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[tab title=”Italiano”]Negli ultimi anni Sigha è un nome che è diventato sinonimo di lungimiranza techno e musica elettronica dritta, diretta ma allo stesso tempo stratificata e piena. Il suo interesse per il sound design combinato con un’impronta british (nonostante o grazie alla sua permanenza attuale a Berlino) hanno contribuito a costruire un percorso interessante in un panorama densamente popolato. Con il suo album di debutto, “Living With Ghosts”, uscito poco meno di un anno fa per la Hotflush di Scuba, ha riscosso un enorme successo sia di critica che di pubblico. Non contento di percorrere una strada già battuta (seppur da se stesso), Sigha continua a sperimentare anche attraverso le uscite della sua propria etichetta, Our Circula Sound. Sempre alla ricerca, come racconta in questa intervista, di quella linea sottile in cui trovare qualcosa che sia contemporaneamente oscura e bellissima, crudele e dolce.
Negli ultimi anni molte cose nella tua vita sembrano essere cambiate: vivi questi cambiamenti come uno step by step o cone un flusso ininterrotto?
Suppongo sia più facile descriverlo come un flusso ininterrotto, semplicemente perchè ogni fase è successiva a quella precedente. Ci sono stati un gran numero di cambiamenti negli ultimi anni, ma non mi sono mai fermato a pensare al processo o all’impatto che hanno avuto sulla mia vita. Dal punto di vista creativo, i cambiamenti, in ogni loro forma, sono positivi; senza, le cose diventano vecchie velocemente.
Dall’Inghilterra a Berlino per esempio. Come ti relazioni alla cultura musicale così identitaria di questa città?
Mi ci è voluto parecchio tempo per sincronizzarmi al ritmo della città. Per molto tempo, quando qualcuno mi chiedeva come mi sentivo, rispondevo che sarei voluto tornare a Londra. Ero arrivato al punto in cui ne parlavo talmente tanto che la gente pensava sarebbe successo. Ho incontrato più di qualcuno che rivedendomi mi abbia chiesto: “Che ci fai qui? Ho sentito dire che eri tornato in Inghilterra”. Mi sto assestando lentamente. Sono arrivato alla conclusione che il problema era dentro di me, non nel luogo in cui ero, quindi spostarmi ancora non avrebbe risolto niente. Berlino è una città fantastica per molte ragioni, non da ultima che la musica elettronica underground qui è accolta in un modo unico, che non sembra essere simile in nessun altro posto io sia stato. House e techno si ascoltano dappertutto, nei caffè, dal parrucchiere, nei negozi, nei bar, nelle auto per strada, ovunque. Ne parlavo con Luke, Blue Hour, proprio pochi giorni fa, e dicevamo quanto iniziasse a sembrarci normale tutto questo, ma in verità è una caratteristica davvero unica di questa città. Quanto sto per dire potrebbe risultare inaspettato e in contrasto con quello che faccio, dal momento che suono techno, ma personalmente credo che, da un punto di vista artistico, non sia un ambiente sano. Può essere stancante questo senso di onnipresenza, e alla fine rischia di diventare soffocante. Dal mio punto di vista, ascoltare solo techno per fare techno non è qualcosa di positivo. Questo è quello che mi manca di più di Londra: la scena musicale lì è sempre in uno stato di movimento e iperattività. C’è sempre qualcosa di nuovo e con molti collegamenti ad altre cose.
Anche i moniker che usi per altri tuoi progetti rappresentano un’evoluzione del tuo gusto musicale. Perchè non farli confluire in un unico progetto?
Non direi che si tratta di un’evoluzione del gusto, semplicemente perchè ho sempre afferrato quello che il suono rappresenta dei vari progetti. Quello che voglio dire è che credo che le mie capacità di produttore si siano evolute al punto che ora io mi senta abbastanza sicuro di riuscire ad esprimere me stesso e le mie idee anche attraverso vari stili. Sono sempre stato affascinato dall’idea degli alias, artisti con un gran numero di lavori sotto vari pseudonimi che non gli vengono attribuiti in modo immediato. Per esempio ho pubblicato per Mira all’inizio di quest’anno come ‘Faugust’ e suona diverso sia da ‘Sigha’ che da ‘A Vision Of Love’. Mi piace l’idea di un corpo coerente di lavori, non sono sicuro che riuscirò ad ottenerlo, ma alla fine creare queste piccole scatole con diversi nomi mi da l’illusione di essere a metà strada.
Our Circula Sound: la tua etichetta discografica. Cosa rappresenta per te?
OCS è venuta fuori da me e da un ristretto gruppo di amici. È sempre stato molto importante per me lavorare con persone che non solo comprendessero l’idea e il concept dietro l’etichetta, ma a cui io stesso fossi vicino. Il prossimo disco sarà il nostro dodicesimo, che non è molto per un’etichetta che lavora da quattro anni, ma preferisco essere sicuro che tutto venga fatto nel modo giusto, dalla musica alle personalità coinvolte, che averne pubblicate cinquanta. OCS #12 sarà ancora una volta un EP, di Arcing Seas, e dopo rilasceremo il nostro primo LP di Positive Centre.
La tua musica è stata definita ipnotica, mistica e trascendentale. Se ti chiedessi di rappresentarla con un paesaggio, un personaggio (reale o letterario) e una corrente artistica, cosa sceglieresti?
Lascio che siano gli ascoltatori a dipingere i loro stessi quadri. Ovviamente io ho il mio, ma non vorrei condizionare la loro interpretazione.
Secondo te, in quale luogo, la tua musica darebbe il meglio di sé?
Il posto dove sarebbe meglio ascoltarla o il posto dove mi piacerebbe suonarla? Se sto suonando techno, una stanza buia e sudata, con la consolle allo stesso livello della folla, un enorme sistema di casse e un sacco di strobo. Questo sarebbe il mio luogo ideale. Sto lavorando ad un certo numero di progetti al di fuori della tradizionale dance music. Ho sempre amato l’idea di suonare in una vecchia chiesa. Non voglio dire tipo quelle che sono state trasformate in un club, ma in una vecchia chiesa funzionante. Dall’acustica degli spazi alla storia dell’edificio e il suo simbolismo, tutto sarebbe davvero un’interessante combinazione. Trovo molti parallelismi tra la musica che faccio e gli atti rituali e di culto. Se vissute intensamente, danno entrambi lo stesso risultato finale attraverso percorsi differenti.
Cosa significa essere un musicista oggi?
Non so cosa significhi essere un musicista nell’era pre-internet/download, quindi posso solo darti la mia visione unilaterale. Oggi un musicista deve essere in grado di fare tutto. Semplicemente scrivere musica non è più abbastanza. Come sapete, le vendite dei dischi non sono più quelle che erano una volta. Non sarei in grado di mantenermi se non facessi anche il dj regolarmente. Devi essere multi-tasking: produrre, fare il dj, creare un’etichetta, cercare di essere attivo sui social media, essere il tuo stesso manager, saperti pubblicizzare. Ad un primo livello questo può significare constante stanchezza, un sacco di tempo perso negli aeroporti, troppe notti da solo in una stanza di hotel, e ho già detto non abbastanza sonno? Non mi sento mai come se non stessi lavorando. Ma allo stesso tempo mi sembra sempre che quello che sto facendo non è lavoro. Un’altra cosa è il ritmo con cui le cose si muovono. Potrebbe essere un nuovo produttore, un nuovo disco o un nuovo genere, ma grazie ad una combinazione di flussi costanti di informazione su internet e il desiderio umano di scoprire sempre qualcosa di nuovo, spesso le cose non hanno il tempo di svilupparsi o di farsi comprendere. Un buon disco può venir dimenticato in poche settimane e un nuovo genere scompare perché l’attenzione della gente è stata saccheggiata. Ovviamente allo stesso tempo internet può essere uno strumento molto potente. Da ai musicisti un grado di accessibilità e di consapevolezza mai raggiunto prima. Con pochi click puoi collegarti ai tuoi fan, lanciare nuove idee, condividerle con i colleghi, rilasciare un pezzo. La cosa più eccitante nel clima percepito di oggi è che non ci siano più regole. I vecchi modelli che abbiamo utilizzato per rapportarci non esistono più e non ci sono concrete alternative. Invece che vedere in questo un problema insormontabile, lo si può vedere come un modo per estendere la creatività, e in ultima analisi la possibilità di controllare la tecnica.
Se non fossi stato un musicista, cosa ti sarebbe piaciuto fare nella vita?
Sapevo da quando avevo circa 16 anni che avrei voluto fare musica. E sapevo che era tutto quello che avrei voluto fare. Onestamente, se mi dicessero che non potessi più farlo, non so cos’altro potrei fare. Non ho altre esperienze se non un breve passaggio nella moda e un sacco di tempo passato dietro il banco di vari negozi di musica. A volte penso che mi piacerebbe tornare a scuola e studiare arte. E questa avrebbe potuto essere la mia vita se non avessi abbracciato una chitarra per la prima volta.
C’è un disco che ha cambiato la tua prospettiva di musicista?
Ce ne sono stati molti, ma l’album che ha aperto le mie orecchie alle possibilità creative nella musica elettronica è stato probabilmente Timeless di Goldie. La prima volta che l’ho ascoltato è stato come aver trovato qualcosa che stavo cercando senza averlo realizzato. Non sto parlando solo di drum n bass, ma dei contrasti nella sua musica. Il disco è così incredibilmente e splendidamente malinconico, ma anche così oscuro e crudele. Credo che fondamentalmente nel mio lavoro cerco di ottenere questa combinazione.
Quali sono le tue influenze non musicali?
Oltre che nella musica, mi sono scoperto costantemente attratto verso cose che evocavano malinconia, come ho appena detto. Quella linea sottile in cui si muove qualcosa che è contemporaneamente oscura e bellissima, amara e dolce. Qualcosa che si può trovare ovunque, nei dipinti preraffaelliti, attraverso il confuso realismo di Richter, nella moda d’avanguardia, nei libri di autori come Murakami e John Steinbeck, in film come The Fountain (in italiano L’albero della vita) o The Killer Inside Me. Per me, le cose migliori non sono solo pura luce o pura tenebra, è il contrasto che le rende speciali.[/tab]
[tab title=”English”]Over the last few years Sigha is a name that has become synonymous with forward thinking techno and electronic music straight, direct, but at the same time stratified and full. His interest in immersive sound design combined with an imprint british (despite or thanks to his current stay in Berlin) have helped to build an interesting path in a densely populated landscape. With his debut album, “Living With Ghosts”, released less than a year ago for Hotflush, the Scuba’s recording label, has been a huge success among critics and audiences. Not content to follow a path already beaten (even from himself), Sigha continues to experience through the exits of his own label, Our Circula Sound. Always on the lookout, as told in this interview, that fine line when you can find something that is both dark and beautiful, cruel and sweet.
In recent years, many things in your life seem to be changed: live these changes as a step by step or as an uninterrupted flow?
I suppose it would be easiest to describe it as an uninterrupted flow, simply because one step followed on from the next. There have been a fairly large number of changes over the last few years, but its not until I’m asked a question like this that i actually sit down and think about the process or the impact they have had on my life. Creatively, change in any form is a positive thing, without it things get very stale very very fast.
From England to Berlin for example. How do you feel with musical culture so strong of this city?
The move would be the clearest example to point to over the last couple of years. It took me a long time to sync with the city’s rhythm. For a long time when ever anyone asked me how i was feeling, I would say that I wanted to move back to London. It got to the point where i’d talked about it so much people assumed it had happened. I’d see someone out in a club or restaurant and the first thing they’d say to me was, ‘what are you doing here, i’d heard you’d moved back to the UK?’ Im slowly settling in. I came to the conclusion that the problems were with me and not the place, so moving again wouldn’t solve anything. Berlin is a great city for so many reasons, not least of which is the acceptance of underground electronic music here in a way that just doesn’t seem to have happened in any where else I’ve been to. You hear Techno and House everywhere, cafes, hairdressers, corner stores, bars, cars on the street, everywhere. I was speaking with Luke, Blue Hour, about this a few days ago actually and saying how easy it is to start to see this as normal, but in reality its something very unique to this city. What I’m about to say might seem slightly unexpected and at odds with what i do, given I play Techno, but personally, I’m not sure its a healthy environment to be in from an artistic sense. You can’t help becoming increasingly jaded when anythings that ubiquitous, and in the end it becomes stifling. From my point of view, only listening to Techno to make Techno is not likely to result in something positive. This is what i miss most about London, the music scene there was always in a state of flux and hyper activity. There was always something new and the dots between the scenes were very easy to traverse.
Even the moniker you use for your other projects represent an evolution of your musical taste. Have you ever thought to make them converge into a single project?
I wouldn’t say its an evolution of taste, simply because I’ve always been into the sounds represented by the various projects. What i would say is that i think my ability as a producer has evolved to the point where i now feel confident enough to express myself and get ideas across in other styles. Ive always been fascinated by the idea of aliases, artists with a huge back catalogue of work under various pseudonyms that weren’t obviously attributable. On top of this recording under different names enables a degree of separation between the work. For instance, I put out a record on Mira earlier this year as ‘Faugust’ which sounds nothing like a ‘Sigha’ release or ‘A Vision Of Love’. I like the idea of a coherent body of work, I’m not sure I’ve come close to managing that, but at least creating these little boxes with different names on gives me the illusion I’m half way there.
Our Circula Sound: your record label. what mean to you?
OCS is an outlet for myself and a small roster of friends. It’s always been very important to me to work with people who not only understand the idea and concepts behind the label, but who I’m close to. The next record will be our twelfth, which isn’t much for a label that’s been running four years, but I’d rather make sure everything’s right for a release, from the music through to the personalities involved than be on number fifty. OCS012 will be another EP from Arcing Seas, and after that we will be releasing our first LP from Positive Centre.
Your music has been called hypnotic, mystical and transcendental. If I asked you to represent your music with a landscape, a character (real or literary) and an artistic movement, who and what would you choose?
I’ll leave that up to the listeners to paint their own picture. Obviously I have my own, but I wouldn’t want to cloud their own interpretations.
According to you, in which place, your music would give the best of if?
The place it would be best heard or the place I would play the best? If I’m playing Techno, a packed sweaty dark room with the booth on the same level as the crowd, a huge system and a lot of strobe. That would be my ideal. I’m working on a number of projects outside of traditional dance music though. I’ve always loved the idea of playing in an old church. I don’t mean one that has been converted into a club, but an old working church. everything from the acoustics of the space through to the history of the building and it’s symbolism would be a really interesting combination. I draw a lot of parallels with the music that I make and the act of ritual and worship. If experienced fully they are both seeking the same end result via different paths. If there are any promoters reading this Who are up for a challenge…
What does it mean to be a musician today?
I don’t know what it was like to be a musician in the pre Internet/download era so I can only give you a very one sided view on the subject. Today a musician has to be able to do everything. Simply writing music isn’t enough anymore. As everyone’s very aware, record sales aren’t what they used to be. I wouldn’t be able to make a living without DJing regularly. You need to be able to multi task, produce, DJ, run a label, embrace to what ever extent you deem necessary the evils of social media, be your own manager, be your own publicist. On a basic level, this means constant tiredness, a lot of time spent in airports, too many nights Lonely in hotel rooms, did I mention not getting enough sleep? I never feel like I’m not working. But at the same time I never feel like what I do is work. I’d be doing the same thing if I was back in London doing a 9 to 5 job, because I have to, I can’t explain it any other way. Another thing is the pace at which things move now. Things no longer get a chance to breath. It could be a new producer, a new record or a new genre, but thanks to a combination of the constant stream of information over the Internet and the very human desire to discover something new, often things don’t get the time the need to develop of be understood properly. A great record gets forgotten about in a few weeks and a new genre disappears because peoples attention span has been chipped away at. Obviously at the same time the Internet can be a hugely empowering tool. It allows musicians a degree of access and self reliance that we’ve never seen before. With a few clicks you can reach your existing fan base, float new ideas, share concepts with peers, self release a record. The most exciting thing in today’s climate is that there are no rules anymore. The old model that we used to choose to apply ourselves to is out dated and there’s no concrete replacement. Rather than viewing this as an insurmountable issue you can see it as a way to extend your creativity, and ultimately your control over your own art.
If you had not been a musician, what you would have liked to do in life?
I knew from about 16 that I wanted to make music. And I knew that was all I wanted to do. Honestly if you told me I couldn’t do this anymore I wouldn’t know what to do with myself. I have no experience doing anything else apart from brief stints working in fashion and time behind various record shop counters. Sometimes I think I’d like to go back to college and study art. That was where my life looked like it was headed before I picked up a guitar for the first time.
Is there an album that changed your perspective as a musician?
There have been many, but the album that opened my ears to the creative possibilities within electronic music was probably Goldie’s Timeless. The first time I listened to it it was like finding something I had been looking for without realising it. I’m Not talking about drum n bass per say, but the contrasts with in his music. The record so incredibly beautifully melancholic, but so dark and punishing. I think for the most part, this juxtaposition has been something I’ve tried to achieve in my own work ever since.
What are your non-musical influences?
Outside of music I constantly find myself being pulled towards things that echo the melancholia I just spoke about. That fine line where something’s simultaneously dark but beautiful, bitter but sweet. You can find this everywhere, in pre-raphaelite painting through to the blurred realism of Richter, modern avant-garde fashion and couture, books by authors as diverse as Murakami and John Steinbeck, films like The Fountain or The Killer Inside Me. For me the best things aren’t purely made up of darkness, or light, it’s the contrast that makes them special.[/tab]
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