Oggi su Suoni & Battiti si parla di tre album, tutti validissimi a modo loro, che rappresentano il pretesto migliore per fare, in queste poche righe di introduzione, alcune considerazioni sulle scelte che spesso segnano il percorso delle label che animano il coloratissimo e controverso mondo della musica indipendente – che si tratti di crescita o tracollo poco conta in questa sede. Prendete Prologue: pronta a rilasciare l’album dei Cassegrain, segue per filo e per segno lo spartito scritto anni fa in Italia (più precisamente a Roma) senza sbavare praticamente mai; oppure Desolat che, pur professandosi etichetta rivolta al pubblico che calca i dancefloor di mezzo pianeta, ormai rilascia materiale veramente valido solo quando si concentra su altri generi. Infine date un ascolto alla nuova raccolta di Neel su Edition Mego / Spectrum Spools, l’ennesimo tassello di una traiettoria discografica coraggiosa e coerente.
Si tratta di piattaforme dal DNA quantomai diverso tra loro, che compiono scelte altrettanto diverse: c’è chi sa di aver ormai ereditato la penna con cui scrivere una storia (e lo fa con furbizia e cura), chi non sembra avere le idee chiare e chi, non curandosi troppo dei meccanismi dell’odierno mercato musicale, porta avanti fiero il suo percorso.
[title subtitle=”Cassegrain – Centres Of Distraction (Prologue)”][/title]
Nonostante i tratti distintivi della raccolta non possano in alcun modo tradire quanto le loro recenti, anzi recentissime, uscite hanno fatto trapelare, in “Centres Of Distraction” i Cassegrain si prendono la libertà di osare un po’ di più rispetto al loro solito e esplorare soluzioni che sapevamo essere nelle loro corde ma che, come detto, ci sono state fatte assaporare fin qui col contagocce. Quale migliore occasione della raccolta, la prima, per fare un po’ il punto di ciò che si è e di ciò si è fatto? Quale migliore assist per cogliere la palla al balzo e mettere nuova carne al fuoco? Il nuovo album prodotto dalla bavarese Prologue, infatti, segna senza ombra di dubbio il punto di svolta della carriera di Alex Tsiridis e Huseyin Evirgren, rappresentando lo snodo ideale di quelle che possono essere le “nuove strade” del loro live. Conoscendo un minimo la discografia dei Cassegrain, è comunque evidente come la tensione delle loro vecchie uscite (“Tiamant”, “Painter-Palette EP” e “Coptic”) abbia avuto definitivamente la meglio sulle tinte acide dei Killekill prodotti, non a caso, al fianco di Tin Man (“Carnal” e “High & Low”), tracciando la direttrice principale dell’intero lavoro. Ecco quindi la matrice industriale e nervosa del loro suono avere la meglio, immergendo a forza con il suo impeto e la sua violenza cieca, l’ascoltatore all’interno di paesaggi labirintici e disorientanti.
Le galoppate impetuose che campeggiano sui lati lunghi delle loro release (qui “Intrude – Restrain”, “Scythian” e “Arcane”) si alternano, in “Centres Of Distraction”, a lavori dove a padroneggiare sono, rispettivamente, i beat frammentati di “Resilin”, quelli percussivi di “New Hexagon” e i synth liquidi di “Glasshouse” (un rimando a Conforce, però incazzato). C’è molta carne al fuoco, quindi, e chi ha apprezzato questo duo sin dai suoi inizi – che ricordiamo sono recentissimi (2010) – non può che gioirne; così come non può rimanere piacevolmente colpito da “Empress Cut In Segments”, nata dalla collaborazione con Nikos Veliotis (già membro di Mohammad e In Trance 95), dove la techno estremamente empatica e avvolgente dei Cassegrain compie un balzo in avanti significativo. Che Alex e Huseyin non fossero artisti qualsiasi l’avevate già capito, non è vero?
[title subtitle=”Pulshar – Blood And Mathematics (Desolat)”][/title]
Benché il passaggio a vuoto segnato con “Different Drum” avesse lasciato i fan di Pablo Bolivar e Sergio Sainz Vidal, quelli che con i Phonobox (prima) e con “Inside” (poi) avevano preso dimestichezza con il suono personalissimo dei Pulshar, fino a prenderlo come punto di riferimento per gli amanti di quella dub che strizza tanto all’elettronica quanto al reggae, un po’ con l’amaro in bocca, non si può dire che “Blood And Mathematics” non sia un lavoro accompagnato da grandi aspettative. Il duo cantabrico (ma catalano d’adozione), infatti, può essere considerato la pagina “colta”, prima ancora che ricercata, della storia raccontata dal catalogo di Desolat, label che troppo presto ha abbandonato il sentiero tracciato dalle prime, validissime release a vantaggio di una popolarità effimera e priva di un basement saldo (leggeteci pure roster di artisti) in grado di supportare l’ambizione di un Loco Dice ancora troppo lontano dai vari Richie Hawtin e Sven Väth.
Messa così la faccenda, forse figlia di una delusione legata alla quasi totale assenza di spunti degni dell’hype che accompagna la label di Düsseldorf a partire “Family EP” (con la sola eccezione di “Scotch Your Mind” tre anni dopo, nel 2011), sembrerebbe quasi che la nuova raccolta a firma Pulshar sia la manna dal cielo giunta a cambiare le sorti di Dice, Buttrich e soci. Ed è così, almeno in parte. Perché se da un lato siamo davvero convintissimi che l’album sia tremendamente valido, così vibrante e vitale, è altrettanto vero che continua a suonare come un corpo estraneo all’interno di quattro anni di sbadigli (tanto è passato dall’uscita del loro primo album su Desolat) più o meno rumorosi e a bocca spalancata.
Bolivar e Vidal puntano ancora una volta sui punti forti dei lavori di maggior successo, cavalcando un suono che nessuno, almeno con gli stessi risultati, è riuscito a emulare dopo di loro. Così, dopo mesi di silenzio, i Pulshar tornano a coprire la “fetta musicale” che si colloca tra il dancefloor e l’ascolto casalingo, riproponendo quelle architetture sonore che strizzano l’occhio tanto al dub (“Sounds Fake”, “Better Than Tears” e “Find You In Every Streets”) quanto al reggae (“Big Mistakes” e “Skull Girl”), all’hip hop e al blues. “Blood And Mathematics”, come sembra annunciare il titolo stesso, è sensuale fisicità (ideale prosecuzione di “Inside”) e razionale omogeneità, quella che, traccia dopo traccia, scalda la raccolta e la rende irresistibilmente irrinunciabile.
[title subtitle=”Neel – Phobos (Spectrum Spools)”][/title]
Nonostante il progetto Voices From The Lake sia uno dei più caldeggiati dagli amanti della “techno intelligente”, almeno sin da quando Resident Advisor ha eletto il loro album di debutto come miglior raccolta dell’anno nel 2012, c’è da dire che Edition Mego – attraverso i canali indipendenti di Spectrum Spools – ha dimostrato ancora una volta di avere il fegato di puntare su un lavoro, sì di pregevolissima fattura, ma comunque distante anni luce dai canoni dell’elettronica da ballo. Stiamo parlando di “Phobos”, l’album d’esordio del calabrese (ma romano d’adozione) Neel, transitato recentemente sulle nostre pagine con un’intervista davvero interessante dove ci ha regalato la sua visione della musica e, nel dettaglio, del suo nuovissimo lavoro.
“Phobos” è la luna di Marte, luogo misterioso e al tempo stesso sicuro in cui Neel immagina di rifugiarsi, dopo aver dedicato un’intera giornata al mastering di lavori prevalentemente techno. La sua raccolta è, quindi, un tentativo spontaneo (quasi inconsapevole) di evadere da una quotidianità fragorosa, energica e muscolosa attraverso un suono dilatato e rarefatto, comunque distante dalle atmosfere liquide di “Voices From The Lake”; una album pensato e composto, fondamentalmente, per trasmettere l’intimità della notte. Come ammette lo stesso Neel tra le righe delle sue risposte nel’iintervista, e qui sta il coraggio della label che si divide tra l’Ohio e Vienna, l’album è un progetto che sì mira a tutti, ma che oggi sa di poter far breccia per lo più nel pubblico di nicchia che anima festival come Atonal e Mutek.
Lentissimo e totalmente privo di beat, l’album rispecchia in modo perfetto l’idea di “occupazione delle frequenze” che è alla base della non immediatissima (e forse per questo quantomai preziosa) musica di Neel. “Phobos” è equilibrio, una storia solitaria che con pazienza racconta, grazie a quarantasei minuti ricchi di sfumature, come dovrebbe suonare secondo l’artista il più grande e affascinante dei satelliti di Marte.