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[tab title=”Italiano”]Lapalux – al secolo Stuart Howard – è un giovane di talento che sa quel che vuole e come ottenerlo. Al secondo album sull’etichetta di Flying Lotus, la Brainfeeder di cui tutti parlano da qualche anno a questa parte, il giovane non molla la presa e sforna un disco ambient pop dalla produzione impeccabile. L’abbiamo incontrato per una chiacchierata in cui ci parla di sé e di come sia finito dalla sua cameretta a Los Angeles e soprattutto della sua travagliata ispirazione artistica.
Incominciamo dal nome “Lapalux” che sta per l’idioma “Lap of Luxury”, il quale significa ‘condizione agiata e benestante’. Diresti che ti descrive bene? É la tua musica un riparo sicuro per gli ascoltatori? Ci spieghi meglio se vuoi?
Mh, credo che la musica in sé e per sé non c’entri mai veramente con il nome scelto dall’artista o con nessuna parola in generale. La musica è soggettiva, e penso che la mia di musica rappresenti cose diverse a seconda dell’ascoltatore; in verità era solo un tentativo di applicare un’etichetta a quello che faccio… certo, devo dirti però che mi piace giocare con le parole a volte…
A quanto pare, giochi parecchio con le parole (Lapalux, Nostalchic, Lustmore), tutte queste parole hanno in sé un forte potere iconografico. Sembra che la tua musica e la tua personalità artistica siano connesse in qualche modo. Pensi con il lato destro del cervello, cioè sei più immaginativo durante la composizione?
Mi piace far casino con le parole e con gli idiomi per creare neologismi. Mi diverte usarli per cercare di spiegare le canzoni che scrivo. Per quanto riguarda la composizione, è più che altro un flusso di coscienza e di energia che provo a circoscrivere e a trasformare in suoni e musica. Questa energia può arrivare da ovunque – immagini, esperienze, alcune anche ultra corporee, depressione, cambio di abitudini. Tutte queste sensazioni raggiungono un punto di ebollizione ed è lì che devo trasformarle in suoni.
Qualunque cosa sia, la tua musica è comunque profondamente evocativa. Mentre ascoltavo il disco, sono riuscito ad immaginarmi una serie di situazioni molto cinematografiche: il bar di un hotel alle quattro del mattino, la comparsa in un’opera teatrale di Tennesse Williams o un party in una warehouse in east London. Qual è la connessione tra la tua musica e questo (magari anche consapevole) spirito evocativo?
Sai, mi considero una persona piuttosto sensibile e sono spesso a stretto contatto con i miei sentimenti, anche se non so esattamente quale sia il modo giusto per esprimerli e se davvero ce ne sia uno in particolare. Prendo l’atto di scrivere musica come un qualcosa che riesca a colmare il fatto che a volte non riesco a connettermi con i miei sentimenti in maniera ‘normale’. Mi piace ambientare la mia musica, penso a una storia e cerco di crearci sopra una musica, cerco di calzarcerne una che sia perfetta per l’ambientazione, sia essa, come hai detto tu, la hall di un albergo o quant’altro.
La tua musica è un raffinato mix di hip hop, jazz, beats e soul. Puoi dirci qualcosa di più riguardo al tuo passato? Come sei approdato all’etichetta di Flying Lotus “BrainFreeder”? Lo stesso Flying Lotus ti ha aiutato durante la produzione del tuo nuovo disco Lustmore?
La mia educazione musicale è stata molto complessa, siccome sono cresciuto ascoltando i generi più disparati: ero sempre alla ricerca di suoni e produzioni che mi dessero di più rispetto ad un semplice eccitamento fine a se stesso. Sono sempre stato attratto da suoni più oscuri e a sonorità che mi dessero sentimenti differenti, sentimenti che poi avrei imparato a capire più da adulto. Ho studiato musica a scuola, e ho suonato la chitarra per parecchi anni, anche se non mi sono mai sentito troppo legato allo strumento in sé e per sé. Mi ricordo che dopo la scuola e nei fine settimana, me ne stavo ore e ore a studiare combinazioni di accordi con la chitarra, lì suonavo a ripetizione, quasi fossero dei mantra o fosse una forma di meditazione. Ho iniziato ad interessarmi alla produzione digitale in un secondo momento, quando ho iniziato a creare loop e campioni; non è che avessi esattamente idea di quello che stessi facendo, ma ho continuato e mi sono iscritto all’università per studiare tecnologia della musica. Lì ho imparato molto, specialmente per quanto concerne il sound design e l’editing, e poco dopo ho iniziato a focalizzarmi su quello che sarebbe poi diventato ‘Lapalux’. Dapprima sono uscito su di una piccola etichetta indipendente chiamata ‘Pictures’ e poi è arrivata la Brainfeeder. Sono molto geloso della mia musica, non la faccio ascoltare a nessuno fino a che non l’ho completamente finita, lo stesso vale per gli EP o i dischi.
All’interno di “Lustmore” troviamo un paio di collaborazioni, una con Andreya Triana e una con Szjerdene. Ci puoi dire qualcosa su di loro?
Sono due cantanti talentuosi e mi è davvero piaciuto molto collaborare con loro. Li conoscevo già entrambi, ammirandone la musica, e ho pensato che sarebbe stata una collaborazione perfetta.
Il disco suona benissimo e ogni canzone si presenta in maniera unica donando carattere all’album. Esisite qualcuno dell’attuale scena inglese che pensi ti possa aver influenzato? Sei tra l’altro l’unico artista britannico della Brainfeeder, ti consideri più americano che inglese?
Ogni brano ha un suo carattere ben preciso, ma non è che un’ispirazione prevalga su di un’altra durante la composizione di ogni singolo brano. Ci vuole parecchia concentrazione perché io riesca a scrivere, devo aspettare di essere nell’intonazione adatta o devo aspettare di essere al massimo di un particolare stato d’animo, dunque posso iniziare a scrivere. Mi piacerebbe collaborare con Colin Stestson, ho recentemente acquistato due sue dischi e mi ha colpito molto il modo in cui lavora con il saxofono e con i suoni in generale. Per quanto riguarda la terza parte della domanda, sì, considero la mia musica più americana che inglese. Detto questo però, non mi considero assolutamente americano e sono felice di essere inglese, inoltre quando si parla di musica, faccio e farò sempre quel che voglio, a prescindere dalle mie somiglianze con altri generi o nazionalità.
Ti ho visto live alla Boiler Room di Berlino dove presentavi un set a metà tra dj e live con macchine. É questa la tua canonica presentazione dal vivo?
Per quel tipo di situazione sì, per altre ovviamente no. Se si parla di club in cui la gente vuole ballare, vuole musica veloce e più danzereccia, allora propongo un live come quello che hai visto, ma ci sono situazioni in cui la gente preferisce ascoltare e dunque vorrei proporre un’esibizione più suonata, con voci e strumenti. Dipende delle occasioni in buona sostanza.[/tab]
[tab title=”English”]Lapalux aka Stuart Howard, is a young and talented British composer who knows what he wants and how to gets it. Having just released his second brilliant record on Brainfeeder, the uber cool Flying Lotus’ label, named “Lustmore”, Stuart talked to us about the journey from his room in the Essex to the sunny Los Angels and mostly about the difficulties on creating art.
Let’s start with the name “Lapalux” which stands for the idiom “Lap of Luxury” that means ‘comfortable and wealthy condition”. Is your music a comfortable background for people? Is your music a luxury lap where the listener can find a shelter? Can you help us to understand the meaning of your name?
The music itself doesn’t really rely on my artist name or any words really. Music is subjective and I think my music means different things to different people. It’s was really just a way of trying to label something as best I could. But sure, I have fun naming shit sometimes.
Apparently, you play a lot with the words: Lapalux, Nostalchic, Lustmore. All of these words carry a strong imaginative power. It seems that your music and your persona are strictly related to this. Do you think more with your right side of the brain? I mean: do you think via images during the act of writing your music?
I like messing around with words and phrases and creating portmanteaus. Its a fun way for me to attempt to explain the songs. The actual creation process is a flow of energy that I try to harness and make into sound. It can come from anywhere – images, experiences, depression, out of body experiences, changes in habits. They all reach a peak at certain points throughout my life and I just try to transcribe it all into sound.
Whatever it is, your music is deeply evocative. While the record was playing I totally picture myself in a several situations: having a drink in a posh hotel lounge, acting in a pièce by Tennesse Williams or dancing in a warehouse in East London. What is the link between your music and this (perhaps indulgent) evocative strength?
I would say that I’m a pretty sensitive person and am in touch with my feelings, though i don’t really have a way of expressing them properly or what could be perceived as the “right” way of doing so. I take to writing music as a kind of expression of where I fail at being connected to them feelings in a “normal” way I guess. I like putting music in a setting, like a film. I think of the story and what I want to convey and how i want it to play out. Whether that be, like you say, in a hotel lounge, or any given situation.
Your music is an educated mix of hip hop, jazz, beats and soul. Can you tell us about your music background? What leads you to the Flying Lotus label Brainfeeder? Has Flying Lotus himself given you some clues and help you with the overall production of the record?
My music background is varied. I grew up being really interested in feeding my appetite for different music constantly. I was always into sounds that made me feel something more than just excitement. I always looked for songs that were darker or more interesting and different to get a feeling that suited how I felt growing up. I studied music at school and played guitar when i was young too but never really felt like I wanted to play guitar properly. I would sit there for hours over weekends and after school trying to figure out interesting chord pattens and sounds and play them over and over almost like a kind of meditation. I got more into production and using computers after that and started to make loops and manipulate sounds. I didn’t really know what I was doing but i continued with it and then when i finished school I went to university to study music technology. I learnt a lot of different things there specially with sound design and editing sounds in all manor of ways. Shortly after that I really started focussing on what became ‘Lapalux’. I then got signed to a small record label called ‘Pictures’ and then I got signed to Brainfeeder. I am a very private person with my music I don’t really show anyone songs until they’re completely finished. The same goes for all the EPs and albums I’ve done. I don’t really like showing people my music before I’m completely finished with it so I just do my own thing really.
There are a couple of featuring (Andreya Triana and Szjerdene) in Lustmore, can you tell us more about these two names?
They are both very talented singers and I really like working with them. I knew of their music before and thought it’d be great to get them on the record.
The whole album is actually great and in every song we can find a peculiarity that gives character the each track. Is there a name of the current English music scene that inspired you during these years (funny, “Games” sounds like Aphex Twin!)? Any artist you would like to work with? The fact that you are the only English name on the roster of the Brainfeeder could tell us that you consider yourself more American than European…
Each song has its own inspiration. There’s never really any one major inspiration for me when it comes to writing songs. It takes a lot for me to be in the right mood and setting to create and its usually a sequence of things or waiting till the feeling hits and riding the creative wave. I’d like to work with Colin Stetson. I’ve recently picked up a couple of his albums and have been really into his sound and use of the bass sax. I think my music tastes tend to veer into american artists rather than english. Saying that I don’t consider myself american. I like being British and will always do what I want when it comes to music no matter what similarities can be drawn out the art.
I saw you Boiler Room gig in Berlin, and it sounded like a crossover between a live and dj set. Is that a typical live set of yours or should we expect something different from you gigs?
For that sort of club setting, yes. For other settings, no. I work my live set to fit what situation I’m put in. If its a more intimate setting and a show, rather than a club night, then I would break the set down and possibly get vocals and more live instrumentation. For a club night I alter it to fit the scene more. People at certain times want to hear stuff loud, fast, and dance. Other times not. Its all about judging the situation really and I try and do that when I get there and feel it out.[/tab]
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