Che Björk stesse lavorando a un nuovo album non era un mistero per nessuno, anzi.
Se ne parlava insistentemente da un annetto e da qualche mese eravamo a conoscenza dei nomi dei produttori (i quotatissimi Arca e The Haxan Cloak), mentre è solo dallo scorso tredici gennaio, sette giorni precisi precisi, che abbiamo potuto dare un nome – Vulnicura – e una data – il 30 marzo 2015 – a questo tanto agognato nuovo progetto. E invece…
Invece il nuovo album di Björk ce lo siamo ritrovati tra capo e collo una domenica sera di fine gennaio mentre guardavamo i goal in tele e cominciavamo a fare i conti con l’ansia di una nuova settimana lavorativa alle porte. La domanda era sempre la solita: “Has it leaked?”.
Sì, is leaked! Più veloce della luce. Wow.
Non si è ancora esaurita l’eco della notizia del nuovo album di Madonna, finito in rete per una buona metà praticamente ancora prima che i lavori in studio venissero terminati, che già ci troviamo di fronte a un nuovo caso esemplare.
Nell’epoca di Spotify, Deezer e SoundCloud sentire parlare di dischi che appaiono online anche con molto anticipo rispetto alla data di uscita, è più o meno come andare a farsi un giro sulla DeLorean. Una vera e propria madeleine che ci riporta dritti dritti a quell’epoca, neanche troppo lontana, in cui scaricare musica illegalmente veniva quasi considerato “giusto”.
Un gesto rivoluzionario e per alcuni addirittura obbligato.
Discutere di quanto quella visione delle cose fosse pericolosamente sbagliata dovrebbe essere superfluo: l’industria discografica ha provato sulla sua pelle tutte le tecniche di suicidio conosciute in natura, ma le mani insanguinate ce le abbiamo tutti. Nessuno escluso.
Poi possiamo ancora stare qua a discutere di quanto sia stato stupido cercare di fare la guerra alla rete piuttosto di provare a capire subito il modo giusto per utilizzarla e renderla la risorsa che è, ma siamo tutti d’accordo: si è perso un sacco di tempo e si è perso male.
Perché scrivo tutto questo? Perché domenica sera, per nulla coerente con quanto ho dichiarato fino a pochissimo sopra, ho scaricato il nuovo album di Björk. Lo ammetto: mi annoiavo, ho visto un paio di brani comparire nelle home di Twitter e Facebook, ho letto i primi – velocissimi – pareri e ho cliccato sul link come se fosse la cosa più naturale e al tempo stesso irrazionale del mondo. Tanto poi lo compro.
E così l’ho fatto. L’ho scaricato e ascoltato tutto di un fiato sperando tanto che si trattasse di un fake (non tanto per la qualità della proposta, ma solo per essere il primo a dire: “Fake”, ormai funziona così).
Non lo era. Era il disco vero. Forse non nella sua versione definitiva, ma quello non poteva che essere il nuovo album di Björk. L’ultimo. Quello che doveva uscire a marzo. Quello che ha un titolo che sembra una malattia della pelle. Quello che sembra segnare un ritorno alle atmosfere di “Homogenic” e “Vespertine”. Quello che, OK, non è male per niente. Anzi, è meglio di quello prima. E forse anche di “Volta”. Ma le canzoni? Dove sono finite le canzoni?
Non ho fatto neanche in tempo a dare una risposta a una domanda che mi stavo facendo da solo (Marzullo never lies!) che è subito arrivata la notizia che nessuno si aspettava: il nuovo disco di Björk, quello che doveva uscire a marzo, quello che ha il titolo che sembra una malattia della pelle, quello che… (ci siamo capiti), è in realtà già uscito. Ieri pomeriggio. Martedì venti gennaio.
Circa tre mesi prima della data ufficiale. Giusto per metterci una pezza, correre ai ripari e limitare i danni (tranquilli, ho finito i cliché). O forse perché era giusto così. E, OK, il complottismo fa schifo, le scie chimiche pure, i microchip e le sirene non ne parliamo neanche, ma di fronte a tanta rapidità e precisione viene quasi da pensare male.
Dite che si tratta di una mossa di marketing?
Può essere, nel frattempo io il disco l’ho comprato. È esattamente lo stesso disco che avevo scaricato due giorni prima. Suona giusto un filino meglio, quasi come guardare un video in HD dopo che lo si è già visto una volta alla risoluzione più bassa.
Ora dovrei scrivere una recensione vera e propria, giusto?
E se lo facessi fra tre mesi?