“American Intelligence”, il quinto album del mitologico Theo Parrish, è il colpo di coda di un 2014 che, nonostante la moltitudine di lavori validissimi che si sono susseguiti nel corso dei mesi, non era stato ancora capace di buttare nella mischia l’opera destinata a spaccare la mela della critica in due perfette metà.
A questo c’ha pensato Theo Parrish, appunto.
Per questa ragione ci siamo presi del tempo prima di parlarvi di “American Intelligence”, perché reputiamo ce ne voglia per digerirlo e goderne a pieno; perché un disco che suona così merita il rispetto di un ascolto attento e concentrato per essere giudicato. Ci vuole tempo perché i messaggi contenuti al suo interno non sono propriamente quelli che ci si aspetterebbe da una raccolta house – house per i tempi che corrono, meglio chiarire. Quindi chi se ne frega se l’americano è la figura che ispira il vostro autoerotismo musicale; chi se ne frega se, viceversa, di quello stesso artista non volete assolutamente sentir parlare, perché “ragazzi che noia le sue robe iper-prolisse”. Ci vuole calma e pazienza, insomma: scansati i momenti in cui la bellezza cristallina dell’estetica di Chicago tocca livelli glicemici insostenibili, in “American Intelligence” c’è una tale quantità di messaggi da fare propri seconda solo all’autoreferenzialità del buon Parrish.
C’è da dire – e lo sbandieriamo prima, all’inizio, per evitare di scordarcene e sminuirne la valenza – che la nuova raccolta di Theo Parrish presenta comunque tutti i difetti, passateci l’espressione, della sua musica. Ci sono tutti, nessuno escluso: “American Intelligence” è un album che dice in due ore di musica (quelle dal doppio CD) quanto potrebbe essere rappresentato, con egual efficacia, nella metà del tempo; è una raccolta, poi, che ancora una volta fugge ogni forma di raffinazione in post-produzione, con buona pace di chi vedrebbe comunque di buon occhio un’apertura nei confronti delle nuove tecniche per dare maggiore forza e vigore alle dogmatiche prese di posizione dell’artista.
Ma “America Intelligence” è un album capace di delineare in modo nitido, come forse mai prima d’ora, il ritratto del suo autore. Sta qui la sua forza e la sua inequivocabile valenza, prima ancora dell’effettivo valore delle quindici tracce contenute al suo interno. È una raccolta vera e schietta, dove i messaggi dell’artista non lasciano spazi a dubbi e vanno ben al di là del suo essere icona dell’house music e della cultura black, nonché intramontabile feticista del jazz e del funk. Ciò che rende Theo Parrish ancora una volta unico è, qui, la voglia di abbattere il muro dell’estetica edonistica dell’house a favore di un approccio più “techno” di fare musica (quello dell’abbattere le barriere e del superare sé stessi piuttosto che limitarsi ad offrire del semplice intrattenimento, per intenderci), dove la spiritualità dei brani non va ricercata nell’esaltazione di rituali collettivi, bensì in profondi, torbidi e meno accomodanti monologhi interiori. È probabilmente questa la ragione per cui Parrish sceglie di impostare i suoi brani più incisivi come lunghe maratone (“Drive”, “Footwork” e la bellissima “Be In Yo Self” ne sono un esempio), piuttosto che regalare ai suoi fan la sua musica in pillole.
Fa parte della retorica parrishiana, che ci piaccia oppure no. Se si tratta veramente di un limite sta a voi dirlo, senza farsi vincere da facili esaltazioni o chiusure a priori; certo è che sembrano essere in molti, oggi, quelli disposti a pagare questo prezzo pur di poter assaporare l’inconfondibile emotività della sua musica.