Gli album più attesi sono, comunque, i lavori che ti regalano più soddisfazioni. Senza entrare nel merito del gusto e in quello della loro effettiva valenza artistica, questi rappresentano – e sempre rappresenteranno se approcciati in modo sano e critico – un punto interessante e valido da cui far partire analisi sul fenomeno e sulla scena cui appartengono. Messe via le prese di posizione del tipo “è bello perché va di moda” e “è una merda perché sì”, si può partire dalle raccolte di Recondite e Steffi, due degli artisti più in voga degli ultimi mesi, per vedere cosa offre il mercato della musica da ballo alla sua audience e cosa, proprio quell’audience, riconosce come meritevole di hype ancora maggiori o fragorose bocciature.
Oggi su Suoni & Battiti si parla dei nuovi album usciti su Innervisions e Ostgut Ton. Voi che ne pensate? È proprio tutto oro quel che luccica?
[title subtitle=”Recondite – Iffy (Innervisions)”][/title]
Con una discografia giovane, ma già ricchissima di uscite, il bavarese Recondite ha saputo scalare la vetta del successo in modo tanto rapido quanto inaspettato, cambiando rotta senza troppe remore e cavalcando l’onda di un hype generato dalla stima e dal supporto di alcuni dei nomi più importanti della scena. Se volete, lasciando l’analisi e le riflessioni a un livello più basso, la svolta per Lorenz Brunner è arrivata pochissimo tempo fa, quando gli è stato dato il compito di occupare l’ora di musica che separava le esibizioni di Sven Väth e Richie Hawtin al Time Warp di quest’anno. Cosa c’entrasse il suono “Hinterland”, la sua raccolta su Ghostly International (la seconda dopo “On Acid”, rilasciata da Absurd Recordings / Acid Test nel 2012), con gli show dei due headliner del festival, probabilmente, lo sapevano solamente i diretti interessati; tanto che la scelta di Dixon e soci di affidargli un ruolo centrale nei vari Lost In A Moment in giro per l’Europa, prima, e la preparazione di un album per la loro Innervisions, poi, ha finito per stupire un po’ tutti.
A dirla tutta, infatti, che quello di Recondite fosse un talento fuori dall’ordinario era chiaro da tempo, specie a chi s’è lasciato convincere già dalla prima uscita su Plangent e dagli EP che sono seguiti sulla sua label (cinque in tutto), oltre che dalle release su Dystopian e Trolldans. Ciò che non torna e lascia perplessi, però, è come tutto questo sia stato rapidamente accantonato a vantaggio di un suono più fruibile e più vicino al gusto del pubblico che presiede i grandi eventi. “Iffy”, infatti, nasce e vive in una sorta di via di mezzo: è un album di pregevole fattura, equilibrato e misurato in ogni suo passaggio (tanto da risultare spesso tutt’altro che spontaneo nella sua perfezione); ma è anche un album lontanissimo dal cuore di “Hinterland”, quello che immaginiamo rappresenti la fiamma che ha dato vita alla storia artistica di Recondite, e quindi dalla fragilità, dalla sensibilità e dall’intima bellezza dipinta fin qui dai suoi lavori.
“Iffy”, quindi, non riesce a vincere il timore che si tratti di una raccolta nata per giustificare un live, sempre più richiesto, che sta portando Recondite in lungo e in largo a partire da questa estate. La raccolta scorre senza lasciare veramente traccia: “Tame” è buona, così come “Steady”, mentre “Konter” ricorda un lavoro dei The Howling, ma in chiave strumentale. “Iffy” si riduce a questo, a un lavoro che un po’ delude le aspettative, che non alza l’asticella e l’ambizione che dovrebbe competere a quelli come lui e che si limita ad eseguire con matematica precisione il compito: quello di dimostrare di essere all’altezza, non di essere il più bravo.
[title subtitle=”Steffi – Power Of Anonymity (Ostgut Ton)”][/title]
Steffie Doms presenta il suo nuovo album, il secondo dopo “Yours & Mine” di tre anni fa, come un lavoro molto diverso dalla sua precedente fatica. Prettamente orientato al dancefloor, infatti, “Power Of Anonymity” prende le distanze dalla più concettuale (e profonda, aggiungiamo noi) prima raccolta, racchiudendo in dieci tracce quello che è il suono/manifesto che la Steffi-dj intende proporre nei club. Mentre “Yours & Mine”, grazie a lavori molto eterogenei tra loro (basti pensare al floor-anthem “Yours”, a “You Own My Mind”, a “Lilo” e a “Arms”), si presta a un ascolto che può anche esulare dal club, grazie al vasto spettro di emozioni che l’artista olandese è riuscita a racchiudere nelle sue tracce, il nuovo album presenta un carattere del tutto diverso. Più compatto e rigido nella sua evoluzione, “Power Of Anonymity” è un’insieme di tracce nate per essere suonate davanti a una pista gremita, quasi a voler far il punto sui vent’anni di carriera di Steffi.
È un album estremamente impulsivo, questo, ed è la stessa artista a confermarlo nelle poche righe di presentazione che lo accompagnano: “il lungo periodo di lavorazione in studio può essere diviso in tre blocchi separati: inizialmente mi sono concentrata sul buttar giù idee e bozze, poi sono passata all’arrangiamento e alla registrazione vera e propria, infine ho pensato al missaggio”. Così, mentre le diverse tracce si susseguono veloci, seguendo fedeli i tracciati disegnati della bassline e dai groove basici (fa eccezione, per così dire, la sola title-track), ci si ritrova alla fine di “Power Of Anonymity” un po’ interdetti. Eccezion fatta per “Treasure Seeking”, che in chiusura regala un sussulto electro-pop alla raccolta, questo nuovo Ostgut Ton non regala emozioni diverse da quelle che si provano abbandonandosi alla danza. Nessun virtuosismo degno di essere sottolineato, nessun vezzo particolare a regalare all’album quel non so che di veramente accattivante: Steffi ha confezionato un disco affidabile, serio e rigoroso, di questo bisogno dargliene atto, ma il suo è un lavoro senza sorprese e senza sussulti. “Power Of Anonymity” è uno di quei lavori che ti mandano a casa sudato, ma che non ti fanno e non ti faranno mai dire “oh cazzo”.
https://soundcloud.com/ostgutton-official/sets/steffi-power-of-anonymity-ostgutcd32lp18