Probabilmente avete letto qualcosa su di loro in giro per la rete, visto che molte testate, specializzate e non, ne parlano in termini entusiastici da più di un anno, gli avete dato un’ascoltata rapida e avete pensato “ma che è sta schifezza?” per poi dimenticarvene per sempre, o almeno provarci: è la stessa cosa che è successa a noi. Poi però abbiamo deciso di dar loro una seconda chance: possiamo non condividere i pareri dei vari Pitchfork, RA, Guardian e così via, ma se uno dei nostri eroi come Jackmaster crede così tanto in SOPHIE da stampare sulla sua Numbers non solo due EP ma anche un album, in uscita a fine novembre, forse lui ha visto qualcosa che a noi è sfuggito oltre la patina di sound plasticoso e vocine acute che ci aveva respinti al primo approccio.
Abbiamo deciso di tuffarci di testa in tutto il mondo della PC Music, di cui SOPHIE fa parte solo in maniera non ufficiale, per cercare di capirci di più, e ci siamo immediatamente scontrati con i primi interrogativi: PC Music è un’etichetta o solo un gruppo di artisti con un’estetica comune, o entrambe le cose, o nessuna delle due?
Di certo c’è che si tratta di un progetto articolato su più fronti, in cui all’aspetto musicale si uniscono anche quello grafico e di immagine, visto che molti degli artisti che fanno parte del collettivo sono anche designer e che lo stile grafico di tutte le release contribuisce molto alla costruzione dell’immaginario esteso che la PC Music tutta vuole comunicare, come anche il giocare sulla propria identità di molti artisti, a cominciare proprio dallo stesso SOPHIE che più di una volta si è presentato sul palco vestito da buttafuori mentre il ruolo dell’artista era svolto da un figurante.
Non è nemmeno ufficialmente affiliato al collettivo, anche se ha di sicuro dei contatti con molti artisti, visto che “Hey QT”, la traccia che ha dato il via a tutto il movimento è stata prodotta a quattro mani da lui e A.G. Cook, il leader dell’etichetta, ma il suo sound incorpora tutti i canoni della PC Music: suoni di plastica, voci pitchate verso l’alto e una cheesiness portata all’estremo che strizza l’occhio alle pop idol orientali al punto che Namie Amuro, una delle più occidentali tra le cantanti giapponesi, ha scelto proprio lui per produrre la sua “B Who I Want 2 B”.
Il legame tra PC Music e JPop diventa evidente, poi, se si pensa alla figura di Hannah Diamond: non è solo un’artista multidisciplinare visto che “di giorno” si guadagna da vivere facendo la graphic designer e che ha curato la grafica e l’immagine di molte delle release dell’etichetta e dell’intero progetto QT, ma è anche forse quella che più di tutti ci mette la faccia, e il suo modo di presentarsi differisce da quello di una cantante giapponese praticamente solo per la mancanza degli occhi a mandorla, visto che nel video di “Hi” il rosa shocking, le tinte pastello e la plastica la fanno da padroni.
SOPHIE e Hannah Diamond, però, non sono che i personaggi più “normali” del gruppo: cosa dire di Danny L Harle, l’altra testa dietro l’etichetta, che sul proprio profilo SoundCloud affianca tracce pop solo all’apparenza “facilone” e genuinamente zarre come i remix per Years And Years e Panda Bear a pezzi di musica classica suonati col violoncello, che ha studiato all’università? E di GFOTY, che nei suoi dj set suona dischi degli Abba e di Katy Perry alla velocità sbagliata e la cui traccia più famosa, “Friday Night” sembra “Barbie Girl” degli Aqua ambientata in un club londinese?
Nessuno di loro, comunque, raggiungerà mai la follia di Spinee, che nell’immagine che si è scelta e con cui si identifica sulle release e in rete…è un cane: di nuovo, si torna al gioco sull’identità e viene in mente la famosa vignetta che diceva “On the Internet, nobody knows you’re a dog”.
Insomma, avrete capito che parlare di PC Music significa avere a che fare con un gruppo di autentici scoppiati, dall’estro creativo pressoché inesauribile e dal gusto smaccatamente pop nel senso letterale del termine, inteso come “studiato per piacere a più gente possibile” e quindi, solo all’apparenza, virato verso un minimo comune denominatore: ma se è solo questo che c’è, allora perché sono sulla bocca di tutti?
Perché uno come Jackmaster, tra i più grandi ricercatori di musica interessante in circolazione, si è interessato a loro? Perchè le cantanti pop, con in testa Charli XCX, fanno a gara a farsi produrre i dischi da loro? Perchè una major come la Columbia ha deciso di mettere in piedi una partnership che, a detta loro, darà vita a “A new, perfect breed of a major label, a new, highly advanced, pop weapon”?
Perché, in sostanza, abbiamo deciso di parlarvi di loro?
L’idea che ci siamo fatti è che in realtà, sotto la superficie di plastica lucida, ci sia un quantitativo di idee musicali pari, se non superiore, a quello che tutto il gruppo mostra nella gestione della propria immagine: SOPHIE, ad esempio, sbeffeggia spesso e volentieri gli stereotipi del clubbing, non solo con i figuranti che suonano al suo posto e che vengono regolarmente scambiati per lui ma anche con tracce come “Just Like We Never Said Goodbye” in cui fino alla fine ci aspettiamo il drop a cui siamo abituati, convinti che arrivi da un momento all’altro e che invece non arriva mai.
La sfida degli artisti della PC Music, quindi, sembra la stessa di tanti altri artisti degli anni ’10, non solo legati alla musica elettronica, quella di far sentire più scaltro degli altri l’ascoltatore, con un atteggiamento “tongue-in-cheek” che sembra dire “se sei uno di noi, se sei uno furbo, lo sai che non ci devi prendere sul serio”, ma questa è solo una delle chiavi di lettura, ed è forse per questo che li troviamo così interessanti, perché li si può ascoltare a diversi livelli. Si può prenderli come un “guilty pleasure”, dirsi che ok, sono zarri, sono cheesy, ma anche prendendoli come canzoncine pop si lasciano ascoltare volentierissimo e anzi, quasi tutte le tracce hanno la capacità di stamparsi in mente e non uscirne più, ma si può anche, al contrario, volersi sentire intellettuali e hip e dirsi che invece A.G. Cook e soci sono dei geni della satira, che chi non li apprezza non ne capisce le sottigliezze e considerarli il massimo dell’avanguardia, oppure si può, semplicemente, apprezzarne il tentativo di smontare il pop pezzo per pezzo e ricostruirlo portando all’estremo di volta in volta un aspetto diverso, come l’immagine delle cantanti o gli hook che restano in testa.
Noi, una volta superato il trauma iniziale, oscilliamo tra tutte queste visioni a seconda del momento, ma in ogni caso non riusciamo più a fare a meno di loro e di giorno in giorno moriamo dalla curiosità di vedere cosa si inventeranno la prossima volta: potete non apprezzarli, ma che vi incuriosiscano è praticamente inevitabile: vi consigliamo di partire dalla compilation dell’etichetta, ma se poi non riuscirete a fare a meno di cercare tutto quello che hanno sparso in giro per la rete non dite che non vi avevamo avvertito.