Ormai da più di due anni Soundwall ospita la rubrica OST, che da dicembre del 2014 si è anche guadagnata la suddivisione in Cinema e Serie Tv. Nasce così OSTSeries, spazio interamente dedicato alle colonne sonore delle ormai tanto “hype” serie per il piccolo scherma, alcune delle quali nulla hanno da invidiare alle pellicole destinate alle sale. Per me la colonna sonora è il sangue che scorre nelle vene di un film e il nostro OST resta sempre quella passeggiata dentro un’immagine e la sua canzone. Visto la duplice anima della rubrica, ho composto un podio per cinema e serie tv: ho premiato suoni, rumori, canzoni e compositori.
OST
Youth
Che per Sorrentino la colonna sonora dei suoi film sia fondamentale è cosa appurata. Metto le mani avanti, però: ha fatto indubbiamente di meglio, per quanto mi riguarda Le Conseguenze dell’Amore sono impareggiabili musicalmente. Detto questo, il commento musicale di Youth vince. Nonostante io sia un amante del buon Paolo, non posso dire la stessa cosa per quanto riguarda il film, la peculiare cifra stilistica didascalica, qui raggiunge livelli a tratti leggermente inappropriati. Ma questa è un’altra storia.
Torniamo alle musiche. Su tutti: Mark Kozelek aka Sun Kill Moon. C’era da aspettarselo. Il cantautore americano – famoso per la sua proverbiale antipatia – calza come un guanto di cuoio stretto ad un volante di una bella macchina.
Paloma Faith, che oltre a marchiare la colonna sonora, firma anche il cast, The Retrosettes Sister Band, che si guadagnano i primi due minuti di film da protagonisti, a tutti gli effetti. Ancora, la struggente The Breeze/My Baby Cries di Bill Callahan e altre chicche messe al punto giusto. Perché sta proprio qui la bravura, riuscire ad inserire canzoni che comunemente potrebbero sembrare quantomeno poco appetibili – mettiamola così – su scene tanto perfette da rendere perfette quelle stesse canzoni. Vi ricordate “A far l’amore comincia tu” remixata da Sinclair nella scena della festa ne “La Grande Bellezza”? Ecco, in Youth c’è qualcosa di simile con protagonista David Guetta.
E poi, evitando lo spoiler, butto lì due parole: Simple Song.
Mad Max: Fury Road
Junkie XL non è nuovo alle colonne sonore, quantomeno non è un novellino. Solo quest’anno ha firmato ‘Deadpool’ di Tim Miller, in uscita per il 2016, il ‘Point Break’ di Ericson Core, ‘Run All Night’ di Jaume Collet-Serra e, per l’appunto, l’attualissima e applauditissima dal pubblico rivisitazione del celebre Mad Max. E’ invece navigato sulle colonne sonore dei videogiochi. Carriera iniziata nel 1995 con il popolare Need For Speed e che si è fermata al 2008. Due anni dopo passa ai lungometraggi. Le ventisei tracce di Mad Max: Fury Road’ hanno poco da invidiare a marinai ben più esperti di lui. Intuisce la necessità – probabilmente banale – di mantenere un mood cupo, capace però di restare saldo agli scenari desertici del film. Sonorità elettriche e metalliche. Inferno in musica. Crudeltà di una civiltà che ha smesso di essere.
A questo punto due parole finali anche su questo film. Due parole mie che con Mad Max ci sono cresciuto e che l’ho amato e che ha cambiato non solo la mia concezione rispetto ad un certo tipo di cinema e letteratura, ma anche rispetto alle mie preferenze di un mondo che c’è e poi non c’è più. Così.
Bone Tomahawk
Io sono uno dei pochi che non si addormentava, quando mio padre guardava Sergio Leone, Sam Peckinpah e tutto quel filone western e spaghetti western che andava tanto di moda ai tempi. Parlo del sottoscritto in un’età compresa tra i 10 e i 12 anni. Una cosa del genere. Poi sono uno che viene particolarmente affascinato dagli archi. Mi viene in mente il buon Warren Ellis in compagnia di Nick Cave al timone della colonna sonora dell’adattamento cinematografico del ‘The Road’ di Cormac McCarthy. Questo per introdurre l’ottima colonna sonora dell’eccelso Bone Tomahawk del regista esordiente S. Craig Zahler. Diciamo che il film è sì un Western, ma piuttosto particolare. La componente horror è evidente. Una tribù di indiani dediti al cannibalismo, prende l’abitudine di rapire gli abitanti della cittadina Bright Hope. Lo sceriffo, interpretato da Kurt Russell, raduna un manipolo di eroi/antieroi e si mette sulle tracce della terribile tribù. Chiaramente ne viene fuori un bel casino.
La colonna sonora è composta da Jeff Herriott e lo stesso S.Craig Zahler, che in accoppiata riescono a tirare fuori ciò di cui ha davvero bisogno un film del genere e, lo dico spesso, non è così scontato. Fiumi di violini, lande desolate e polverose, ove ogni cosa viene accarezzata, per poi essere divorata. Perché ciò che non batte e vibra, scorre. E ciò che scorre riesce ad insinuarsi ovunque, nei recessi più reconditi di ogni cosa.
OST Series
The Knick (second season)
Qualche settimana fa il collega Matteo Cavicchia mi scriveva, in riferimento al mio OSTSeries dedicato alla prima stagione di The Knick: “La seconda stagione è meglio della prima”. La mia risposta è stata: “Concordo a pieno”. Lui è Cliff Martinez, uno che non ha bisogno di presentazioni. Recensendo il suo lavoro per la prima stagione, dicevo che Martinez riesce a forgiare il suo genio nei buchi. Con “buchi” intendo i momenti dove la musica non c’è, dove non può passare e invece passa lo stesso, tra le immagini e ciò che le tiene legate tra loro. Sono i momenti. Nella seconda stagione di The Knick, Martinez quei buchi li lascia liberi. Le composizioni, basate sullo stesso concetto, si scoprono, come scheletri, come cicatrici, e restano aperte, senza seccarsi mai. Vittoria a mani basse. Onesto.
Mr. Robot
Mr. Robot è un serie tv ideata da Sam Esmail, che ripercorre le vicende di un giovane ingegnere informatico sociofobico e tossico. Aggiungici che è un hacker e uno stalker, due cose che vanno spesso a braccetto. La colonna sonora originale è composta da Mac Quayle, autore anche delle musiche della quarta stagione di American Horror Story: Freak Show, per la quale si è guadagnato la nomination agli Emmy. Per poter spiegare le composizioni di Mr. Robot, serie che, a mio avviso, è riuscita a metà, per tutta una serie di motivi legati ad un finale di stagione non all’altezza, mi rifarò ad una minima parte della terminologia riguardante individui sociofobici e tossici: ansia sociale, delirio paranoico, allucinazione, depressione, dipendenza, ansia, problemi di relazione. Paura. Ecco, prendete il tutto e trasportatelo nelle composizioni di Quayle. E’ la miglior spiegazione alla colonna sonora. Dark ambient, per i sofisticati.
Fargo (second season)
Medaglia di bronzo per la seconda stagione di Fargo, serie tv ispirata al capolavoro cinematografico dei fratelli Coen. La prima stagione aveva segnato indelebilmente l’anno 2014: Premio miglior miniserie sia per gli Emmy Awards 2014, sia per il Golden Globe 2015, migliore attore protagonista in una miniserie sempre per il Golden Globe 2015. Con la Season 2, l’ideatore Noah Hawley, mantiene le aspettative. Le vicende sono ambientate negli anni 70, con chiari riferimenti temporali alla prima stagione. Questo per arrivare alla colonna sonora che, di conseguenza, richiama quel periodo storico musicale. Tra grottesche vicende che vedono implicati, e la poco credibile lotta tra il bene e il male nella provincia americana, spiccano nomi che hanno lasciato il segno nella storia della musica, come Billy Thorpe, Creedence Clearwater Revival, Dr. Hook and the Medecine Show, Bobby Womack, Jeff Wayne e altre perle targate seventies. Spazio anche a gente come Bon Iver, Josè Feliciano e i Devo. Per dire.