Per comprendere da vicino le multiformi evoluzioni della dub music di oggi non si può prescindere dal mettere a fuoco una figura cruciale come quella di Adrian Sherwood e l’intero catalogo della sua On-U Sound Records che, con più di trenta anni di onorata carriera alle spalle, ha confermato la vocazione del dub ad essere un’idea di suono inclusiva che tende ad attrarre, nel suo molle alveolo, geografie sonore distanti. Il sound mutante architettato dal dub master inglese attraverso un’infinita sequela di collaborazioni (Lee ‘Scratch’ Perry, Kode9, Horsepower, Congo Natty e Digital Mystikz, solo per citare i più recenti) ha sempre anticipato le evoluzioni più audaci della mistica del basso. Negli ultimi anni, il sodalizio con il giovane produttore Pinch (anima illuminata del nuovo suono di Bristol) ha generato un paio di futuribili mostri bassosi (in forma di 12”), marchiati anche dalla Tectonic Recordings. Abbiamo approfittato della prossima trasferta senese di Sherwood per rivolgergli qualche domanda e curiosare nel suo immediato futuro.
Sappiamo che sono giorni molto impegnativi per te. Su cosa stai lavorando e quali sono le tue prossime uscite?
Ho appena terminato la lavorazione di un album che uscirà a firma Sherwood & Pinch al quale abbiamo dedicato una fase di preparazione e lavoro molto lunga. Il risultato è una armonica combinazione che trovo molto interessante. Credo che entrambi ci siamo arricchiti sia sul piano umano che su quello artistico. Il disco uscirà con i marchi On-U Sound e Tectonic ma per Warp, etichetta con la quale sto trattando la riedizioni di alcuni materiali storici della mia label.
Come hai conosciuto Pinch e perché avete deciso di lavorare assieme?
L’ho conosciuto quando mi ha invitato a suonare nella sua Tectonic night al Fabric di Londra. Ho voluto ricambiarlo invitandolo a suonare in una notte On-U Sound a Parigi. L’intesa tra noi due è subito stata eccezionale in quelle occasioni e dunque abbiamo deciso di lavorare a qualche produzione insieme. Suo fratello maggiore è un mio fan di lunga data e quindi Pinch è cresciuto circondato dai vecchi dischi della mia etichetta. Lavorandoci ho scoperto in lui un artista di grande talento e la nostra collaborazione si è evoluta in maniera assolutamente naturale, anche perché io ho sempre lavorato con giovani produttori provenienti dall’ambito elettronico e lui ha una grande conoscenza delle radici analogiche di questo suono.
Nel tuo caso sembra appropriato leggere una forte continuità tra le radici di un suono e le tante possibili evoluzioni alle quali hai dato forma in questi anni. Pensi che la stessa continuità si possa leggere anche nell’attuale panorama della bass smusic?
Il mio amore più profondo, musicalmente parlando, è il reggae delle radici, quello classico. Se tu ascolti una registrazione giamaicana del 1973 noterai una qualità sonora magari scarna, nella quale emerge il suono del basso e della batteria, con pochi altri strumenti al contorno. Ma quel pezzo avrà spesso una freschezza e una qualità melodica che funziona perfettamente anche oggi. Quell’approccio alla produzione, dettato da fattori contingenti ma sfruttato in senso artistico ha di gran lunga anticipato una certa attitudine contemporanea ad un suono minimale, tutto basato sulla gestione delle frequenze.
Vedi dei parallelismi tra quello che producevi tu alla fine degli anni ’80 e quello che i produttori di bass music stanno registrando oggi? Anche i sempre più frequenti riferimenti alla cultura e al suono rave sono già stati metabolizzati nella tua musica da molto tempo.
Quello che posso dirti è che il mio approccio alla produzione musicale non è mai cambiato. Credo che l’evoluzione arrivi soprattutto da nuove idee che si hanno quando si lavora con altri. Probabilmente se avessi lavorato sempre solo farei ancora oggi la stessa musica che facevo trenta anni fa. Ecco perché cerco di circondarmi di collaboratori giovani e simpatici. Pinch ne è il perfetto esempio: è totalmente sintonizzato con le declinazioni più recenti di un suono che trova le sue radici anche nella scena rave inglese, il cui interesse principale per me è aver rappresentato la continuità ideale tra la Sound System Culture e le prime sonorità elettroniche.
“Survival & Resistance”, uscito nel 2012, è il tuo ultimo album su On-U Sound. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi riascoltandolo oggi, dato che, secondo me, conteneva in nuce molte ottime intuizioni sul futuro del dub e, in generale, della musica basata sulle basse frequenze. Non per niente conteneva una traccia intitolata ‘Two Semitones and a Raver’ che suona, oggi, come un manifesto.
Sono davvero orgoglioso di quel disco e credo che sarà ancora più apprezzato tra qualche anno. Se lo ascolti non puoi dire che suoni come qualcos’altro o somigli alle produzioni di altri artisti. È un lavoro estremamente originale dal punto di vista strettamente sonoro, essendo basato principalmente sul ‘tuning’ anche nelle percussioni e in quelle parti che sembrano venute fuori da un sequenze. Dei tre album da solista sulla mia etichetta è quello del quale sono maggiormente contento, quello che mi rispecchia maggiormente e quello che sento più vicino al mio concetto di dub music.
Collaborazione sembra una parola chiave se guardiamo retrospettivamente tutta la tua carriera e, ancora di più, gli ultimi anni: Lee ‘Scratch’ Perry e Pinch sono solo gli ultimi in ordine di tempo. Cosa cerchi quando vai in studio con altra gente?
Non essendo un musicista sono quasi “costretto” a lavorare con altri artisti. Lee Perry è un caso eccezionale. Il nostro rapporto è stato costruito su una lunga frequentazione, si è consolidato su diversi album e ha trovato compimento una simbiosi artistica pienamente appagante. Ho sempre cercato di essere il miglior supporto possibile alla sua immensa creatività. Qualcosa di simile è successa con Pinch, anche se il nostro rapporto è più recente. Insieme ci completiamo.
Cosa ti influenza maggiormente, a parte la musica?
Principalmente la politica e le dinamiche del Nuovo Ordine Mondiale. Cerco di capire come attraverso i processi economici, la stampa e i media in genere si cerchi di manipolare tutti. Sono molto interessato allo studio delle forme partecipative dei giovani e mi applico a comprendere cosa li faccia sentire sempre più lontani e disinteressati alla riflessione e al dibattito politico.
Quale pensi sia la ragione principale per la quale il dub continua ad avere una influenza così rilevante in tanti ambiti musicali diversi?
Sempre più gente scopre le radici della musica giamaicana e non credo ci sia nessuna altra musica con una importante radice geografica che abbia una tale diffusione planetaria. Bisogna pensare che questo processo è in atto da quaranta anni e ancora oggi amiamo riascoltare canzoni composte negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso. In quell’ambito musicale, e solo in quello, si è diffuso il metodo delle ‘version’ per il quale se in studio veniva registrata una buona strumentale allora su quella base ci cantavano venti cantanti, dando ognuno la propria interpretazione della melodia e del senso stesso del pezzo. Le ‘dub version’ sono state le basi sulle quali sono nate le prime forme di remix della storia musicale recente, nell’accezione per cui il remix è dare forma a una versione originale. Da questo punto di vista l’influenza del dub su tutta la musica che ascoltiamo oggi è stata, semplicemente, immensa. Pensiamo all’uso del riverbero, del faser e del delay che oggi si possono sentire in tanti generi e ambiti diversi (soprattutto dance) ma anche all’idea di sospendere, in un punto specifico del brano, praticamente tutti gli strumenti fino quasi al silenzio: sono tutte cose sperimentate per la prima volta negli studi giamaicani con il dub.
La stessa idea di modificare, in tempo reale, un segnale sonoro precedentemente registrato è qualcosa che dobbiamo al dub analogico negli studi di King Tabby e Lee Perry.
Esatto. È il concetto di ‘processazione’ del suono che oggi diventa centrale in ogni forma di produzione, non solo musicale. Tutto viene processato attraverso la manipolazione elettronica. Che si decida di applicare una distorsione, un overloding o un flanger stiamo comunque processando un segnale sonoro. Il reggae è la prima forma di suono processato nella storia della musica.