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[tab title=”Italiano”]Quante volte, nel corso degli anni, sfogliando la collezione di dischi sugli scaffali di casa, scandagliando la borsa nel buio di un club o banalmente frugando insistentemente dentro a qualche polveroso cubicolo dentro al negozio di fiducia, generazioni di appassionati si sono trovati alle prese con quel muro di mattoni con sopra scritto “Strictly Rhythm” e con sotto, nero su bianco, nomi come DJ Sneak, Armand Van Helden, Todd Terry e Roger Sanchez? Tante, troppe. L’impatto che la label newyorkese ha avuto nel mondo della musica house è stato di tale grandezza da renderla oggi un’icona multi-generazionale. Ma non è sempre stato tutto rose e fiori. E fra battaglie legali e transizioni dalla vecchia scuola all’era del digitale, l’orologio ha battuto venticinque primavere, celebrate con una compilation mixata per l’occasione dal tedesco DJ T. Questa importante ricorrenza è stata la scusa per parlare con il fondatore dell’etichetta, Mark Finkelstein, che si è concesso (nonostante sia ormai fuori dai giochi) per raccontare l’evoluzione dell’etichetta e dell’industria musicale, il rapporto di lunga data con Simon Dunmore e la sua Defected e le speranze per il futuro di un’etichetta che è sinonimo di house music.
Nel 1989, quando decideste di fondare Strictly Rhythm, sia tu che Gladys Pizarro eravate parte integrante della grande famiglia di Spring Records. Qual era il vostro ruolo all’epoca? E cosa vi ha poi portati a creare qualcosa che fosse indipendente da esso?
A quel tempo il mio ruolo era quello di direttore finanziario di Spring. Quando l’etichetta andò in fallimento Gladys mi disse che c’era un nuovo genere di musica dance chiamato house e che se avessimo fondato una nuova creatura insieme lei si sarebbe occupata di tutta la parte artistico/musicale.
L’etichetta fu poi effettivamente fondata in concomitanza con la grande ascesa dell’house negli Stati Uniti. Come descriveresti la scena Newyorkese di quel periodo? E quali sono stati i dj ed i club con cui avete avuto relazioni costanti nella promozione del vostro materiale discografico?
Prima di tutto mi sento di dire che la nascita dell’etichetta non può essere considerata complementare solamente all’ascesa della musica house negli Stati Uniti, ma direi meglio con l’esplosione della stessa su scala globale. Certamente, detto questo, la scena di New York si dimostrò particolarmente ricettiva poiché l’epopea della disco non si era mai persa del tutto in città ed era stata mantenuta viva da club come il Paradise Garage. Una volta che la musica house prese piede a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 c’erano una nuova ondata di dj e club a New York e nel New Jersey pronti ad accoglierla. I primi che mi vengono in mente sono Tony Humphries allo Zanzibar, Glenn Friscia, Frankie Knuckles al Sound Factory e al Roxy, Roger Sanchez, Danny Tenaglia, Junior Vasquez sempre del Sound Factory, John Robinson, Louie Vega, Kenny Dope, Todd Terry, David Morales al Red Zone e tanti altri. C’erano poi anche altri club fondamentali come il Tunnel e lo Shelter che non erano direttamente associati ad un dj resident. Senza dubbio la relazione creatasi fra Strictly e la scena cittadina è stato uno dei fattori centrali della nostra ascesa.
Come ci hai detto poco fa, hai sempre preferito tenerti un po’ “fuori” dall’ambito strettamente musicale nella gestione dell’etichetta, lasciando tale compito principalmente nelle mani di Gladys. Avviene la stessa cosa anche oggi? Se ci pensi è un po’ insolito, no? Devi avere avuto davvero fiducia in coloro da cui ti sei circondato nel corso di questi venticinque anni.
Confermo che non ho mai partecipato all’ambito artistico/musicale dell’etichetta, ho preferito lasciare tutto in mano a Gladys che aveva la mia piena fiducia. In fin dei conti, sapere cosa non si conosce è ancor più importante che sapere ciò che si conosce. Ora come ora sono praticamente in pensione e l’etichetta la gestisce Simon Dunmore di Defected, quindi non avrebbe comunque importanza.
Tornando all’ambito strettamente musicale, quali sono stati gli artisti a cui vi siete affidati per lanciare la vostra etichetta nel mercato discografico? E quali sono state le prime hit che vi hanno fatto mettere la testa fuori dalla sabbia nel primo periodo di attività?
A dirla tutta le prime uscite furono quasi tutte lasciate in mano ad artisti semi-sconosciuti e newcomers come Eddie Arroyo, Kenny Krytell, Todd Gibson e Wayne Gardiner. La prima hit che ebbe un discreto risalto fu senza dubbio “The Warning” dei Logic (di cui faceva parte Roger Sanchez, ndr). Col passare del tempo ci siamo assicurati tracce da parte di Todd Terry, Kenny Dope, il primo disco in assoluto di Josh Wink ed infine Roger Sanchez fece il colpaccio con “Luv Dancin’” sotto il moniker di The Underground Solution.
Qual è stato però il vero “masterpiece” che vi ha definitivamente collocato “sulla mappa” a livello globale? E come è cambiata la vostra relazione con l’industria musicale da quel momento in avanti?
Senza dubbio “I Like To Move It” dei Real 2 Reel fu il primo successo globale di Strictly. Dopo di ciò l’industria musicale dovette semplicemente iniziare a prenderci sul serio.
Ed infatti all’inizio del nuovo millennio si arriva alla (breve) collaborazione con Warner. Non vogliamo di certo chiederti perché non abbia funzionato, immaginiamo che tu non abbia alcuna voglia di discuterne. Ci piacerebbe però sapere quali erano, almeno nelle intenzioni, gli obbiettivi che avevate prefissato quando avete deciso di unirvi ad una major dopo dieci anni come etichetta indipendente.
Non ho niente da dire a riguardo, mi spiace.
Una volta ri-ottenuti i diritti sul catalogo dell’etichetta, nel 2007, hai chiesto proprio a Simon Dunmore, boss di un’altra grande creatura come Defected e vecchio amico, di aiutarti a dare nuova linfa vitale al marchio Strictly Rhythm. Come vi siete conosciuti e che impatto ha avuto la sua presenza nel processo di rinascita della label?
Simon ed io siamo amici da ormai venticinque anni. Abbiamo una visione molto simile riguardo all’industria musicale ed allo stesso tempo abbiamo approcci diametralmente diversi nel modo di gestire un’etichetta. Come dicevo, ho sempre preferito occuparmi principalmente del business e lui ha coperto perfettamente la parte artistica. Ci completiamo alla perfezione e devo dire che fino ad ora è andato tutto nel migliore dei modi.
Nel 2010, però, Strictly è diventata di nuovo un’etichetta indipendente al 100%. Credevate che fosse uno step necessario per la rivitalizzazione della stessa? E soprattutto, dopo cinque anni, ti ritieni soddisfatto dai risultati di questa scelta?
Quando lo abbiamo deciso, l’industria musicale stava intraprendendo la transizione dal supporto fisico tradizionale all’era del digitale. Era un periodo particolarmente complesso e sia io che Simon fummo concordi nel concentrarci primariamente sulle nostre rispettive label durante questo difficoltoso processo di cambiamento. Il fatto che oggi entrambe le label siano ancora in vista vuol dire che la scelta è stata, dopo tutto, quella giusta da prendere in quel momento.
Proprio riguardo ai grandi cambiamenti di cui parlavi, ci sembra chiaro che oggi l’industria musicale non sia più come era nel 1989. Come hai detto giustamente, l’era del digitale e di internet ha preso il sopravvento su tutto il resto. Ma guardandola da un punto di vista esterno, abbiamo avuto la sensazione che Strictly, nella sua “seconda venuta”, si sia sempre considerata un’etichetta al passo coi tempi. Il che ha avuto come risultato una progressiva crescita delle release in digitale, lasciando in disparte per un po’ di tempo la distribuzione in vinile. Questa scelta ha dato i suoi frutti nel corso degli anni?
Come dicevo, è necessario gestire il proprio business in accordo con ciò che sono le leggi di mercato e ciò che detta l’ambiente in cui si lavora. Al giorno d’oggi, la stragrande maggioranza delle persone fruiscono della musica in formato digitale. Solo alcuni dj e collezionisti utilizzano ancora al 100% il vinile. Abbiamo fatto le nostre scelte dando proporzionalmente ascolto ad entrambe le campane.
Ad inizio Marzo è uscita la vostra compilation per celebrare i 25 anni di Strictly Rhythm, dove possiamo trovare i remix di alcune delle pietre miliari che hanno reso famosa l’etichetta nel corso della sua storia. Il tutto raccolto ed arrangiato da un’autentica leggenda della scena di Francoforte come Thomas Koch, ai più conosciuto come DJ T, che ha ri-adattato tutte le tracce così da renderle più adatte al mixing, andando così a racchiudere in quattro CD l’intera epopea di questa grande famiglia. Quello che ci ha incuriosito e che vogliamo chiedervi è perché scegliere per un compito così importante un producer europeo e non, ad esempio, un Americano. E soprattutto, perché proprio DJ T?
Come già detto prima, la musica house è stata qualcosa di universale e non solo esclusivamente di New York. Possiamo vantare un sacco di fan in giro per il mondo ed era importante allargare la percezione di cosa è stata Strictly Rhythm anche e soprattutto al di fuori dei confini nazionali. Volevamo lasciar trasparire questo aspetto attraverso le mani sapienti di un DJ e, come tutti saprete, DJ T è noto proprio per la sua ampia conoscenza in merito di house music. E direi che il suo mix lo riflette in pieno.
Quali sono dunque gli obbiettivi che Strictly Rhythm e Mark Finkelstein si sono preposti per il futuro prossimo e magari non solo? Come può una label che ha fatto la storia mantenersi rilevante nel business in un ecosistema tremendamente dinamico come quello dell’industria musicale?
Ci auguriamo di rimanere rilevanti perché abbiamo dalla nostra l’esperienza su come un’etichetta possa evolversi e siamo tranquilli sul fatto che la musica house possa rimanere un suono popolare anche per gli anni a venire. Abbiamo una reputazione che ci siamo guadagnati negli anni con i dj ed i semplici appassionati del genere. Essendoci ora lasciati alle spalle tutta la parte peggiore riguardo la transizione dalla vecchia scuola ai tempi moderni riusciamo a sentirci candidamente ottimisti riguardo al nostro futuro.
Chiudiamo la nostra chiacchierata come una domanda semplice ma importante: se potessi racchiudere questi venticinque anni di Strictly Rhythm in una sola frase, una citazione, una parola. Quale sarebbe?
House music.[/tab]
[tab title=”English”]How many times, over the years, looking through their record collection on the house’ shelves, scanning their bag in a dark club or trivially poking insistently in some dusty record store cubicle, generations of fans have found that brick wall with “Strictly Rhythm” written above and under that, black on white, names like DJ Sneak, Armand Van Helden, Todd Terry and Roger Sanchez? Many, way too many. The impact that the New York based label has had in the world of house music was of such magnitude as to make it today an multi-generational icon. But it wasn’t always all plain sailing. And among legal battles and transitions from the old school to the digital Era, the clock has beaten twenty-five springs, celebrated with a compilation mixed for the occasion by German talent DJ T. This important anniversary was an excuse to talk to label’s founder, Mark Finkelstein, who was more than happy (although he’s now almost retired) to describe the evolution of the label and the music industry, his longtime relationship with Defected’s boss Simon Dunmore and his hopes for the future of a label that’s synonymous with house music.
In 1989, when you decided to found Strictly Rhythm, both you and Gladys Pizarro were part of the great Spring Records family. What was your role in the label at the time? And what led you to create something independent out of it?
I was the head of finance at Spring. Spring went out of business and Gladys said that there was a new genre of dance music called House, and she said she would be the A&R if I started a new label.
The label was born in a complementary way to the great rise of house music in the US. How would you describe the Newyorker scene of the time? And what were the clubs and DJs with whom you had constant relations for the promotion of your releases?
Firstly we were not complementary to the rise of house music in the US; we were instrumental to the rise of house music globally. The New York scene was very receptive to house as disco had never really died in the city, it was carried on by clubs like the Paradise Garage. As house took hold in the late 80s and early 90s there was a new breed of DJs and clubs in New York and New Jersey – Tony Humphries (Zanzibar), Glenn Friscia, Frankie Knuckles (Sound Factory, Roxy) Roger Sanchez, Danny Tenaglia, Junior Vasquez (Sound Factory), John Robinson, Louie Vega (Sound Factory Bar), Kenny Gonzalez, Todd Terry, David Morales (Red Zone). There were also key clubs like Tunnel and Shelter that weren’t so associated with a resident DJ. Strictly’s relationship with the city’s DJs was a big factor in the label’s early success.
As you said, you gave short shrift to the musical side of the label, leaving the artistic choice primarily to Gladys. Is it still like this nowdays? It’s a little bit unusual if you think about that, isn’t it? You shoud have trusted a lot of people with whom you collaborated.
It is true that I did not participate in A&Ring the label and relied on Gladys. Knowing what you don’t know is as important as knowing what you do know. Nowadays I am virtually retired and the label is run by Simon Dunmore of Defected.
Coming back to the music part, who were the first artists which you relied on to launch the label? And what are the hits that have made you popular during the first period of activity?
The early releases were all by relatively unknown or new producers like Eddie Arroyo, Kenny Krytell, Todd Gibson and Wayne Gardiner. Logic’s ‘The Warning’ was the first release to make a big impact. After that we had tracks by Todd Terry, Kenny Dope, Josh Wink’s first record and Roger Sanchez struck gold with Underground Solution’s ‘Luv Dancin’’.
What was, however, the real masterpiece who has “set you on the map” on a global level? And how has it changed your relationship with the music industry afterwards?
‘I Like To Move It’ by Real 2 Reel was Strictly’s first global success. After that the music industry took us seriously.
That’s probably why in the early 2000s there was a (unfortunately short) collaboration with Warner. We’re not going to ask you to tell us why it didn’t work out (we can imagine that you don’t really want to discuss it) but we’d like to know from you what were the goals that you had set in reaching the decision to merge with a major label after ten years as an independent label.
No comment.
Once you got back the rights of the label and its catalog, in 2007, you asked an old friend, Simon Dunmore (boss of another celebrated label such as Defected), to help you and revitalize the Strictly Rhythm brand. How did your collaboration started and which impact has had its presence in the rebirth process?
Simon and I are friends and have been so for 25 years. We share many views about the industry but approach running the label from polar positions. I am more focused on the business and he more on A&R. We complement each other well and it has been a great partnership to date.
In 2010, however, you returned completely independent. Did you think it was a necessary step in label’s recovery? After five years, are you satisfied with the results of that move?
The music industry was going through its transition from the traditional high street physical model into the digital era. It was a difficult period and Simon and I decided that we should focus on our own labels through these times. The fact that both labels are still flourishing means that it was the right decision at the time.
Regarding that, it is clear that the music industry today is not the same as in 1989. As you said, the digital era and the Internet have long taken precedence over everything. But we had the feeling that Strictly, in his second coming, has always considered itself as an “up to date” label, which has resulted from the outset importance to release mainly in digital, leaving aside for a while the vinyl distribution. Has this wise choice paid off?
We have to run our label in accordance with the environment of the industry as a whole. The vast majority of people consume their music digital these days. Specialist DJs and collectors are still using vinyl. We give appropriate consideration to both.
In the first half of March your compilation to celebrate 25 years of Strictly Rhythm was released. It includes remixes of some of the milestones in the history of the label, collected by a legend of the Frankfurter scene such as Thomas Koch, aka DJ T, that has reshaped the tracks in order to make them mixable and created a small miracle, enclosing in four CDs the legacy of this great family. We’d love to know why you chose a European producer and not, for example, an American one for this arduous task. And why him?
House is universal and not exclusive to New York. We have many fans across the world. It was important for us to broaden the perception of Strictly Rhythm and to come from a knowledgable DJs perspective. DJ T. is reknowned for his knowledge of house and his mix reflected this.
What are the objectives that Strictly Rhythm and Mark Finkelstein arise for the future? How can a label which has made history continue to remain relevant in a dynamic ecosystem like the current one?
We will remain relevant because we have a vision on how the label can evolve and are confident that House will remain a popular genre for the foreseeable future. We have a long standing reputation with both DJs and House enthusiasts. Having done all the hard work in making the transition into a modern music company we feel very optimistic about the future.
We close our small chat with a both simple and fundamental question: if you could summarize these twenty-five years of Strictly Rhythm in a phrase, a quote, a word, what would it be?
House music.[/tab]
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