Prima di raccontarvi nel dettaglio lo spettacolo dell’A State of Trance Festival, a cui non riusciamo proprio ad abituarci, ci sembra doveroso, per quanto spiacevole, dedicare una piccola parentesi a quanto successo sabato sera a Paul van Dyk. Paul è uno di quelli che quando suonano, sono sempre presi benissimo. Chiunque abbia avuto modo di assistere ad anche solo uno dei suoi live set sa bene quanto sia emotivamente connesso con le persone che si trova davanti, e di quanto entusiasmo e quanta energia sia in grado di trasmettere al pubblico, attraverso la musica, ma anche attraverso l’euforica gestualità a cui quelli come lui non riescono proprio a dare un freno. Sabato notte, una manciata di minuti dopo l’inizio della sua esibizione nel Main Stage, Paul è salito in piedi sul ripiano della consolle per salutare la folla festante, ed è da lì che è caduto, non essendosi accorto del vano che separava il palco dal resto della scenografia. Un volo di circa quattro metri, che ovviamente ha causato l’immediata interruzione del set e il trasporto d’urgenza in ospedale, dove, al momento in cui scriviamo, è ancora tenuto sotto osservazione da parte dei medici, se pur, stando alle ultime comunicazioni pubblicate, in condizioni stabili. Oltre allo spavento e allo smarrimento che abbiamo provato vedendo la scena dalla pista, rimane anche il grande rammarico per la cancellazione dell’attesissimo vinyl set di Armin van Buuren, che ha comprensibilmente scelto di annullare la sua seconda esibizione in segno di rispetto. In attesa di ulteriori aggiornamenti, che dovrebbero giungere nel fine settimana, ci uniamo agli auguri di pronta guarigione provenienti da tutta la comunità dance.
Ora, veniamo alle note positive. L’edizione 2016 dell’A State of Trance Festival, anche se da un paio d’anni a questa parte ha escluso la numerazione dalla denominazione ufficiale, di fatto celebra la puntata numero 750 dell’omonimo radioshow di Armin van Buuren. 750 puntate, diviso 52 settimane annue, fanno esattamente 15 anni, che in un’epoca di meteore e di musica usa e getta, insomma, non è proprio come dirlo. Nonostante le deviazioni verso stili differenti, quindi, Armin, l’ASOT e la trance si confermano legati da un vincolo indissolubile, come indissolubile è il legame con gli appassionati del genere, un vero e proprio zoccolo duro mosso da una fede incrollabile. Una fanbase che non conosce età, a giudicare dalla solita, nutrita presenza di simpatici e scatenati over 50, che finora ci è capitato di vedere solo in terra olandese.
Al primo impatto, la produzione, per quanto curatissima, ci sembra leggermente meno sfarzosa delle precedenti edizioni: ad eccezione del Main Stage, che quest’anno stupisce con dei pannelli di ledwall rettangolari che si sporgono sul soffitto fin quasi a metà della sala, gli allestimenti dei palchi sono tutti piuttosto semplici e lineari, mentre i line array L-Acoustics garantiscono un ascolto impeccabile in ogni angolo di ogni sala. Gli spazi sono calibrati alla perfezione, in modo da garantire una logistica efficiente e da accogliere comodamente tutti i 30.000 spettatori previsti. Notiamo subito che la sala “Who’s afraid of 138?!” è stata ulteriormente ridotta rispetto agli anni scorsi (al suo debutto, nel 2014, occupava una superficie pari a quella del Main Stage, e forse, effettivamente risultava eccessiva), e che l’area “15 Years and counting” appare leggermente sovradimensionata, probabilmente a fronte di più rosee previsioni di affluenza. Ciò che conta è che si balla comodi in tutte e quattro le sale anche nei momenti di maggiore piena, anche se per coprire le enormi distanze interne dello Jaarbeurs servirebbe un motorino. In line up, il giusto equilibrio di nomi grossi, mostri sacri (vedi alle voci Cosmic Gate, Rank1, Lange, eccetera, tutta gente non di primo pelo, ma che dimostra di essere ancora in grande spolvero), e talenti più o meno emergenti, da Protoculture a Willem de Roo. Le timetables seguono un ordine più che logico, in modo che allo spettatore rimanga solo l’imbarazzo della scelta. Se proprio dovessimo trovare qualcosa su cui puntare il dito, forse la proporzione di artisti Armada, per quanto comprensibilmente alta in un festival praticamente organizzato dalla label stessa, potrebbe essere rivista in favore di una maggiore varietà di stili, ma si tratta proprio di voler cercare a tutti i costi un minuscolo pelo nell’uovo.
Entro mezz’ora dall’apertura dei cancelli, tutte le sale sono già discretamente popolate: ci scaldiamo con i beat morbidi e progressive di Ruben De Ronde e Rodg, mentre chi preferisce andare dritto al sodo può godersi un ottimo Ferry Tayle esaltare la 138 a colpi di uplifting e pure trance. Anche Khomha sembra decisamente a suo agio sul palco principale, si diverte e fa divertire, con un set energico e dai ritmi serrati, condito da svariati edit e mashup che in queste occasioni ottengono sempre ottimi riscontri. Rimbalzando tra uno stage e l’altro, indugiamo qualche minuto sul Radio Dome, uno spazio nel cuore dello Jaarbeurs adibito a studio/silent disco, dal quale Armin trasmette in diretta per le oltre trenta stazioni collegate da tutto il mondo, ricordandoci da dove tutto ciò è nato, e quale ruolo fondamentale ricopra tutt’oggi il mezzo radiofonico, FM o digitale che sia, nella diffusione della musica a livello globale.
Nonostante la significativa riduzione di spazi di cui sopra, la “Who’s Afraid of 138?!”, quest’anno fortemente votata alla psy, si conferma, in proporzione, la sala più gettonata, grazie alle ottime performance di tutti gli artisti in scaletta: menzioni speciali le meritano un Jordan Suckley funambolico, un acclamatissimo Bryan “Fucking” Kearney, sempre più sulla cresta dell’onda, e i Vini Vici, duo israeliano venuto alla ribalta per essere stati i primi artisti psy trance ad aver conquistato la seconda posizione nella main chart di Beatport, con il poderoso remix di “Free Tibet”, che non a caso è stata una delle tracce più suonate ed apprezzate di tutto il festival. Da segnalare, inoltre, gli ottimi set del padrone di casa van Buuren, dei sempre verdi Cosmic Gate, e di un sorprendente Gareth Emery, tra i migliori che abbiamo ascoltato, capace di inaspettate incursioni uplifting, e in generale, di un set variegato ed emotivamente molto carico. Impossibile non citare poi il “Celebration Moment”, un quarto d’ora a ridosso del set di Armin, in cui tale Jack, insospettabile signore originario della Pennsylvania da sempre autore dei VoiceOver del radioshow, accompagna con un discorso evocativo una sorta di Megamix delle tracce più significative dei 15 anni di storia del programma, provocando ben più di un tuffo nella memoria.
Azzeccatissimo, dunque, lo statement “15 Years and counting”, perché se da un lato è sempre piacevole guardarsi alle spalle, ed importante per ricordarci da dove veniamo, dall’altro, quel “and counting” fa pensare che nessuno, qui, abbia la minima intenzione di fermarsi. Ed è proprio questa l’aria che si è respirata all’ASOT di Utrecht, sia dalla pista, che parlando con i dj’s. La sensazione generale è quella che sì, guarda quante cose belle ha fatto la trance nella sua storia, ma hey, guai a pensare che sia finita qui!