L’inglese, di stanza a Berlino, Spencer Parker è un mostro sacro della scena house e techno europea che può vantare una carriera musicale lunga e prolifica, la fondazione di una etichetta discografica influente come la Work Them Records e, soprattutto, le storiche notti alla consolle del Berghain. La sua carriera da dj inizia nei primi anni ’90 mentre nel 2005 si affaccia alla produzione discografica con una prima release intitolata ‘Open Your Eyes’ alla quale seguiranno rilasci su etichette come Innervisions, NRK Sound Division, Rekids, Plus8, Cabin Fever e Tsuba. In queste uscite, l’artista originario di Croydon dimostra di aver carpito il segreto per il perfetto equilibrio tra una rigorosa estetica minimalista e suoni inconfondibilmente caldi, il groove squillante e snello, il basso inarrestabile, i ritmi percussivi di una classica 808 che rimandano all’eredità musicale di Detroit e Chicago e linee di synth affilate che invece ricordano il lato scuro e cupo del suono berlinese. Toccherà proprio a Spencer Parker, assieme al francese Ark e al resident Cole, il prossimo sabato 19 settembre, inaugurare la nuova stagione del Tenax targata Nobody’s Perfect. Ne abbiamo approfittato per rivolgergli qualche domanda. Le risposte possiamo leggerle mentre ascoltiamo il suo nuovo mix esclusivo per il club fiorentino.
L’eclettismo sembra una delle cifre specifiche nella tua ricerca musicale. Con che genere di ascolti sei cresciuto?
Il mio primo amore è stato l’hip hop, ad essere onesti. Quello è stato il primo genere di musica del quale mi sono innamorato follemente e per il quale ho cominciato a comprare dischi, cd e ad andare ai concerti. Sono stato un grande fan di A Tribe Called Quest, Public Enemy, Gangstarr, Diamond D, Boogie Down Productions, Organised Konfusion. Poi ho cominciato a frequentare i club inglesi e quindi è diventato naturale sviluppare un interesse specifico per generi come house, disco e techno. Da quel punto in poi mi sono perso definitivamente sotto i riflessi della mirrorball!
La tua carriera in musica comincia come dj. Cosa ti ha portato, nel 2005, a diventare anche un produttore?
È stato un passaggio davvero molto semplice e naturale, per me. Ho cominciato realizzando i miei edit in preparazione dei set ai quali tenevo di più. Da lì, il passo a fare i primi remix è stato breve. Infine sono arrivate le mie produzioni originali. Devo dire che mi diverte molto il processo di produzione e, soprattutto, il fatto che seguendolo si impara sempre qualcosa di interessante ma io mi sento ancora, e prima di tutto, un dj.
Come dj padroneggi da anni l’arte di mixare techno e house in un tutto organico e impeccabile. Quando produci c’è qualche genere che prediligi o a cui ti diverte riferirti?
Nessuno in particolare. Davvero faccio dischi solo per poterli suonare in giro. Ovviamente se altri dj o altre persone se ne innamorano la cosa mi fa molto felice ma lo scopo principale è sempre quello di fare qualcosa che piaccia a me suonare nei club. Credo di essere molto fortunato nel poter suonare spesso back to back con Mr Ties per tirare fuori dalla borsa le mie produzioni più house, oppure di poter mettere sul piatto i miei vinili più techno quando mi ingaggiano al Concrete o al Berghain con lo pseudonimo Brotherhood. Poter suonare in situazioni così diverse mi consente di divertirmi nel proporre tutto il vasto repertorio delle mie produzioni. Non credo ci siano in giro molto Dj che hanno spesso questa opportunità.
Ogni tuo dj set è pieno di sorprese e arricchito da inediti e anticipazioni discografiche. C’è qualche classico che non manca mai nella tua borsa di dischi?
Ce ne sono tantissimi! Negli ultimi set sto suonando moltissimo una produzione italiana che adoro: Black Box “Ride On Time”. Mi piace molto suonarlo assieme all’originale di Loleatta Holloway in versione ‘acapella’. Mr Davoli e i suoi collaboratori hanno campionato quella meraviglia riuscendo a dargli un taglio diverso eppure ancora coerente. Mi capita altrettanto frequentemente di suonare “Hi Tech Jazz” di Underground Resistance, “Lovin’ Is Really My Game” di Brainstorm, Chaka Khan con “Any Love” e “Dark and Long” degli Underworld. Ma la lista potrebbe continuare ancora per molto…
Qual è la cosa migliore e quale la peggiore nell’avere una etichetta discografica?
L’aspetto migliore è quello di avere il completo controllo su tutto. La cosa peggiore è quella di avere il completo controllo su tutto. Non c’è nessun altro, tranne me stesso, con cui prendermela.
Cosa stai ascoltando in questi giorni e cosa stai amando molto?
Ho appena acquistato una nuova piastra per ascoltarmi delle audio-cassette player. Quindi mi sto divertendo molto a riascoltando vecchi nastri dalla mia collezione, comprese le prime registrazioni di quando cominciavo a fare il dj. Continuo ad amare l’ascolto di vecchi dischi disco degli anni ‘70, produzioni italo degli anni ’80, house e techno dei ‘90. Un altro ascolto ricorrente di questi giorni è quello delle produzioni che usciranno sulla mia etichetta con la firma di Anetha, Dan Beaumont e Setaoc Mass. Tra le cose che ho acquistato e amato nelle ultime settimane ci sono i nuovi dischi di UVB, Ritzi Lee, P.E.A.R.L., Kessell, Antigone, Christopher Joseph e tutte le uscite della sua label Flexxseal. Un’altra etichetta che sto seguendo con molta attenzione è la berlinese Amotik. Se dovessi scegliere un singolo sceglierei il recente edit realizzato da GU per “Girl You Need A Change Of Mind” di Eddie Kendricks, una delle mie canzoni preferite in assoluto.
Che piani produttivi e discografici hai?
L’idea che ho chiara in testa è quella di andare avanti con la mia etichetta e di progredire come produttore. Sto cercando di imparare al meglio i segreti della produzione e della realizzazione fisica dei dischi. Il presupposto di partenza è sempre quello di realizzare uscite che piacciano ai dj da suonare e al pubblico da ballare dentro club oscuri. Questo è tutto quello che voglio e che mi auguro per le mie prossime uscite.