Sembra quasi lo faccia di proposito, Luciano, a ricaparsi le situazioni giuste per far vedere che è ancora il dj capace di farti esclamare “ehi, ma quanto cazzo è bravo?”. È già successo in passato ad Enter, quando Richie Hawtin pensò bene di coinvolgerlo e mandare in streaming la sua esibizione allo Space, e si è ripetuto la scorsa settimana, in occasione della puntata svizzera di Boiler Room. Scenario inedito, le Alpi con tutte le sue cime innevate e il cielo azzurro e vivo, e orario ancor più particolare, quasi a volersi prendere gioco della voglia di prendere una boccata d’aria di chi è stato costretto in ufficio tra mezzogiorno e le tre di pomeriggio per ascoltare il cileno che mischia i suoi vinili.
E c’è riuscito, lo dobbiamo ammettere, lo abbiamo pensato tutti che sì, Luciano è un cazzo di dj bravissimo. Uno di quelli che sembrano essere un tutt’uno col mixer, che conoscono a menadito ogni 12” in borsa e che sanno fare il bello e il cattivo tempo, facendo vertere il proprio set verso questo o quel suono.
E lo sapete qual è il risultato di una prova come quella per Boiler Room? La nostra incazzatura.
La prima volta che ascoltai Luciano suonare era il settembre 2006, i ragazzi di Ultrabeat lo avevano chiamato per inaugurare l’undicesima stagione del Goa Club.
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Il suo look, quasi a sfidare la cura con cui tutte le ragazze presenti nel locale avevano scelto il proprio outfit, prevedeva una canottiera nera basica, un baffo da harleysta convinto e capelli lunghi tirati indietro senza andare troppo per il sottile. Luciano per me rappresentava un’incognita vera e propria in quanto, lo confesso, l’hype per una delle notti più attese della stagione doppiava (ameno) quello che accompagnava un artista ancora circoscritto al circuito dell’underground. Parliamo di nove anni fa, ma il suo set è ancora ben impresso nella mia corteccia cerebrale: sì, suonò alcune delle hit di quella stagione (“Mouth To Mouth” e il remix di Ricardo Villalobos di “The Sinner In Me”), ma a lasciarmi a bocca aperta fu la padronanza con cui gestiva il suo set, alterando avventurose acapella a dischi che era possibile ascoltare solo se estratti dalla sua borsa. Il tutto tenendo costantemente su tre canali dell’Allen & Heath X:One 62.
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Era il 2006, avevo alle spalle un’esperienza davvero risibile (oltre a una cultura musicale di cui non potevo certo vantarmi), eppure ero già certo d’avere davanti ai miei occhi un autentico fenomeno. A voler considerare quella notte come lo spartiacque della nostra storia, è doveroso ricordare come prima di quel dj set fossero già uscite alcune delle cose più alte, vibranti e rappresentative dell’intero catalogo Cadenza, la sua meravigliosa piattaforma: stiamo parlando dei sui remix di “Yamore”, di “Orange Mistake”, “Bombero’s”, “Amael” e “Father”, lavori divenuti immediatamente classici grazie agli entusiastici feedback ottenuti dal pubblico ibizenco, che lo aveva conosciuto prima per le sue esibizioni ai party Cocoon e poi finisce per innamorarsene a seguito della nomina a resident del Circoloco, a partire proprio dall’estate del 2006.
Se a tutto questo aggiungete la meraviglia di “Blind Behaviour” su Peacefrog Records, i giovanissimi quattro EP su Mental Groove (tra cui l’indimenticabile “Amelie On Ice”), il remix per “Love Dose” di Argy e i Perlon “Alpine Rocket” (con Mathew Johnson) e “Fourges Et Sabres”, capite bene come ormai Luciano fosse pronto a sedersi a giocare al tavolo dei grandi, quello degli artisti in grado di cambiare per sempre il ruolo sociale del dj.
Di qui in avanti la storia è infatti un susseguirsi di soddisfazioni: il Circoloco si impone a realtà mondiale del clubbing entertaiment, riuscendo nell’invidiabile impresa di trasformarsi in marchio vincente pur mantenendo inalterata la qualità e l’identità delle proprie feste, e Luciano segue a ruota la carovana, vestendo spesso e volentieri i panni del protagonista. Fino all’estate del 2009 vive delle stagioni degne del Milan di Sacchi: il Fabric di Londra lo vuole per la compilation numero quarantuno del suo catalogo, remixa “Gettin Late” dei Los Updates e l’intramontabile “Good Love” degli Inner City, si diverte a suonare/stampare bootleg e gira il mondo esportando il suono della sua label e presenziando in alcuni dei festival di maggior prestigio del pianeta.
È proprio uno di questi a certificare come le carte in tavola siano ormai definitivamente stravolte: il Time Warp del 2009. Ricordo ancora quando un mio amico, un noto dj italiano, mi parlò del suo dj set come uno show capace di mettere da parte, in un colpo solo e senza possibilità di replica, quelli di Ricardo Villalobos, Marco Carola, Loco Dice e Richie Hawtin, nonostante quest’ultimo abbia tentato nuovamente la carta “Yeke Yeke” dopo i devastanti esiti dell’anno precedente. È un Luciano diverso, tuttavia, un artista che ha stravolto radicalmente il suo setup, diventando uno dei testimonial di Native Instruments, e che ha già provato sulla sua pelle cosa vuol dire essere al timone di un party tutto suo. I suoi “Luciano & Friends” all’Ushuaïa (la versione primordiale del maxi-complesso che sorge ora a Playa d’en Bossa), inaugurati l’anno prima, quando il giro di vite dell’amministazione locale ha privato Ibiza dei suoi after, sono stati un successo e sono maturi i tempi per un format che lo rappresenti al 100%: il cileno è pronto ad inaugurare la prima stagione di Vagabundos.
Siamo giunti all’estate del 2010 e il Circoloco è ormai alle spalle. Posso serenamente confessare che, complice il completamento di quel processo che ha visto Luciano abbandonare rapidamente i giradischi a favore di Traktor con i vinili in timecode, prima, e poi del doppio controller, questi sono gli anni della sua carriera che mi entusiasmano meno. E non c’entrano nulla i sempre più frequenti (e forzati) mash-up proposti durante i suoi set, tra cui “Conga” di Gloria Estefan e “Wonderful Life” di Black, piuttosto il progressivo abbandono di quello spirito gitano, coerente e (perché no?) romantico che aveva contraddistinto il suo inizio di carriera e che lasciò il segno in quella notte di settembre al Goa.
Forse è stata l’introduzione massiva della tecnologia o forse è stato il dover sottostare a quelle regole di business con cui tutti quelli che riescono a crescere in questo modo devono prima o poi misurarsi, fatto sta che veder suonare Luciano alla Boiler Room in Svizzera – e riscoprirlo ancora capace di certe cose – ha fatto un po’ male, nonostante ci lasci la consapevolezza che i nostri eroi dj, che lo vogliano o meno, restano tali vita natural durante.