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[tab title=”Italiano”]C’è stato un momento, poco prima che il fenomeno minimal esplodesse in tutta la sua “minusiana” ferocia, in cui Poker Flat veniva considerata uno dei cardini del movimento elettronico europeo. Merito di una serie di uscite, le prime, capaci di riscrivere i canoni musicali della scena tedesca, quella che ha dato i natali a gioielli più o meno preziosi come Perlon e Innervisions, ma che a conti fatti non ha mai avuto un grossissimo feeling con l’house music se non attraverso una rivisitazione quasi radicale dell’approccio classico di Chicago. Steve Bug, il ragazzo partito da Brema, passato per Amburgo e finito a Berlino (quella che quindici anni fa “aveva già moltissimi dj validi e trovare lavoro lì come resident sembrava un’utopia”) è stato al centro di tutto questo, traghettando la sua piattaforma attraverso release di cui solo a posteriori, forse, se ne riconosce l’effettivo valore. Steve Bug, però, è un uomo che vive seguendo l’ambizione di raggiungere i suoi obiettivi senza snaturare l’identità della sua musica e dei suoi progetti. È per questa ragione, infatti, che se non fosse stato per la tenacia con cui ha difeso l’identità delle sue creature, Poker Flat su tutte, oggi parleremmo di Steve Bug mettendolo alla stregua dei vari Richie Hawtin e Ricardo Villalobos, artisti con cui lui stesso ha diviso a più riprese studio e consolle.
E allora permetteteci di darvi un consiglio: prima di dedicarvi alla lettura della sua intervista, andate a recuperare qualche sua vecchia release. Godendo del sensuale equilibrio tra spazi vuoti e groove caldi, potreste riscoprire qualche classico che non sa ancora di essere tale.
Sei originario di Brema, una città non propriamente al centro della scena club tedesca. Come e quando è scattata la passione per la musica funk (prima) e house (poi)?
Nel 1987 alcuni amici mi portarono in un club chiamato Front, ad Amburgo. È lì che ho scoperto la musica house, e da quel momento iniziato a collezionare dischi e a mixarli a casa, con il secondo giradischi che avevo comprato.
Hai più volte ribadito come proprio Front di Amburgo, al pari di figure come Klaus Stockhausen e Boris Dlugosch, abbia giocato un ruolo fondamentale all’inizio del tuo percorso. Cosa rendeva davvero speciale il club? In che modo ha cambiato il tuo rapporto con la musica?
Lì ho sentito, per la prima volta in vita mia, qualcuno mixare. All’epoca il dj era quella figura che concatenava i dischi, lasciando tra un pezzo e l’altro un break oppure un annuncio con il microfono. L’amore per la musica house, poi, è scoccato sin da subito, così come quello per l’atmosfera del club. Ricordo che la prima volta che entrai ballai tutta la notte e di esserci tornato tutti i weekend in cui ho potuto fare festa lì.
Com’è finito un parrucchiere al centro delle consolle più belle e importanti del mondo?
Sembrerebbe esserci una certa connessione tra l’hairdessing e suonare musica. Io non sono, infatti, l’unico dj a essere passato da una professione all’altra, ma non so spiegarne onestamente la ragione. So solo che ho sempre amato la musica e che sono sempre stata una persona creativa. Questo è il motivo per cui inizialmente ho scelto di fare il parrucchiere, salvo poi sentir crescere il mio amore per l’house a tal punto da dover fare una scelta. Io ho scelto quest’ultima, il resto della storia lo dovreste conoscere.
Una volta scelto cosa fare da grande, ti sei stabilito ad Amburgo. Perché proprio lì?
Sono stato resident di un locale a Brema, ma quando la proprietà del club è cambiata tutto il team di cui facevo parte ha deciso di smettere. In un primo momento avevo pensato di trasferirmi a Berlino, ma poi mi è stato offerto un lavoro in Superstition, la label di quello che tutt’ora è il mio label-partner. Quella di Tobias sembrava essere la scelta migliore, dal momento che Berlino aveva già moltissimi dj validi e trovare lavoro lì come resident sembrava un’utopia. Come tutti avevo bisogno di una rendita per vivere, così decisi di andare ad Amburgo e iniziare da lì.
Com’era la sua scena prima che nascessero label importanti come Dial e Smallville? Parlaci del tuo rapporto con questa bellissima città.
Amburgo ha avuto una grossa scena house e techno grazie a club come il Front, l’Opera House e lo Unit. Quando mi trasferii c’erano diverse situazioni nuove che stavano crescendo al fianco di questi club, che rappresentavano il vero punto di riferimento. Mi ricordo di un locale chiamato The Lounge dove avevamo la possibilità di suonare deep house, per questo chiamato “Lounge House” tutti i giovedì notte. Gente come Martin Landsky, Vincenzo e Marc Schneider erano soliti suonare spesso lì. È stato un grande-piccolo club nel cuore di St. Pauli. Ma abbiamo anche organizzato feste al Front il venerdì notte: in una sala Chicago house e techno di Detroit, mentre nella seconda o drum’n’bass o qualcosa di più blando. In seguito ci sono state feste in cantine o warehouse. In una di queste ho suonato per la prima volta “Loverboy” e ho visto la pista saltare fino al tetto. Tornando alla domanda: quando ascolto le uscite di Dial e Smallville mi sento quasi a casa, ad Amburgo. C’era un qualcosa nella sua scena underground, un qualcosa che amo ancora. Purtroppo molti club hanno chiuso, per questo spero presto in un’inversione di marcia. Una città come Amburgo ha certamente bisogno di più club.
La pubblicazione di “Loverboy”, l’ultima traccia scritta ad Amburgo e contenuta in “Double Action (Everything Is At Stake)”, la prima release del catalogo di Poker Flat, è coincisa con un periodo fondamentale per la tua crescita: il trasferimento a Berlino. Com’era la città quindici anni fa? Che aria si respirava allora? Cosa trovi maggiormente cambiato rispetto a quegli anni?
La vita in città era sicuramente meno cara, ma l’inverno sicuramente più deprimente rispetto ad oggi. Quasi tutti gli edifici erano ancora danneggiati dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e le loro pareti erano grigie a causa delle stufe a carbone che si usavano per scaldare le case. Berlino Est, poi, era particolarmente malandata. Guardatela adesso: quasi pulita, quasi bella, ma soprattutto troppo cara per tutta quella gente che vive qui da anni. Oggi, inoltre, abbiamo molti più club e molti più turisti rispetto al passato, gente che viene il weekend per fare festa o semplicemente per visitare l’East Side Gallery e le altre attrazioni. Berlino resta comunque a buon mercato, specie se paragonata con le altre grandi città europee, ed è ricca di bellissime vibrazioni. Mi sento ispirato ogni giorno, anche solo camminando per le sue vie.
C’è stato un momento nella storia di Poker Flat in cui tua label era semplicemente inarrivabile. Questo senza la pubblicazione di “big-track” dal successo planetario, piuttosto grazie a un catalogo sempre affidabile. Quella di ricercare un rapporto confidenziale con gli appassionati, anziché quella dello “shock”, è stata una scelta consapevole o Poker Flat e la sua storia rispecchiano semplicemente il tuo carattere?
Io penso che sia stato un po’ un insieme di cose. Ciò che è certo, è che pubblicare la musica che amiamo è sempre stato il nostro solo e unico obiettivo. Non ci siamo mai sentiti come “la cosa più speciale del mondo”; siamo gente normale, grata per poter fare ciò che ama e felice di avere persone provenienti da tutto il mondo che ci seguono e supportano.
Più di centocinquanta release e decine di artisti hanno caratterizzato il catalogo della tua label. Dopo tanti anni, pensi di essere riuscito a mantenere la sua linea fedele all’idea che ti eri fatto prima prima di intraprendere quest’avventura?
Sì, lo sono.
Hai mai avuto la sensazione, specie dopo le uscite di Trentemøller, Argy e John Tejada, di avere essere alla guida di una Ferrari? Non hai mai avuto la paura di non esserne all’altezza?
No, mai. Come ho detto, abbiamo semplicemente fatto cosa pensavamo fosse “giusto” e siamo stati fortunati nel trovare l’approvazione di tanti appassionati, che hanno seguito la nostra idea di musica elettronica.
In passato hai affermato più volte di preferire un low profile, piuttosto che essere tra i nomi di riferimento di un intero movimento. Non pensi, però, che cercare di essere “diversi” a tutti i costi non abbia rappresentato un rischio troppo alto proprio quando il mercato discografico ha attraversato la sua fase più difficile?
Non so se questa si è rivelata effettivamente una buona mossa, un approccio diverso mi avrebbe consentito di essere al centro della scena più a lungo. Ma seriamente, non mi interessa: questo è ciò che sono e non vorrei essere altro. Voglio sentirmi libero di suonare la musica che reputo valga la pena di essere proposta e voglio scrivere musica che sento mia al 100%, piuttosto che produrne altra seguendo esclusivamente il gusto del pubblico.
Il pubblico sembra innamorarsi in fretta di artisti e label e poi dimenticarsene altrettanto velocemente. Cosa ne pensi? Non trovi che gli attuali meccanismi di mercato non facciano altro che ferire progetti, come quelli in cui sei protagonista, che fanno della coerenza la loro principale qualità?
Credo che questo sia dovuto alla stampa, che cerca sempre di trovare la prossima “big thing”. Una volta trovata, lasciano che l’hype la sospinga finché anche questa non finisce per annoiare; così parte la caccia al prossimo fenomeno e così via, ciclicamente. Purtroppo oggi c’è molta gente all’interno del nostro mondo che si lascia fuorviare da questo fenomeno, dimostrando di aver perso il proprio gusto personale. Semplicemente “mangiano ciò che gli viene dato per nutrirsi”. Questo accade anche perché ogni settimana esce una marea di musica e ciò rende complessa la ricerca di qualcosa che ti possa piacere davvero, per questa ragione è più semplice seguire il flusso. Per fortuna esiste anche tanta gente che la pensa diversamente e “consuma” la musica di conseguenza. La musica elettronica non è solo marketing, c’è sempre qualcosa che fermenta nel movimento underground.
Non hai mai pensato, magari nei momenti più complessi, di scendere a maggiori compromessi col gusto del pubblico?
Mai. Avrei preferito fare altro che proporre musica che non mi piace, ma all’interno dei trend di maggior successo c’è comunque qualcosa che apprezzo, dischi che possono sempre essere proposti all’occorrenza. Trovo giusto questo approccio, almeno fino a un certo punto.
Nel tuo curriculum compare anche Raw Elements con le sue decine di uscite in soli quattro anni. Perché accantonare così presto un progetto tanto valido?
Beh, io non la definirei una label propriamente di successo. Con Raw Elements abbiamo venduto più copie che con le prime release su Dessous e Poker Flat, ma la ragione per cui abbiamo accantonato il progetto è che il pubblico non capiva veramente quello che era lo spettro sonoro delle nostre release. Così abbiamo deciso di dividere la label in due nuove etichette.
Quale disco che hai suonato a lungo (o non hai mai smesso di suonare) ti sarebbe davvero piaciuto pubblicare su una delle tue piattaforme?
Non sono in grado di indicarvene una ora, ma sono sicuro ce ne siano diverse là fuori.
(Photo by Mirjam Knickriem)[/tab]
[tab title=”English”]There was a moment, just before the minimal waves has reached out in all its “minus” ferocity, where Poker Flat was considered one of the pillars of the European’s electronic music movement. Responsible of that is a series of release which made possible to rewrite the standards of the german’s scene, the one which gave the birth to many gems like Perlon or Innervisions, but that never ever had a huge feeling with the house music if not by means of some radical revisitation of the classical Chicago’s approach. Steve Bug, the lad who left Bremen for Hamburg and end up to live in Berlin (the city which “had plenty of good djs and it seemed illusional to find a job as a resident dj over there”) has been the attraction point of all of that, bringing his artistic dimension through releases which only after a period of time, perhaps, it’s possible to recognize the effective value of them. However Steve Bug is a man who lives by the ambition to achieve his objectives without distorting the identity of his project and music. This is why, indeed, if he wouldn’t defend with perseverance the identity of his creations, with Poker Flat on heads of all, today we would speak about Steve Bug comparing him the same ways than Richie Hawtin and Ricardo Villalobos, artists with whom he has shared several times the studio and the consolle.
And then let us give you an advice: before reading the interview, go and check some of his old releases. Enjoy the sensual balance between gaps and warm grooves, you might rediscover some classic that still doesn’t know to be such a pearl.
You come from Brena. This city is not really the most famous, in terms of clubs, in the German scene. How and when did your passion for funk music and house music started?
In 1987 friends took me to a club called Front in Hamburg, that’s where I discovered house music and I immediately started buying records and a second turntable to try to mix records at home.
Many times you claimed that the Front in Hamburg, as well as Klaus Stockhausen and Boris Dlugosch, played an important role at the beginning of your career. Why was this club so special to you? In what way did it change your relationship with music?
It was a first time I heard someone mixing records together. At the time djs would play record by record with a break in-between, sometimes even an announcement. I fell in love with house music on the first beat. And the atmosphere at the club was incredible. I danced the whole night and came back every weekend that I could to party there.
How happened that a hairdresser is now playing in the most beautiful and important clubs in the world?
It seems like there is some connection between hair dressing and playing music. I am not the only dj who used to be a hairdresser though, but I can’t explain it. I always loved music and I always was creative. That’s why I choose hairstylist in first place, but ove the years my love for house music grew so big I had to make a choice. And I choose house. The rest is history.
Once you decided what to do in your life, you moved to Hamburg. Why this city?
I had a residency in Bremen, but after the owner had changed, the whole team decided to quit. At first I wanted to move to Berlin, but I got offered a job at Superstition, the label of my nowadays label partner. Tobias it seemed to be the smarter move, since Berlin had plenty of good djs and it seemed illusional to find a job as a resident dj over there. As everyone I needed some money to survive, so I decided to move to hamburg and take it from there.
How was the music scene before the launch of important labels such as Dial and Smallville?
Hamburg had a great history in house and techno with clubs like the Front, the Opera House, the Unit and so on. At the time I moved there there were several new things going on besides Unit and Front which were still going strong. I remember a club called the Lounge were we would play deep house and so called lounge house on thursday nights. People like Martin Landsky, Vincenzo, Marc Schneider and many others were playing there regularly. It was a great small club in the heart of St. Pauli. But we’ve been also throwing parties at the Front on friday nights. With one room full of Chicago house and Detroit techno vibes and a second room with drum’n’bass and easy listening kinda stuff. Later there were a few smaller cellar and warehouse parties going on. On of them I’ve been playing “Loverboy” for the first time and It almost blow the roof off. But I still feel like coming home to my former hometown Hamburg when I listen to Dial or Smallville records. There is this certain vibe about the Hamburg underground that I still love. Unfortunately not many clubs have been left there. I hope it is going to change again soon. A city like Hamburg needs more than one club for sure.
The publication of “Loveboy”, that is the last track written in Hamburg included in “Double Action (Everything is at stake)”, the first release of the Poker Flat catalogue, coincides with a important period of your career that is when you decided moved to Berlin. How was this city 15 years ago? Is there something totally changed compared to that period?
Yes, it got way more expensive, but also less depressing in the winter. Almost all houses still had holes from grenades from the second world war and they’ve been grey due to the charcoal ovens in the apartments. Especially the east part was terribly run down. And look at it now. Almost to clean, almost to nice, but especial too expensive for a lot of people that used to live here for many years. Also we have way more clubs here than before and way more tourists coming in every weekend to party or simply visit the historical wall left overs and do some sight seeings. It is still cheap to live here compare to other big cities in Europe and the city has a great vibe. I fell inspired every day just by walking through Berlin.
There was a moment in the history of Poker Flat where your label seemed unreachable. It happened without the publication of any “big track” achieving worldwide success, but rather because of a reliable catalogue. You have made a good move proposing a “intimate” relationship with your followers, rather then a “shock” one, isn’t it? Or, does Poker Flat and his history simply reflect your way of behaving?
I think it was a little bit of all of it. Releasing great music that we like and feel always was the main goal for us. We never saw ourselves as the biggest thing in the world, we are normal people being able to do what we love and happy that we have people from around the world that support us.
More then 150 releases and tens of artists have characterized the catalogue of your label. After so many years, have you managed to keep it faithful to your original idea?
I think yes.
Have you ever thought, especially after the release of Trentemøller, Argy and John Tejada, to be “driving a Ferrari”? Have you ever been afraid of not being able to face it?
No never. As I said, we were simply doing what we thought was right and we were just lucky that many people supported us and our idea of electronic music.
You always preferred a low profile in the past, rather then being one of the major and famous artist of this entire movement. Do you think that was a good choice to be so different in times of changes in the recording scene?
I don’t know if it was a good move, it might have helped me to stay on the scene for so many years. But I seriously don’t care. It is the way I am, and I don’t want to be different. I want to play the music that I feel it is worth playing and I want to write music that I feel 100% instead of trying to write anything that may be more successful.
People seem to fall in love with artists and labels as fast as they forget about them. In other words, market mechanism happer the success of consistent work as your. What do you think about it?
Well that is due to the press is always trying to find the next big thing. Once they find it, they hype the shit out of it until they get bored with it themselves and then they start to look for the next thing and it starts all over again. Unfortunately these days people in the electronic music scene follow those created hypes. It almost seems people have lost their personal taste. They eat what they get feed with. Also due to the flood of new releases every week it is hard to look through and find something you may like, so it is easy to just go with the flow. Luckily there are enough people who think differently and consume music differently. The electronic music is not only about marketing. There is still something brewing in the underground.
During hard times, have you ever thought about making a compromise with the public taste?
No never, I would rather do something else than playing music I don’t like. But with most trends there is usually something I like, so you can adjust a little bit if you have to. But only until a certain level.
Your first label, Raw Elements, released a lot of EPs in four years. Why did you decide to give up so early with this very successful project?
Well, I wouldn’t call it successful at all. We sold way more copies of the first releases on Dessous and Poker Flat. But the original reason why we gave up was that people din’t really understand the spectrum of music that we were releasing on raw elements. That’s why we decided to split the label in to two new ones.
Which track that you always play, or continue to, would you really like to have published on one of your labels?
Can’t name one right now, but there are definitely a few out there…
(Photo by Mirjam Knickriem)[/tab]
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