Passione e ricercatezza, il tutto condito da un “touch” prettamente femminile e delicato. Madalba, protagonista dei quindici passi di oggi, è una di quelle figure che ha avuto sin dal principio le idee chiare, chiarissime. Una di quelle che ha creduto nella sua passione e nel suo amore per la techno senza mollare mai, ricercando il suo suono e i suoi stimoli ogni giorno, proponendosi al confronto e all’evoluzione senza aver mai paura, nemmeno di quei salti nel vuoto che, poi, spesso sono risultati vincenti. Alba, è una giovane artista che non ama troppo stare sotto i riflettori nonostante abbia dentro di sé la voglia di spaccare il mondo a suon di beat. Una dj che, sebbene abbia trovato solo nella cupa Berlino il suo habitat naturale, proprio non riesce a dimenticare le albe in riva al mare ai festival in Spagna ai quali ha partecipato quando si trovava ancora al di qua della consolle, sul dancefloor da spettatrice innamorata. Una che fa dei sentimenti il suo stile e la sua musica, e della sua musica la sua sfida, il suo treno per andare avanti senza fermarsi mai.
Passo numero uno: qual è il disco o la traccia che ti ha cambiato la vita? La primissima. Quella che ti ha fatto capire che la musica era veramente un’emozione particolare, più intensa di altre.
Il primo ricordo che ho di me e la musica è sicuramente legato a “Under Pressure” dei Queen (col featuring di David Bowie). Fu mio fratello a insegnarmi testo e relativa traduzione, avevo forse sette o otto anni. “Why can’t we give love that one more chance?” Penso che da quel momento, a questa parte del testo penso quasi ogni giorno. Ogni volta che ascolto quel disco ho sempre lo stesso identico brivido generalizzato che avevo da bambina. Il video invece mi terrorizzava, ho imparato ad apprezzarlo solo dopo qualche anno!
Passo numero due: quando hai capito che la musica, produrla o suonarla, sarebbe stata una parte fondamentale della tua vita?
Credo che non ci sia un momento in particolare in cui ho “capito”; ho sempre saputo che la musica sarebbe stata parte integrante della mia vita. Il fatto di immergermici a pieno è stata solo la diretta conseguenza di anni ed anni di gioie infinite regalatemi dalla passione e della ricerca continua in essa. Volendo collegare questo “momento” in un tempo preciso, direi 2007: dopo svariati anni di giri in lungo e in largo per i più disparati festival europei (spesso partivo anche da sola) ho realizzato che l’ascolto di per sé non mi bastava più. Volevo andare a fondo, sfidarmi, gioire ancora e sempre di più. Negli ultimi quattro anni, con Berlin, Arkita e Homopatik, ho definitivamente assodato, trovandone la conferma, che la musica è e sarà per sempre parte integrante della mia vita.
Passo a margine: quali sono stati i momenti di maggior crisi, nel tuo rapporto con la musica?
Direi che il momento di maggiore crisi con la musica è stato quello dei miei ultimi anni a Bari, ovvero tra il 2009 e il 2010. Era un periodo davvero duro per la scena che già da vari anni era in pesante declino. Io lottavo, nel mio piccolo, per farmi strada tra le miriadi di pr aspiranti dj senza che fossi nemmeno pr! Io amavo la techno. Ma la techno in Puglia purtroppo, durante quel periodo, non aveva un grosso seguito. I miei primi dischi li ho comprati da Hardwax e Audio In a Berlino perché a Bari era impossibile trovare techno in vinile (e suppongo sia ancora così) e li ho suonati per lo più a casa! Non mi è mai stato dato lo spazio per esprimermi davvero, e anche semplicemente il confronto o la condivisione della musica in generale risultava essere complicato se non impossibile; in un paese che in generale definisce la scena etichettandola come “industria del divertimento” stava sorgendo pian piano l’impressione che stessi perdendo il senso che la techno aveva per me. A marzo 2011, poi, eccomi a Berlino e quindi crisi finita! Di quel periodo forse mi rimane solo un minimo di “esperienza” – che comunque non mi ha portato a niente dal punto di vista del mio rapporto personale nonché “professionale” con la techno o comunque dal punto di vista umano in generale – sul sistema delle agenzie in Italia, oltre che su divari e stupide dispute tra le stesse o sulla maniera (a mio parere becera) di “gestire” la club culture. Quando ci penso mi pervade un senso di tristezza generale. Voglio dire, io ce l’ho fatta ad uscirne, ma chi non ha la possibilità di scappare è costretto a restare lì, vittima di tutto questo sistema di cose, a farsi imboccare musica dal cucchiaino delle agenzie e delle organizzazioni varie. Lo so, queste parole sono piene di rabbia e rancore, ma se è vero che la techno è amore puro, allora una crisi personale riguardo alla stessa si traduce in sentimenti esattamente opposti.
Passi importanti: quali sono stati finora i momenti più importanti, nella tua carriera?
Il passo più importante è stato certamente la nascita di Arkita, la label che ho avviato nel 2014 insieme a Synkopheit. Anche in questo caso, decisi di non fermarmi, di andare oltre, e il tutto mi ha fatto strabene! Il resto stava diventando troppo routinario per i miei gusti; il fatto di voler immergermi a pieno nella produzione con Synkopheit mi ha fatto riscoprire tutto, a partire dall’entusiasmo che inevitabilmente dopo un po’ bisogna trasformare in qualcos’altro. Parlo dell’entusiasmo iniziale, quello del trasferimento a Berlino, delle gig in giro, dei negozi di dischi fuori dalla porta e del Berghain. Avevo bisogno di aria nuova, di riscoprire quella passione di cui parlavo prima, di risentire quel brivido infantile che la routine stava uccidendo…Poi, la mia prima volta a Detroit. Anche lÏ tantissime emozioni nuove, di natura sociopolitica perlopiù e non sempre troppo felici. Emozioni forti ad ogni modo, che hanno contribuito a costruire gran parte del background che ha portato a Madalba. E poi, come non menzionare l’inizio della residenza a Homopatik. Direi che questi sono in definitiva i tre punti cardine del mio percorso fino ad oggi.
Passi per prendere un po’ d’aria e trovare ispirazione ed energia: quali sono le tue altre passioni? Come le sviluppi? Quanto tempo riesci a dedicare loro?
Mi appassiona in generale la scienza, in parte ne ho fatto anche il mio vero lavoro che è quello che mi tiene occupata, e non poco, quando non faccio musica. Mi piacciono la fisica e la genetica, e poi ovvio, mi piace fare festa. Amo trascorrere il resto del tempo che mi rimane tra musica e lavoro con i miei amici, discutere delle passioni appena citate e guardare documentari. Arkita, d’altronde, è nata così, da una riflessione con Synkopheit e lo stesso vale per il concept. Non so, poi dovrei dire che la mia passione è leggere?
Passi perduti: quali sono finora i tuoi più grandi rimpianti, musicalmente parlando?
Non ho rimpianti dal punto di vista musicale. Il fatto che la musica non è per me completamente un lavoro mi ha dato e mi da la possibilità di fare quello che mi piace senza dover scendere a troppi compromessi. In questa maniera è più difficile arrivare ad avere rimpianti.
Passi che consiglieresti: quali sono secondo te i cinque album (o brani) che consiglieresti e che non dovrebbero mancare nella discografia di tutte le persone a cui vuoi bene o che stimi?
1. ”1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi del conseguimento della maggiore età” – CCCP. Questo è una specie di saluto ad alcuni dei miei migliori amici, nonché un bel ricordo della mia adolescenza.
2: “Mammagamma” – Alan Parsons Project. Con i Pink Floyd rappresenta la nascita della psichedelica, è un pezzo meraviglioso e poi strumentale! A mio avviso anche molto romantico.
3: “The Sky Was PInk (James Holden Remix)” – Nathan Fake. Questo è un brano legato a un anno molto intenso della mia vita.
4: “Adbf” – AnD.
5: “Da Funk” – Daft Punk. In realtà pensavo ad altre due dello stesso album ma questa le riassume alla perfezione.
Passi in biblioteca o videoteca: quali libri o film consiglieresti?
Parlando di film, in primis, sempre e in assoluto “Blade Runner” e “2001 Odissea nello spazio”, tra i miei preferiti di sempre! Più recenti, “Interstellar” per il suo modo di parlare del tempo e dello spazio. Riguardo i libri invece direi “Il Condominio” di Ballard, “Generazione Ballo Sballo” di Reynolds, “L’atomo sociale” di Buchanan, “La Vita Mistero Prezioso” di Ikeda. Questi sono i libri e film che da sempre consiglio e mai mi stancherà di consigliare. Inoltre, aggiungerei “Twin Peaks” di Lynch e Frost, che pur di far vedere ai miei amici ho ricominciato a guardare almeno cinquanta volte…
Passi fondamentali: qual è il risultato artistico di cui finora vai più orgoglioso?
Ovviamente Arkita. Assolutamente il mio (nostro, mi permetto di parlare anche per Synkopheit) più grande orgoglio finora! Sinceramente non pensavo sarebbe andata così bene e non mi riferisco solo al riscontro “sul floor”, ma proprio al fatto che mi ha fatto davvero bene la fase super creativa. Dal punto di vista tecnico ho avuta la possibilità di imparare moltissimo e da quello creativo di espandere di molto i miei orizzonti, abbattere preconcetti, affinare la mia tecnica personale e creare una linea precisa con il mio sound. Mi fa stare molto bene!
Passi virtuali: come stai vivendo l’onnipresenza del web nelle nostre vite in questi anni? Visto tra l’altro che questa è una intervista che stiamo facendo per un media on line…
Per me non è stato un passo molto semplice in realtà. La maggior parte dei lettori forse capirà quello che intendo: tutti abbiamo passato almeno un terzo della nostra vita senza pc; negli anni ’90 avere un MacBook era una roba assurda, ora invece è la normalità. Tutti abbiamo un iPhone, o almeno uno smartphone. Poi è arrivato Facebook e in pochissimo tempo ci ha sbattuto in faccia la verità sul controllo e sull’alienazione di internet. Nonostante tutto, però, devo ammettere che alla fine mi ci sono abituata e dunque per lo più cerco di “limitare il danno”, di non farmi risucchiare troppo e in parte credo ci stia riuscendo, anche perché mi ricordo ancora com’era la vita senza questa onnipresenza del web.
Passi in compagnia: quali sono i dj e producer con cui senti più affinita, e con cui vorresti sempre e comunque condividere parole, progetti, obiettivi?
Partiamo da Synkopheit, ovviamente, che ho già nominato sessanta volte forse. Il loop è causato dal suo EP uscito da poco “Last Edges Of Realism”; con lui è stato un percorso duro ma interessante e piacevole, una collaborazione che non interromperei mai. Poi assolutamente Freddy K, con cui condivido il floor techno a Homopatik nonché gran parte delle mie idee e dei miei progetti – e non parlo solo dal punto di vista professionale. Inoltre, c’è Paolo Di Nola, resident house di Homopatik, artista per cui nutro una stima infinita e persona piacevolissima. Infine, anche se non è un dj o produttore, vorrei nominare Danilo Rosato, colui che permette a produttori e dj di esprimersi in un contesto come quello di Homopatik. Anche con lui, la condivisione di parole, progetti e obiettivi è sempre intensa!
Passi incrociati: qual è la situazione, musicale e non, pù assurda che ti è capitato di vivere?
C’è stata una situazione che in realtà non è assurda, ma che per me è stata decisamente “diversa”. È stato il mio primo teknival in Repubblica Ceca nel 2013. È stato assurdo l’impatto con lo spazio non murato (trattandosi di festa outdoor), con l’idea di doverti gestire il nuovo “livello di libertà” e la soddisfazione di riuscirlo a fare benissimo, con la scoperta del nuovo ritmo e con l’immersione totale e corporale nella musica. In generale invece è stato assurdo l’anno che ho trascorso a Valencia in cui mi è successo davvero di tutto, comprese situazioni tra le più assurde, dalle feste popolari ai festival. La chiusura di James Holden al Creamfield ad Almeria, con mare di fronte e sole che sorgeva, ad esempio. Ecco, quella è stata una situazione assurda, unica e indimenticabile. Estate 2007.
Passi sbagliati: quali sono le cose che più ti danno fastidio nella scena musicale italiana?
Il peggiore è anche il mio maggiore passo a margine. In Italia purtroppo, c’è un sistema di cose ormai radicato per quanto riguarda la techno, il clubbing e tutto l’ambiente ad essi correlato. È il cerchio che nessuno puo’ dire da dove è partito, quello delle agenzie, della musica di merda e della promulgazione dell’ignoranza. Riuscire a rompere questa spirale sembra essere al momento un’utopia e il fatto che nessuno si preoccupi di come si potrebbero migliorare le cose mi da davvero molto fastidio. O meglio, il fatto che solo in pochissimi se ne preoccupino. Le realtà coraggiose di chi decide di sforzarsi ci sono per fortuna! I primi esempi che mi vengono in mente sono Max M, M_Rec Ltd e i ragazzi di Cockette di Milano o i ragazzi di Ways a Bari; la dimostrazione palese che in Italia non c’è un problema di “gente” ma un problema di offerta e di gestione di essa.
Passi che stai per compiere: quali sono i tuoi prossimi progetti?
Il prossimo progetto/obiettivo è la terza release di Arkita (Arkita 003). Non so se sono autorizzata a dire molto, ma speriamo di uscire a ottobre. In realtà, avremmo già iniziato a lavorare anche alla 004. Sono in una fase decisamente creativa, dunque voglio concentrarmi il più possibile sulla label e su tutti i progetti a essa collegati. Parlando di me più nello specifico, invece, vorrei andare in Africa e in Sud America tra quest’inverno e la primavera.
Passi sinestetici: salutaci non con delle parole, ma con una traccia, non importa se tua o di altri.