All’interno della patinata cornice della Shoreditch House – warehouse riconvertita in hotel, piscina, ristoranti e bar – abbiamo incontrato Giorgio Moroder per assistere alla presentazione del suo nuovo disco “Déjà Vu”. Il talk di Morder era ospitato da Bridges for Music – associazione no profit che cerca di educare alla musica elettronica nei paesi del terzo mondo – ed è stato una montagna russa di aneddoti epici e di battute di buon gusto. Una volta Jean Cocteau disse che è possibile “invecchiare giovani”, ebbene direi che l’ossimoro calza perfettamente alla figura del signor Moroder: “Chi avrebbe mai detto che a settant’anni mi sarei trovato così impegnato e con così tanti progetti in ballo” dice il Maestro durante l’intervista, tenuta molto professionalmente dal guru di Resident Advisor, Paul Clement. L’elettricità nell’aria era quella delle grandi occasioni, così come la platea – tutta gente molto seria, a parte chi scrive, chiaramente – e trovarsi di fronte ad un uomo che non solo ha fatto la storia della musica, per usare una frase fatta, ma che la ha anche indirizzata verso il futuro è stata di fatto un’esperienza illuminante.
In verità, per anni, grazie ad artisti come Vangelis, Wendy Carlos, Bob Moog, la musica elettronica rappresentava il futuro (pensate “Switched-on Bach” o a “Spiral”) ma Kraftwerk a parte è stato con Moroder che è entrata nelle vite di tutti i giorni, e che si è fatta pop, invadendo le classifiche. Capolavori come “Love To Love You Baby” o “I Feel Love” hanno aperto la strada ad una carriera immensa, fatta di collaborazioni memorabili (Blondie, David Bowie, Irene Cara, Freddy Mercury) e di dischi formidabili (“Giorgio” del 1970, “From Here To Eternity” del 1977, “E=MC²” del 1979 solo per citarne alcuni). Oggi, a trent’anni dall’ultimo disco pubblicato, Moroder torna con un nuovo album, chiamato programmaticamente ed ironicamente “Déjà Vu”. Lasciamo a voi le considerazioni del caso, e comunque magari su questo album ci torneremo prossimamente (un po’ lascia perplessi, ad usare un eufemismo); piuttosto, vi riportiamo alcuni momenti salienti del talk. Perché qui sì ci sono perle e splendori a profusione. Per rendere il tutto più facile da leggere (e da godere!), abbiamo diviso per argomenti.
Giorgio Moroder i Daft Punk: “Il loro manager ha contattato il mio manager dicendo che Guy-Manuel e Thomas erano a Monaco e avrebbero voluto incontrarmi per pranzo. Io ovviamente li conoscevo e li apprezzavo, ma è stato mio figlio Alessandro a spingermi ad incontrarli, obbligandomi a vederli perché grande fan loro. Sono molto simpatici: uno, Guy-Manuel, vive sulle nuvole, parla per massimi sistemi, mentre l’altro, Thomas, non dice nulla, non parla, muto. Ho provato a parlargli in francese, ma è proprio uno di poche parole. Comunque per farla breve, mi hanno dopo mesi invitato nel loro studio a Parigi, dove credevo che avrei dovuto suonare un synth o produrre, e invece mi hanno seduto su di una sedia chiedendomi di parlare per due ora di fila di… me stesso! E’ stato un bel flusso di coscienza, in cui ho raccontato di come ho iniziato, della scena disco, del passato. Dopo uno anno, ero di nuovo a Parigi e ho potuto ascoltare il brano. Se devo essere sincero, l’ho ascoltato solo due volte, fa un effetto troppo strano ascoltare la propria voce….”.
La collaborazione con David Bowie: “Paul (Schrader, il regista) mi contatta e mi manda Cat People (in italiano “Il Bacio Della Pantera”) dicendomi di aver bisogno di un brano per la colonna sonora. Il film è molto oscuro, ma allo stesso tempo sensuale, per cui non riuscivo a pensare a nessun altro che non fosse Bowie per la voce. Così lo raggiungo a casa sua a Montreux – a quei tempi viveva lì. Mi immaginavo una rock star notturna, maledetta, che dormisse di giorno e che lavorasse di notte, invece David mi diede appuntamento per colazione del giorno seguente; lavorammo così bene insieme che finimmo il brano in tre prove, spedendolo al regista il giorno stesso”.
La mancata collaborazione con Bob Dylan: “Mi contattò Sylvester Stallone. Mi disse che voleva che scrivessi la musica per “Rambo” e che insieme a me voleva un americano famoso, magari proprio Bob Dylan. Capite bene che quando mi disse Bob Dylan non stetti più nella pelle, era proprio un’icona per me. Così volai a casa sua a Malibu, una casa tutta fatta di legno, e per un giorno intero provammo. Ma purtroppo Bob mi richiamò il giorno seguente, dicendomi che non era soddisfatto e che non voleva che il brano uscisse. Fu molto deprimente e il mio morale cadde a terra per un bel periodo”.
La vittoria all’Oscar: “Allora, lo sapevo. Nel senso che ti fanno capire se vinci o meno. Dunque ero preparato, ma quando hanno annunciato il mio nome, e mi sono diretto sul palco, di fronte a tutta quella gente, sono entrato nel panico. Panico che è cresciuto quando ho incrociato gli sguardi di Jack Nicholson e Steven Spielberg… meno male che c’era Dean Martin che ha iniziato a cantare e l’incantevole Raquel Welch a tenermi compagnia”.
Come è nata “Love To Love You Baby”: “Ero a Los Angeles e la mia casa discografica mi diede tutto ciò di cui avevo bisogno: synth, moog, strumentazione varia, uno studio, un ingegnere del suono, un tecnico della voce e Donna era pronta. Mi piaceva tantissimo “Je t’aime moi… non plus” di Gainsbourg e dissi a Donna di prepararsi perché anche io volevo scrivere un brano che parlasse di sesso, ma che fosse ancora più esplicito. Lei scrisse il testo, ma era troppo timida per interpretare il pezzo in cui geme… Così cacciai tutti fuori dallo studio, regolai le luci in modo che fossero soffuse e in modo che lei potesse a malapena vedermi… di lì in poi venne naturale interpretare il brano e direi che insomma venne bene…”.
Per quanto riguarda il futuro: “Ho un sacco di piani per il futuro, ora esce il nuovo disco “Déjà Vu”, poi sto preparando un musical sulla mia storia, e mi hanno offerto una posizione in un reality sui dj. Non pensavo che sarei mai stato così indaffarato nei miei Settanta! hahaha”.
A proposito del disco nuovo: “Il primo brano è omonimo e vede la bravissima Sia alla voce. Tra l’altro non l’ho mai incontrata dal vivo! Abbiamo lavorato via email e via internet, io le ho mandato la linea di basso e la linea melodica e lei ha scritto il testo e tutto il resto, è davvero un’artista formidabile e talentuosa. In generale, l’idea del disco era quella di affiancare artisti conosciuti come appunto Sia o Britney Spears (la quale canta una versione EDM di “Tom’s Diner”) a nomi sconosciuto più freschi e in ascesa. Visto che i Daft Punk hanno riportato in auge la disco music, inizialmente volevo produrre un album di disco, ma poi ho capito che bisogna guardare al futuro e ho deciso di puntare sull’EDM, genere a me preferito ora”.
Ormai Giorgio è anche un dj: “È stato bello e divertente suonare come dj. La prima volta l’ho fatto per Louis Vuitton, ad un party a Parigi. Da lì, ci ho preso gusto e sono arrivato a suonare davanti a trentamila persone! Ho capito come deve essersi sentito Michael Jackson ai tempi! È una sensazione meravigliosa. Volete sapere quali dj mi piacciono? Skrillex è un genio, Tiësto pure mi piace assai. Ma Skrillex ha davvero una marcia in più”.
E sulla fruizione delle musica ai tempi di internet, Giorgio offre una risposta molto saggia, da una persona che è ormai tranquilla ed appagata: “Una volta era molto più caro produrre un disco, pensate che quando ho iniziato io si parlava di tre mila dollari a singolo brano, ed in più ci volevano tutte quelle attrezzature, quelle stanze – i primi moog erano delle pareti, i primi synth altrettanto – ora basta un computer. Inoltre, grazie ai social network è proprio facile farsi notare, e se c’è della sostanza, in un modo o nell’altro si esce fuori e si diventa conosciuti. In questo quadro si pone Spotify che è un buona piattaforma, ma che paga troppo poco. Se solo pagasse poco di più, sarebbe meglio per tutti…”.
Se il saggio è colui che sa insegnare ed ispirare le nuove leve, dobbiamo dire che Moroder rientra appieno in questa categoria: ha regalato due meravigliose ore piene di insegnamenti. Alla fine, bisogna credere in quello che si fa, a sentir lui questo è il trucco: “Quando ho composto “Love To Love You Baby” non sembravano capire il brano, il capo dell’etichetta non sembrava veramente soddisfatto del brano. Be’ io credevo che fosse un capolavoro, e direi che non mi sono sbagliato, no?”.