Sempre più spesso, quando siamo colti dalla noia o dobbiamo ingannare piccole frazioni di tempo, prendiamo in mano il cellulare e cominciamo a scrollare la bacheca di Facebook alla ricerca di qualcosa d’interessante. Qualche volta si tratta di video divertenti diventati virali; altre, invece, l’attenzione cade su un piccolo particolare, qualcosa che cattura la nostra curiosità senza un preciso motivo: un commento, un meme, un album fotografico. Capita così che si prema il pollice sullo schermo del cellulare, aprendo le fotografie una ad una e lasciando in bocca il gusto amaro del loro contenuto. Questo è esattamente quello che è successo a un bel po’ di gente qualche giorno fa: ciò che attirava l’attenzione era il ritratto di un piccolo logo arrugginito che per molti poteva non significare nulla, ma che per tanti altri altri rappresentava il simbolo di una giovinezza ormai passata e che in cinque minuti, scorrendo l’album, è riaffiorata alla mente. Quella giovinezza erano gli anni tra il 2004 e il 2008 e il logo era quello di uno dei club più rinomati della Riviera Romagnola: l’Echoes Liz Club.
Chi ha visto tutti e centotre gli scatti dell’album fotografico appartenente alla pagina Facebook “Tesori Abbandonati”, non può non aver provato un senso di malinconia. È inevitabile quando il declino ineluttabile colpisce qualcosa che amiamo e i segni della sua decadenza ci vengono sbattuti in faccia; è stato così anche per l’Echoes: i muri ormai crollati sotto il peso del tempo e il dancefloor esterno ricoperto di edera, una volta rappresentavano qualcosa di unico per migliaia di persone. Per questa ragione sarebbe bello che tutti gli appassionati, anche chi dell’Echoes ha solo sentito parlare, conoscessero la sua storia e capissero, attraverso il racconto di chi quel luogo l’ha vissuto intensamente, perché questo locale è stato così importante sia per moltissimi ragazzi emiliano-romagnoli, sia per la scena del clubbing italiana.
La fine di tutto risale al 27 settembre 2008: l’impianto dell’Echoes suonava le sue ultime note, i banconi del bar si sporcavano per l’ultima volta di vodka lemon e l’atto finale di via del Carro andava in scena. Quel giorno, però, io non c’ero. C’ero prima però, negli anni migliori del locale di Misano Adriatico, negli anni del Magic Monday: il magico lunedì dell’Echoes Liz Club che, ogni estate, ospitava artisti del calibro di Frankie Knuckles, Sathoshi Tomiie, David Morales, Hector Romero, Carl Craig e tantissimi altri grandi del panorama elettronico del primo decennio degli anni duemila. Anche il venerdì e il sabato però, l’Echoes riservava sempre grandi sorprese e quindi, se già i resident valevano il prezzo del biglietto – stiamo parlando di Ricky Montanari e Flavio Vecchi – un qualsiasi weekend estivo si poteva inciampare in qualche performance dell’americano Kerri Chandler o dei londinesi Layo & Bushwacka!, al fianco di nomi di spicco del panorama italiano come Luca Agnelli, Massimino Lippoli o un giovanissimo Federico Grazzini. Insomma, per quello che riguardava l’offerta musicale, l’Echoes non aveva nulla da invidiare a nessuno degli altri locali della Riviera e offriva una valida alternativa a chi non aveva voglia di mischiarsi a camicie bianche e scarpe di vernice del Peter Pan (che visse un momento di vera crisi tanto da veder chiusi i propri battenti per un periodo abbastanza lungo), della Villa delle Rose e del Prince (ora sede del Nu Echoes) o alle canottiere stracciate e i cappellini Von Dutch del Cocorico.
Non si tratta però solamente di chi calcava le varie consolle del club di Misano, ma di tutto l’insieme, dell’atmosfera che si respirava appena parcheggiata la macchina nell’enorme campo tra il circuito e il locale. L’Echoes non era una discoteca, era un club a tutti gli effetti, moderno e all’avanguardia, un luogo dove ci si prendeva bene non solo per la musica – sempre di ottima qualità – ma anche per la clientela omogenea e mista, proprio come la si può trovare in un qualunque locale d’Europa, dal Concrete di Parigi all’About Blank di Berlino di queste ultime stagioni. All’Echoes c’era di tutto e nulla stonava con niente e nonostante non fosse difficile vedere una scazzottata, anche la più efferata delle risse si esauriva tra brillantini, sorrisi e magliette strappate. C’erano i gay, le lesbiche, i travestiti e i transessuali, c’erano i ragazzini minorenni e uomini e donne che potevano esserne i genitori. E se d’estate, grazie al giardino, il club diventava grande il doppio e l’atmosfera ancora più gioiosa con luci arcobaleno, pini marittimi che si stagliavano in ogni angolo, stelline d’oro su muri neri e drappeggi colorati tra divanetti bianchi, anche d’inverno non era difficile che qualcuno suggerisse una trasferta per respirare quell’aria di festa che si viveva solo lì, tra i grandi specchi del Cristal Cave – sala principale situata al piano terra e dedicata principalmente a sonorità più “cupe” (per quanto cupo potesse essere un’ambiente fatto di specchi e luci soffuse) e ad ospiti come un Joseph Capriati alle prime armi, Francesco del Garda, Idriss D, Quentin Harris e tanti altri che sono stati protagonisti dell’Echoes fino all’ultimo – e il piano di sopra dove si potevano ascoltare dj del panorama nazionale (oltre ovviamente ai resident) ballando anche a piedi scalzi sui divanetti neri.
L’Echoes era questo. Era prima di tutto un locale diverso, quel tipo di club che insegnava a comportarsi e a muoversi nel mondo della notte: c’era più attenzione e più sensibilità da parte dello staff nei confronti del pubblico (chi dormiva, ad esempio, veniva svegliato e invitato ad andare a casa o in macchina se voleva continuare la propria pennichella). All’interno del locale si respirava un sentimento di coesione e complicità che si instaurava tra i frequentatori assidui e chi ci veniva saltuariamente. Era un locale innovativo che coccolava il suo pubblico, non vedendolo soltanto come una fonte di reddito, ma come una cliente da soddisfare: sabato dopo sabato, artista dopo artista, la clientela tornava perché si sentiva protetta, come a casa propria.
I ricordi, purtroppo, sono ormai sfuocati e poco distinti, ma guardando quell’album non si può fare a meno di trovare nella memoria un momento legato ad ognuno di quei centotre scatti. Non si può fare a meno di pensare a quando, per l’ultima volta, l’impianto dell’Echoes ha suonato “Born Again” di Ricky L, inno di un’epoca che si è conclusa il 27 settembre 2008 e che nessuno si dimenticherà mai. Anche per voi è stato così?