispirare, sviluppando poi le cose a modo suo, con calma, senza ansia, stando attento a cesellare per bene i particolari (tra cui anche il mixaggio e il mastering: questo lavoro suona da paura).
C’è stato un momento in cui fare minimal techno (e non l’house all’americana) era una mossa di grande coraggio e autolesionismo. C’è stato anche un momento in cui la techno berghainiana, quella che oggi improvvisamente fa impazzire tutti quanti, non se la inculava nessuno: la prima volta che abbiamo visto suonare Dettmann in Italia, ad Arezzo, lo abbiamo visto. Nel senso: davanti a lui, per un’ora buona almeno, c’eravamo solo noi, il sottoscritto, nessun altro. Le cose cambiano. Ci sarà allora un momento in cui fare musica con gli ingredienti di cui è infarcito questo “Night Safari” diventerà la cosa che tenteranno di fare in molti, troppi: quelli che un tempo dicevano di fare minimal e ora dicono di fare techno-dub, domani diranno di ispirarsi a Four Tet, Burial e Shlohmo. Ecco: proprio per questo motivo sarà importante capire perché questo lavoro di Populous è un lavoro riuscito, sincero, accurato, con un quid in più; non un lavoro furbo di uno che cerca di posizionarsi bene per il futuro. Per intenderci, e per fare chiaramente un nome: non è uno alla Flume.