Dati alla mano, Luca Ballerini ha tutte le carte in regola per costruirsi una solida carriera artistica. Da curriculum, ricordiamo l’uscita su Cocoon e una release in arrivo su Innervisions, solo per citarne alcune. Musical Metaphor invece è la sua personalissima etichetta, uno spazio libero ed esclusivo che gli permette di dare un peso alla sua musica. Ha già avuto modo di suonare con ottimi artisti in altrettanti ottimi club. Ciò che colpisce però di questa intervista è come Ballerini si presenta lucido nell’analizzare se stesso, la sua posizione e il contesto nel quale è inserito. E’ quasi tangibile la percezione che si ha del suo approccio umile verso quegli artisti che ha incontrato e che, in qualche modo, lo hanno aiutato a farsi strada. Il consiglio è quello di investire pochi minuti del vostro tempo in cambio di una rivelazione: non c’è bisogno di guardare troppo lontano per trovare ciò che si cerca. In Italia, spesso, esistono molti più talenti di quello che ci si aspetta.
I titoli dei tuoi pezzi sono molto ricercati. Come li scegli? Il significato è sempre legato al senso delle tracce?
Si è vero i titoli dei miei brani possono sembrare abbastanza ricercati. Certo, la scelta è sempre legata alla storia della traccia, a qualcosa che gli appartiene o accade durante la sua realizzazione.
L’uscita su Cocoon è un obbiettivo a cui molti tendono. Com’è successo? Cosa ti ha portato poi?
La storia sarebbe piuttosto lunga, ma per farla breve, ho avuto modo di conoscere personalmente Sven a Ibiza, durante la stagione 2013. Per essere precisi, subito dopo essere atterrato andai all’after Cocoon a La Sal Rossa e gli portai una copia di un mio disco. Due lunedì dopo ero all’Amnesia, e lui suonò l’A side di quel disco, “Dubbio Metodico” [Musical Metaphor #1]. Fu del tutto inaspettato ed emozionante. Sven supporta e suona sempre la mia musica, e io lo rispetto molto come artista; questo per me non può che essere un motivo di grande orgoglio. In generale comunque, quando la tua musica viene apprezzata, è sempre una cosa importante, ti restituisce energia e stimolo creativo. Quando poi accade con artisti che stimi maggiormente è un piacere particolare. Il mese scorso per esempio, ho avuto l’opportunità di suonare prima di Levon Vincent a Torino, grazie ai miei amici di We Play The Music We Love, e scambiarci un reciproco feedback sulla nostra musica: per me è stato una soddisfazione unica. Tra l’altro, gli chiesi quanto altro tempo avremmo dovuto aspettare per il prossimo Novel Sound e lui mi rispose ironicamente “forse una settimana!“. Rimasi piacevolmente spiazzato dalla sua risposta e ci facemmo una risata. Una settimana dopo uscì il video teaser con il cut di Anti-Corporate Music. Pazzesco se si pensa che erano 2 anni che non usciva un nuovo Novel Sound, no? Il suo album è una perla, ad ogni modo, consiglio di comprarlo in vinile: Levon è uno dei numero 1 in assoluto.
Dixon ti ha notato per la sua etichetta Innervisions. Aspettiamo l’uscita di “Amore & Psiche”, puoi dirci qualcosa di più?
Anche in questo caso è successo in modo molto normale, Dixon mi conosceva già artisticamente ed io stimando il suo lavoro, avevo della musica che volevo fargli ascoltare da un po’ di tempo e gliela portai. Né più né meno. “Amore & Psiche” è un brano a cui tengo particolarmente, e sono molto contento che Dixon lo abbia scelto, spero possa essere apprezzato e suonato il più possibile. Abbiamo in serbo alcune cose interessanti per la promozione, nello specifico per la sua première, e prossimamente verranno rese pubbliche.
Sei molto legato alla produzione in analogico e al suo suono. Qual è una macchina analogica a cui non potresti rinunciare mai? E perché?
Sono un grande appassionato di analogico, è vero, e quando ho qualche soldo da spendere lo investo lì, purtroppo! Chi ha questa passione, sa di cosa sto parlando! Comunque non faccio di questo una questione di vita o di morte. Per me quello che conta è sempre e solo il prodotto finale. Essendo molto geloso della mia strumentazione non saprei dirti, infine tutta possiede un valore personale molto importante. Forse, la TR-808 perché è stato il mio primo pezzo e la uso ancora moltissimo.
Hai fondato l’etichetta Musical Metaphor. Qual è la tua mission? Cosa rappresenta per te?
Musical Metaphor è la mia piattaforma, con la quale ho deciso di mettermi in gioco e iniziare a farmi conoscere in maniera indipendente. Stampo il mio materiale quando lo desidero e non ho nessuna mission al di fuori di quello: è il mio spazio. Non è aperta a nessun altro artista, se non ad alcune mie collaborazioni (almeno per il momento); come quella che avverrà nei prossimi mesi tra l’altro, con la terza release. Avere una propria label dove hai modo di rilasciare in vinile è molto importante per quanto mi riguarda, ti fa capire diverse cose, non solo a livello prettamente musicale, ma anche fisico ed economico. Ti educa a riflettere più a fondo sulla qualità del prodotto e soprattutto ti aiuta a dare un “valore” alla tua musica. Cosa che purtroppo oggi con il digitale si è un po’ perso. A livello personale poi, è grazie a Musical Metaphor che sono nate tutte una serie di situazioni che mi hanno portato a lavorare con gli artisti e le etichette con le quali ho avuto il piacere di lavorare fino ad oggi.
Quanto pensi che ciò che ti sta intorno influenzi le tue produzioni? Quanto l’ambiente può cambiare uno stile? Quanto gli stati d’animo ti guidano? E quanto invece tu riesci a filtrare? Hai particolari legami con altri tipi di discipline artistiche?
L’ambiente può influire sull’umore, quindi di riflesso anche sul tuo atteggiamento nei confronti della musica, e in generale verso qualsiasi situazione. Personalmente però, non mi posso permettere questo genere di “scusanti”. Il mio ambiente, l’ambiente nel quale vivo e sono cresciuto non è sicuramente dei più sereni o facili, ma non per questo mi sono lasciato condizionare. Ho imparato fin da subito a farmi influenzare il meno possibile da ciò che accade all’esterno, e pur essendone consapevole, concentrarmi sul mio interiore. Certo, nella vita alcune volte non è semplice, e col passare del tempo è inevitabile avere che fare con alcune influenze esterne, imparare a gestirle diventa essenziale. Poi onestamente, la mia attitudine verso l’arte in genere è più vicina ad un concetto di melanconia o di pathos che a quegli stati dell’essere tendenti al buonumore. Quindi, creativamente parlando, non trovo demotivante a priori un momento di particolare tristezza o sofferenza. Sono un grande appassionato di cinema, se un giorno avrò la possibilità di dedicarmici mi piacerebbe studiare e sperimentare regia.
Riesci a combinare queste due forme d’arte insieme o almeno, che legame esiste per te tra musica e immagini?
L’idea di dare un’espressione visiva alla mia musica è una cosa che mi piace e tengo sempre in considerazione, purtroppo attualmente per realizzarla al meglio, come piacerebbe a me, mancano i fondi, ma sto lavorando anche su questo versante. Spero di riuscire a mostrarvi già qualcosa con le prossime uscite.
Per approfondire, a quale film avresti voluto curare la colonna sonora?
Risposta difficile, così su due piedi direi Blade Runner o The Girl with the Dragon Tattoo o qualche B-Movie horror anni ‘70/’80.
Visto che sei appassionato del vinile, vorrei raccogliere anche il tuo punto di vista su questo suo ritorno ma anche dei party a sfondo ‘vinyl only’.
Io colleziono e suono vinile da sempre, non ho vissuto in prima persona questa rinascita, in quanto per me comprare vinile è sempre stata una routine. In linea di massima, non posso che esserne contento, speriamo che questo trend continui a crescere. Non sono un integralista del vinile: è il supporto che uso e preferisco, e non nascondo che se sento un bravo dj e vedo che sta suonando coi vinili, mi suscita una simpatia maggiore, ma purché ci sia rispetto verso la forma artistica del mixare i dischi. Ognuno è giusto che usi il supporto che preferisce e poi onestamente su questa “questione del vinile” mi pare ci si stia giocando un po’ troppo su ultimamente. Venendo dal dancefloor, prima di essere dj, ti assicuro che alle 3 di mattina a nessuno importa se il disco che sta suonando sia proposto tramite un vinile, un cd o una chiavetta: l’essenziale rimane l’emozione che provoca, se la provoca. Si tratta sempre e solo del disco giusto al momento giusto in fin dei conti. Comunque sia, per non fraintendere la mia posizione, lunga vita al vinile! Per quanto mi riguarda avere un rapporto fisico con la musica ed i miei dischi, fatto di ricordi, di odori e di colori è e sarà sempre insostituibile. In vinyl veritas.
Quali sono i tuoi dischi ‘cult’ o di riferimento?
Sono molti e variano da situazione a situazione, se devo scegliere in questo momento direi ‘Autechre – Nine’ [Warp 1994], perché è uno dei miei primi Warp ed è una poesia a mio parere e onestamente tutto Amber lo è.
Chi sono i dj/producer che ti piacevano quando hai iniziato e che magari ti hanno dato la spinta di provarci? Chi invece ti piace oggi?
Carl Craig, Moritz Von Oswald & Mark Ernestus, Levon Vincent, Omar S e la maggior parte della discografia Perlon (Nikolai, Zip, Baby Ford, Thomas Melchior, Villalobos, ecc). Ultimamente invece, quelli che sto seguendo per la maggiore sono, oltre i sopra citati, che tuttora restano a mio avviso dei numeri 1 della scena: Eduardo De La Calle e Barnt.
Progetti per il futuro?
Stare bene e continuare a fare quello che più mi piace senza troppe preoccupazioni, musica in primis.