Spiegare la carriera di John Frusciante a qualcuno che del personaggio conosce solo la militanza nei Red Hot Chili Peppers, e il refuso di Enrico Brizzi nel titolo del suo romanzo d’esordio (quel “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” che ha appena festeggiato il ventesimo compleanno), è più o meno come provare a districare la lana di un gomitolo dopo averla passata tra le grinfie di più di mille gatti. Un gran casino.
Perché Frusciante è un personaggio letterario fatto e finito, e questo da ben prima di venire incapsulato nel titolo di un romanzo per adolescenti: entra nei Red Hot Chili Peppers giovanissimo, appena diciottenne, verso la fine degli anni ottanta. Con loro registra solo due dischi, quelli del botto: “Mother’s Milk” e soprattutto “Blood Sugar Sex Magic”, per poi venire cortesemente buttato fuori dopo un tour lungo due anni e un’infinità di tentativi falliti di rehab. Perché se nei Red Hot Chili Peppers di quegli anni la droga girava a fiumi, nessuno degli altri componenti della band sviluppa il rapporto morboso e pericoloso che John finisce per avere con le sostanze e in particolare con l’eroina. La testimonianza favolosa di quel periodo decadente è data da una loro partecipazione al Saturday Night Live, forse l’ultima apparizione ufficiale del gruppo con Frusciante in formazione. Da una parte ci sono tre bellimbusti a torso nudo, tonici e nel pieno della loro forma, mentre in un angolo c’è questo tizio alla chitarra elettrica, coperto da un maglione grande tre taglie più di lui, che sembra appartenere a un altro mondo e capitato lì per caso. Per tre quarti suona un pezzo diverso da quello che stanno suonando gli altri: cioè, la canzone è la stessa, ma gli accordi, il tempo e l’intenzione prendono una strada tutta loro. Quando si avvicina al microfono per fare i cori, poi, è un disastro e sul finale, invece di chiudere quando dovrebbe, allunga l’arpeggio in un modo talmente sbilenco che è impossibile non notare le occhiatacce degli altri componenti della band. Pare che sia stato cacciato quella sera stessa, con buona pace di Flea che le aveva provate tutte per cercare di recuperarlo.
Da quel momento Frusciante smette di essere una rockstar e diventa un fantasma. Uno che appare e scompare senza soluzione di continuità, rilascia interviste dove racconta di essere in contatto con degli esseri superiori invisibili e registra dischi che più sono fragili e più sono belli (da recuperare almeno “Niandra Lades & Usually Just a T-Shirt”). Per la scena alternativa rock americana diventa la cosa più simile a Syd Barrett a essere mai inciampata da quelle parti. Uno che esiste solo nell’altra dimensione. La sua.
In quel periodo John se la passa non male, malissimo. Rischia di rimetterci le penne talmente tante volte da considerarsi a tutti gli effetti un miracolato. Tocca il fondo, scava, e poi scava ancora, fino a sparire. Riemerge nel 1999, più o meno guarito e di nuovo disposto a fare sul serio. I Red Hot Chili Peppers lo riprendono nel gruppo e in poco meno di tre settimane, in un garage, registrano “Californication”, il loro più grande successo di sempre. Frusciante sale di nuovo sulla giostra, i Red Hot Chili Peppers diventano il più grande gruppo rock del mondo (non parliamo di qualità, ma di vendite) e lui ne ha le redini. L’idea folle è quella di trasformarli nei Beach Boys del crossover, anche se i risultati non saranno mai all’altezza. John comunque non è fatto per essere una rockstar e approfitta di ogni momento libero per pubblicare tutta la musica che gli passa per la testa (tre album solo nel 2004) e collaborare con i musicisti che più ama (Blonde Redhead, Mars Volta e chi più ne ha più ne metta). Nel 2009 lascia ancora una volta, e questa volta per sempre, la band.
Basta, non ce la fa più, la routine disco più tour non fa per lui, ha voglia di provare altre cose, e lo vuole fare in altri ambiti. Prende il suo più fidato collaboratore, Josh Klinghoffer, e lo piazza nei Chili Peppers alla maniera di uno che prima di lasciare sfitto un appartamento si presenta con un nuovo inquilino dal padrone. Si ritira di nuovo a vita privata, ma questa volta le droghe non c’entrano: questa volta Frusciante vuole provare a fare musica in un modo del tutto inedito per lui, vuole dimenticarsi di essere un chitarrista rock, di sapere scrivere delle hit, per divertirsi un po’ con macchine e campionatori. Da qualche tempo ha un’insana passione per l’acid house di cui vuole usare suoni e stilemi per realizzare delle canzoni pop. Un’impresa folle, che gli riesce solo in parte e viene consacrata in un album – “PBX Funicular Intaglio Zone” – e in un EP (“Letur-Lefr”).
Nel tempo libero, come se non bastasse, si cimenta come produttore hip hop con il duo dei Black Nights, inizia a frequentare Venetian Snares e continua a perdersi in mille progetti che raramente riescono a vedere la luce. Nel 2014, con l’uscita di “Enclosure”, dichiara conclusa la sua trilogia elettronica, mentre in tanti cominciano a essere convinti di un suo imminente ritorno verso territori più convenzionali. Fino a oggi, le uniche notizie certe riguardavano un suo coinvolgimento nell’imminente nuovo lavoro dei Duran Duran, per cui siamo rimasti sorpresi anche noi quando abbiamo scoperto che c’è un nuovo disco in arrivo e che questa volta si tratta di un vero e proprio album di acid house. John ha infatti deciso di rispolverare l’alias con cui aveva dato alle stampe, più o meno di nascosto, un singolo nel 2012: Trickfinger. Il nuovo lavoro conterrà otto tracce e già è possibile ascoltarne una dal SoundCloud della Absurd.
Il pezzo è una vera sorpresa, perché non si tratta più di fare esperimenti che partono dai suoni acid per arrivare chissà dove, ma di una vera e propria riproduzione calligrafica di un sound che ha fatto scuola.
Il Frusciante del 2015 suona come una macchina del tempo con la rotta programmata verso Londra nel 1992. Addirittura i brani sono stati composti usando rigorosamente hardware d’epoca. Nessuna concessione al futuro, nessuna voglia di spostare la lancetta in avanti. Puro revival.
Ma il revival di uno che ha scelto la libertà e che pure quando si muove nel solco già tracciato di un genere non smette di essere un irregolare. L’alieno che cadde per sbaglio sui Grammy Awards.
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01. After Below
02. Before Above
03. Rainover
04. Sain
05. Exlam
06. 85h
07. 4:30
08. Phurip
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