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[tab title=”Italiano”]Sala affrescata al piano terra di un hotel di lusso, atmosfera ovattata, a tratti surreale. Davanti a te, uno dei padri fondatori dell’elettronica sperimentale, uno di quei pazzi visionari che finiscono per fare la storia. Le gambe tremano leggermente, com’è naturale che sia quando ti trovi faccia a faccia con personaggi di questo calibro. Jean-Michel Jarre, 67 all’anagrafe, ha da poco finito di registrare il suo nuovo album “Electronica”, e quando uno come lui decide di impegnarsi in un progetto tanto imponente, è perché sicuramente ha qualcosa di importante da dire. In attesa di apprezzare l’album per intero (dobbiamo resistere ancora un paio di settimane), abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare le sue parole, in occasione degli MTV Digital Days di Monza. Zitti tutti, parla JMJ.
Iniziamo con l’argomento più caldo per te in questi giorni, ovvero il tuo nuovo album “Electronica 1: The Time Machine”. Parlaci un po’ del concept su cui si basa, e di come hai scelto gli artisti con cui collaborare…
L’avevo in mente da un bel po’ di tempo, l’idea mi è venuta circa cinque anni fa e dopo quasi un anno ho iniziato a lavorarci veramente, a registrare le cose etcetera. Tutto si bassa sull’idea di radunare intorno a me persone provenienti da differenti scene della musica elettronica, con l’obiettivo di coprirne il più a fondo possibile le quattro decadi su cui finora si è sviluppata. Ho voluto lavorare con qualcuno che fosse stato fonte di ispirazione per me, artisti che avessero un sound immediatamente riconoscibile. In realtà è esattamente l’opposto di un normale album di featuring, dove molto spesso ti trovi a mandare files a persone che non hai mai incontrato, le quali cantano sulla tua musica in modo totalmente asettico, e dove, il più delle volte, queste connessioni sono frutto di mosse di marketing. “Electronica” non è decisamente quel tipo di album, perché per ogni artista che ho scelto c’è una ragione specifica, in termini di sound, di ispirazione reciproca… Ho voluto assolutamente viaggiare e incontrare fisicamente ognuno di loro, per condividere quel momento magico in cui si crea qualcosa insieme. Ho voluto circondarmi di persone che in un modo o nell’altro fossero legate all’elettronica, più o meno direttamente, tutti con background differenti e anche provenienti da generazioni diverse. Prendi, per esempio, Pete Townshend degli Who: lui è stato il primo ad introdurre i sequencer e i sintetizzatori nel British rock, in “Who’s Next” o in canzoni come “Baba O’Riley”, ha un approccio molto organico alla musica e al sound design e cerca sempre di spingersi oltre i confini della sua stessa musica, ragione per cui è stato sempre molto in alto nella mia “wanted list”. Il motivo per cui l’album è diviso in due parti è che tutti quelli a cui ho proposto di collaborare, alla fine hanno accettato, e dato che avevo una lista molto lunga, per essere coperto in caso qualcuno rifiutasse, mi sono trovato con talmente tanto materiale da non poterlo far stare in un solo album. E’ stata una cosa piuttosto inaspettata, perché sai, quando apri le porte del tuo studio ad un altro musicista, riveli i tuoi trucchi, i tuoi punti deboli, le tue abitudini, e questo ti rende in qualche modo vulnerabile, per cui alcuni potrebbero essere riluttanti all’idea. Non mi aspettavo davvero una reazione tanto positiva. Non esiste nessun tipo di dualismo tra il volume 1 e il 2 di “Electronica”, i pezzi contenuti in “The Time Machine” sono semplicemente quelli che ho finito per primi. Sto ancora lavorando sulla seconda parte, al momento; sai, alcuni artisti sono un po’ più lenti di altri, nelle collaborazioni, ma con tutta probabilità il volume 2 sarà rilasciato in primavera. Non è in nessun modo un tentativo di insegnare qualcosa o educare qualcuno, come ho sentito dire, semplicemente ho avuto il desiderio artistico di compiere questo viaggio nel tempo – da qui il sottotitolo “The Time Machine” per il primo volume – dal passato da cui provengo, e da cui provengono alcuni degli artisti coinvolti, al futuro verso cui siamo tutti diretti. Credo che la musica elettronica sia molto più che un genere, personalmente la intendo come un modo completamente diverso di accostarsi alla musica, non soltanto in termini di note, accordi, armonie e strutture, ma proprio in termini di suoni e sound design. Questo è sostanzialmente il pensiero su cui ho basato l’album.
Lavorando a così stretto contatto con artisti di quel calibro dev’essere stata un’esperienza incredibile e un’eccezionale opportunità di scambio umano e artistico, sia per te che per loro: c’è qualche aneddoto delle sessioni in studio che ti senti di condividere?
Certo, come ho detto prima ho imparato moltissimo da tutte queste collaborazioni! Assolutamente si, la grande quantità di tempo che ho passato in studio con questi artisti mi ha regalato un sacco di storie che vale la pena di raccontare. Ad esempio, lo sapevi che Little Boots l’ho scoperta grazie ad un video su YouTube in cui suona l’arpa laser? Comunque, tutte le sessioni sono state filmate, quindi è probabile che prima o poi ne esca una serie o qualcosa del genere, così potrete vedere con i vostri occhi.
Nel 1983 hai composto “Music for Supermarkets”, come una sorta di reazione alla massificazione della musica e alla conseguente perdita di valore artistico. Non credi che la storia si stia ripetendo oggi, per certi versi, con i servizi di streaming e, in generale, la facilità con cui si può venire a contatto con la musica, sia da fruitori che dal lato dell’industria?
Beh si, in qualche modo, dal vinile in poi la qualità dell’audio che ci arriva è stata in costante diminuzione. Nemmeno il vinile era l’ideale, in realtà, ma poi i CD sono stati peggio, ed ora gli mp3, che in fatto di qualità dell’audio sono il punto più basso che abbiamo raggiunto, e che mi spingono a chiedermi quale sarà il prossimo step. Probabilmente i tuoi nipoti considereranno gli mp3 come i grammofoni dell’era digitale. Oggi siamo nella peggior situazione possibile, per quanto riguarda i modi in cui fruiamo della musica, ma anche solo il fatto che siamo qui a parlarne significa che siamo sul sentiero giusto per trovare una soluzione. Molte persone sono in cerca di migliore qualità, che sia il ritorno al vinile o l’esperienza della musica live ai concerti e ai festival, quindi credo che le cose miglioreranno presto. Per quanto riguarda il valore artistico, dobbiamo andarci piano nel prendere per vera l’equazione “più contenuti = cattivi contenuti”. Quando Gutenberg ha inventato la stampa a caratteri mobili, il Vaticano era piuttosto preoccupato che la massificazione della lettura e della scrittura potesse intaccare la qualità degli scritti. Beh, sappiamo che non è stato così, e vale lo stesso nella musica: avere a disposizione una maggiore offerta di musica non significa automaticamente che abbiamo meno roba di qualità. Certo, probabilmente avremo grandi quantità di cose mediocri o “nella media”, ma alla fine la scelta sta a te, e il fatto di avere più possibilità a disposizione non è necessariamente un fattore negativo. Sul processo creativo, invece, la trappola in cui siamo cascati oggigiorno è quella di pensare che, grazie alla tecnologia, non ci siano limitazioni. Naturalmente la tecnologia è a portata di tutti, ma non è abbastanza. Devi fissare il tuo limite personale, devi riconoscere la tua esperienza, qualsiasi essa sia, se vuoi creare qualcosa che abbia un valore, che sia interessante. Da quando abbiamo iniziato questa conversazione, saranno usciti un centinaio di nuovi plugin, ed entro il tramonto gran parte di loro sarà passata di moda, perché la tecnologia passa molto velocemente, ma sei tu che devi trovare in te stesso ciò che vuoi esprimere con la tua arte, piuttosto che pensare comodamente che la tecnologia prima o poi ti darà una risposta.
Non è un segreto che tu sia stata una delle maggiori fonti di ispirazione dietro la nascita, la crescita e l’evoluzione della trance, genere a cui sembri ancora abbastanza legato stilisticamente: ti ha dato qualcosa indietro, in termini di ispirazione?
Certo, senza dubbio! So di essere stato fonte di ispirazione per molte persone nella scena trance, e ne sono molto felice, ma allo stesso tempo loro lo sono stati per me. Sono in un processo di costante apprendimento da artisti di ogni genere, come tutti. Prendi Armin, ad esempio: lui ha sempre detto che mi considera come un fratello maggiore, musicalmente parlando. Quando ci siamo incontrati a Los Angeles, un paio di anni fa, gli avevo commissionato il remix di una delle mie tracce, ma poi l’ho visto talmente coinvolto che ho voluto che collaborassimo ad un brano originale, e da lì è nata “Stardust”.
L’innovazione della musica elettronica, è, da sempre, strettamente legata alle nuove macchine e ai sintetizzatori: come vedi l’attuale generazione di strumenti? Hai qualche preferito?
Ci è voluto un po’ affinché gli strumenti virtuali fossero in grado di competere con quelli analogici, ma ormai non ci troviamo più in uno stato di competizione tra i due mondi, per due ragioni: in primis perché oggi è finalmente possibile scegliere in modo equivalente tra virtuale ed analogico, perché i plugin sono sviluppati con una tecnologia sufficientemente avanzata da farli suonare veramente bene. La seconda ragione che annulla la competizione è che oggi, per la prima volta, abbiamo a disposizione plugin in grado di fare cose che gli strumenti analogici semplicemente non sono in grado di fare. Per molto tempo gli strumenti virtuali sono stati semplici tentativi di emulazione dell’analogico, ma ora hanno raggiunto un livello differente. Massive della Native Instruments, ad esempio: senza di lui, probabilmente non esisterebbe la dubstep come la conosciamo oggi. Non ci sarebbe stato nessun Skrillex. Questo dimostra quanto sia la tecnologia ad influenzare gli stili e non viceversa. Sono molto contento di poter vivere questo momento, da musicista, e credo che la musica oggi riceva parecchi benefici da questa situazione. Se dovessi scegliere tra i miei strumenti preferiti, direi Dune, Diva, Spire, Serum, lo stesso Massive, e poi anche Rounds e Kontour, perché i suoni che riesco a fare con questi, semplicemente non li posso fare con nient’altro. Oh, e mi piace molto anche Animoog, un’app per iPad sviluppata dalla Moog, ma con un concept che non ha nulla a che vedere con le poco convincenti repliche del MiniMoog che si sono viste negli anni.
Ai suoi inizi, l’elettronica è stata caratterizzata da una forte pulsione rivoluzionaria, come molti altri movimenti artistici. Tu stesso hai confessato che vi additavano come un manipolo di pazzi che cazzeggiava con i synth, quindi ti chiedo: quale prevedi che sarà la prossima rivoluzione, e dove ci porterà?
Sento che stiamo andando verso un nuovo modo di concepire i suoni, in generale. Ti faccio un esempio: la stereofonia è stata inventata a metà del secolo scorso, e inizialmente era soltanto un sistema che riproduceva artificialmente la sensazione di spazio stereofonico. Ora io ti sto parlando, la mia voce esce in mono, ma alle tue orecchie arriva con un effetto di profondità dato dalla stanza in cui ci troviamo. Ecco, io credo che una dei prossimi passi sarà nella direzione di un’esplorazione più profonda di questi concetti spaziali, che probabilmente ci porterà a qualcosa di simile ad un’ambiente audio in 3D, dove saremo in grado di comporre musica con una spazialità molto più definita di quanto non sia disponibile oggi. E’ qualcosa che non è stato ancora approfondito molto, nel processo di composizione della musica, sento che sarà uno dei prossimi step. Sarà un’esperienza fantastica solo per l’ascoltatore, ma anche per chi la musica la compone, ci porterà tutti più vicini a ciò che succede in natura, più vicini ad una rappresentazione ancora più reale. Se ci pensi, mentre cammini per strada o in qualunque luogo, sei letteralmente circondato dai suoni, ma quando ascolti musica il suono ce l’hai solo davanti, al più di lato, in un modo assolutamente innaturale… Quindi, insomma, è qualcosa in cui credo molto. Un primo passo l’ho già mosso, in questa direzione, a dire la verità: quattro bonus track di “Electronica” sono state mixate con un particolare algoritmo che dà una sorta di sensazione di tridimensionalità anche attraverso un normale set di cuffie. Ma è un concetto che sarà sviluppato molto più a fondo nel prossimo futuro, ne sono certo.
Nel tuo prossimo futuro, invece, cosa c’è? Porterai l’album in tour?
A dire la verità sono stato talmente impegnato in studio fino ad un paio di settimane fa, che ho iniziato a pensare ad un possibile live show solo da pochi giorni. Voglio prima finire la musica al 100%, parlo del volume 2 di “Electronica”, poi sicuramente verrà anche la parte di live. Sono attratto dall’idea di suonare ai festival, mi intriga molto la sfida di far stare tutto il mio equipaggiamento ed il mio show negli spazi ristretti dello stage di un festival, con tutte le limitazioni che esso comporta, sia a livello tecnico che musicale. Oltre a questo, avrò sicuramente un mio tour dedicato, che con buona probabilità sarà diverso dalle apparizioni ai festival. Ma inizieremo a ragionarci nelle prossime settimane. E’ possibile che mi vedrete sul palco di qualche festival intorno al periodo di Marzo…
Diamo uno sguardo al passato, invece. La tua biografia è senza dubbio una delle più impressionanti che abbia mai letto: c’è stato qualcosa, nella tua carriera, di cui ti sei pentito, o che avresti voluto andasse in modo diverso?
Oh si, un sacco di cose! Mi sono sentito frustrato un sacco di volte per delle demo che ho fatto, per qualche concerto che non è andato come volevo, a volte mi pento anche di aver rilasciato alcuni dei miei album, anche se non ti dirò quali. Fa parte della vita di ogni artista, e se qualcuno lo nega, beh, è un bugiardo. Sono stato fortunato abbastanza da conoscere Federico Fellini, nei suoi ultimi anni, e una volta mi ha detto una cosa che ritengo sia fondamentale per ogni artista. Mi disse: “sai, ogni volta che facevo un film nuovo, pensavo che fosse completamente diverso dai precedenti. Ma poi ho realizzato che sembrano tutti un’unico film, come se fossero diverse declinazioni di un’unica ossessione”. Beh, io credo che ci sentiamo tutti più o meno così. Quando hai qualcosa da dire, sei ossessionato dall’idea che la tua prossima opera sarà quella che lo esprimerà al meglio, quindi continuiamo tenderci verso quest’idea di perfezione, che probabilmente non raggiungiamo mai…[/tab]
[tab title=”English”]Frescoed room in the basement of a luxury hotel, cocoon-like environment, the atmosphere is almost surreal. In front of you, one of the pioneers of electronic music, one of those crazy visionaries which eventually end up writing history. Your legs are shaking a bit, but it’s natural when you’re face to face with such a big personality. Jean-Michel Jarre, 67, has just finished to record his new artist album “Electronica”, and when an artist like him decides to challenge himself in such a huge project, well, he might have something important to express. While waiting for the whole album to be released, we had the chance to have a chat with him at the last MTV Digital Days in Monza. Silence, please, JMJ speaking.
Let’s start talking about the hottest topic for you at the moment, your upcoming album “Electronica 1: The Time Machine”. What’s the vision behind it and how did you choose the featured artists?
I had it in mind for quite a long time, the idea came to me about five years ago, then an year later I started actually working on it and recording stuff. Everything is based on the idea of gathering around me people from different electronic scenes, covering all the four decades of electronic music. I really wanted to work with people who have been big sources of inspiration for me, artists with a kind of instantly recognizable sound. Actually it’s the opposite of a regular featuring album, when you send files to someone you’ve never met, who will sing on your music in a very abstract way, most of the times for marketing reasons. “Electronica” is not that kind of album, for every collaborator I picked, there’s a reason why in terms of sound, in terms of music, in terms of inspiration… I wanted to travel and physically meet all of them, to share the very magical moment of creating something together. I wanted to surround myself with people directly or indirectly linked to the electronic scene, and as I was saying, there’s a specific reason behind every artisti I choose to work with. For instance, take Pete Townshend from The Who: he’s the one who introduced sequencers and synthesizers in British rock, with “Who’s Next” and songs like Baba O’Riley, he has a very organic approach to music and to sound design, he always tried to push the boundaries of his music, and those are the reasons why he had a really high spot in my “wanted list”. Fun fact, the reason why the album is divided in two parts is that everyone I asked for a collaboration said yes. That was as great as unexpected, because when you open your studio to another musician, you reveal your tricks, your weak points, your habits etc, and that makes you vulnerable, then some artists may be reluctant about that. I didn’t expect such a positive reaction, then I couldn’t just fit everything into one volume. There ain’t any dualism between volume 1 and 2 (which will be out in early spring next year, by the way), the tracks in “The Time Machine” are just the ones I finished first. I’m still working on the second part at the moment, because some artists are a bit slower on collaboration than others. This ain’t any kind of attempt to teach something, I don’t mean to educate anyone with this album like someone said, I just had the artistic wish to travel trough time – and here comes the subtitle “The Time Machine” for the first volume – from the past I come from, to the future we’re all going. Electronic music is much more than just a genre, is a completely different way to approach music, not just in terms of notes, chords, harmonies and structures, but specifically in terms of sounds and sound design. This is what this album is all about.
Working so close with so many big artists would have been a great experience and exchange both for you and for them, is there any interesting fact or story from the studio sessions you feel to share with us?
Of course, as I said, I’ve learned a lot by doing all those collaborations for the album, and yes, all the time I spent in the studio with those artists gave me a lot of stories that worth to tell. Just to mention one, did you know I’ve discovered Little Boots by watching a video on YouTube of her playing the laser harp? By the way, every studio session I had in the making of “Electronica” has been recorded, so maybe one day they will release a video series or something, so you’ll se with your own eyes.
In 1983 you composed “Music for Supermarkets”, as a sort of reaction to the massification of music and its consequential loss of artistic value. Don’t you think this is what’s happening nowadays more than ever, with all the streaming services, and in general, all the easy ways anyone can get into music, both from the industry side and as a listener?
Well, yes, somehow since the vinyl the quality of the audio has constantly decreased. Vinyl was not ideal tho, actually, but then CDs were worse, and mp3 are now even worse than CDs, in terms of audio quality, so we are now wondering what will be the next step. Probably your grandsons will consider mp3’s like the gramophones of the digital era. We’re in the worst situation today, concerning the way we listen to music, but if we’re now talking about it together, that means that the solution is already on the way. Lot of people are looking for more audio quality nowadays, weather by going back to vinyl or experiencing music live at concerts and festivals, so I think that things will get better soon. About the artistic value, well, we have to be really careful by assuming the equation “more contents = bad contents”. When Gutenberg invented the printing process, the Vatican was worried that massification of writing and reading could affect the quality of the pieces. Well, that’s not true, having more music available now doesn’t mean we have less good stuff: of course maybe we have a lot of mediocre or average works, but in the end of the days, the choice is up to you, and having more possibilities to choose between is not necessarily a bad thing. About the creative process, the trap we’re in today with technologies is to make people think that there’s no limitation. Of course technology is open to anyone, but it’s definitely not enough. You have to set your own limit, your own experience whatever it would be, in order to create something valuable and interesting. From the beginning of this conversation we probably had one hundred of new plugins coming out, and by the sunset they’ll be all old fashioned, because technology pass by really fast, but you have to find in yourself what you’d like to say with your art, rather than thinking that technology will give you the answer.
It’s safe to say that you’ve been one of the main inspiration sources behind the birth, the raise and the evolution of trance music, and of course you still look closely linked to the genre, so I’d like to know if it’s giving something back to you in terms of inspiration…
Yes, for sure. I know I’ve might been a source of inspiration for a lot of people in the trance scene, and I’m so glad for it, but they’re also a source of inspiration to me. I’m in a constant learning process, like for any kind of creator, from any kind of artist. Take Armin, for instance: he told me I’m a kind of big brother to him, musically speaking. We met in Los Angeles a couple of years ago, he was initially meant to remix one of my track, but then I saw him so much into this project that I wanted to make a full track together, and then “Stardust” was born.
Electronic music innovation is closely linked with machines and synthesizers: how do you see the current generation of machines? Do you have any favorite?
I think it took quite a while for virtual instruments to compete with the analog ones, but now we’re not into this kind of competition anymore, for two reasons mainly: first because now you can choose between analog and digital instruments, because nowadays plugins are developed with enough technology to have very good sounds. And also because now, for the first time, we have plugins able to do things that analog instruments simply cannot. For a long time, plugins were just trying to emulate analog, even in their look, but now they reached a completely new level, which is simply different. Take Massive by Native Instrument, for instance: it generated dubstep, basically. Without it there would be no Skrillex, so it shows how much technology is influencing styles and not the reverse. I really enjoy being at this point now, as a musician, I think music today is having loads of benefits from this situation. If I had to pick any favorite plugin, I’d mention Dune, Diva, Spire, Serum, and also Massive itself, Rounds and Kontour, because the sound you can make with those, you can’t make with anything else. Oh and I like also Animoog, a great iPad app from Moog, which is a completely new concept and has nothing to do with all those not-very-convincing replicas of MiniMoog.
At its very beginning, electronic music was featured by a great revolutionary impulse, as every new artistic movement. As you said, you pioneers were considered as a bunch of crazy guys messing around with synths. So what will be, in your opinion, the next revolution, and where will it bring us?
I feel that we’re going into a new way to approach sounds in general. I’m giving you an example: the stereo has been invented in the middle of the 20th century, and in the beginning it was a sort of fake system which was artificially recreating the sense of space. Now I’m talking to you in mono, but you receive my voice in stereo, with some kind of depth and surrounding sound, because of the room we’re in. So I think that a possible next step will be going in-depth with this concepts and this will lead us to some kind of 3D audio environment, where we’ll be able to write and compose music with an even great sense of space. This is something that hasn’t been explored yet in the composition process, I mean how to play sounds around you and to deal with this. I really feel this is gonna be the next stage. It’s not going to be an experience just for the listener, but also for the composer, this will take all the way closer to reality: I mean, when you’re walking down the street or wherever, you’re literally surrounded by sounds, but when we listen to music it’s just facing us, in a completely unnatural way… So this is something I really believe in. One first step has been moved already actually, as I mixed four bonus tracks from “Electronica 1” with a particular algorithm that allows you to listen to them and feel some kind of 3D space even with regular headphones, but I feel that the concept will be developed much more in the near future.
What about your next future, then? Will you take the album on tour?
Actually I’ve been so immersed in the studio until a couple of weeks ago that I started thinking about a live show just in the last few days. I want to finish the music first, and I’m talking about the volume 2, then the live part will come. I’m very interested into going to festivals, I find very challenging to fit all my equipment and my show on a festival stage, with all the limitations it brings, both technically and musically. On side, I’ll be doing my own tour for sure, and it will be probably different from the festival appearances. But we’ll start thinking about it all in the next few weeks, so you may see me perform on some festival stages around March…
Looking back to the past, now. Your biography is definitely one of the most impressive I’ve ever seen: is there anything you may regret or wish it went in a different way in your career?
Oh yes, a lot! Looking back, I felt frustrating several times for some demos I did, or some concerts, I even regret I’ve made some of my albums, but I won’t say which ones. It’s part of every artist’s life, and if someone denies it, then he’s a lier. I’ve been really lucky to meet Federico Fellini, at the end of his life, and he told me something really important for every creator, he said: “You know, I always thought that every time I was doing a different movie, but in the end I realized that they’ve always looked the same movie, like a declination of some kind of obsession of mine”. Well, I feel we’re all like that. When we have something to say, we’re just obsessed by the idea that our next work will be the one that will express it at its best, so we keep chasing something we’ll eventually never get.[/tab]
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