Nuovo appuntamento con le interviste ai personaggi chiave che si celano “dietro” le etichette musicali – se vi siete persi le puntate precedenti cliccate qui – per scoprire le scelte artistiche che muovono alcune tra le migliori realtà italiane ed internazionali in ambito elettronico. In questa puntata abbiamo incontrato Edoardo Fracassi (manager e sound engineer), Simone Brillarelli (direttore artistico) e Niccolò Brighella (responsabile della comunicazione) che sono il cuore dell’italianissima Fresh Yo! Label, quella per intenderci che recentemente ha tirato fuori i dischi, bellissimi, di Go Dugong e Godblesscomputers, ma attenzione, tutto il catalogo è da recuperare perché di passi falsi, a ben vedere, non ne è stato fatto nessuno.
Com’è nata l’idea, nel 2010, di tirar su la Fresh Yo! Label? Se non sbaglio inizialmente c’era un pizzico di Svezia dentro.
Fresh Yo! Label nasce da un’idea di due amici, Simone Brillarelli e Suzywan (lei sarebbe la parte svedese della storia) che condividevano la voglia di promuovere tutta una serie di sonorità, all’epoca emergenti, che potremmo genericamente inserire nell’universo del beatmaking, in tutte le sue declinazioni. Da qui le prime compilation a base di skwee (un particolare mix sonoro ndr) ed i lavori di producers come Colossius e Digi Galessio, che hanno segnato la prima fase di Fresh Yo! e piu in generale, e con un po’ di orgoglio, anche della new wave elettronica italiana. Suzy ha poi preferito dedicarsi ad altro, lasciando in mano a noi la label.
Attraverso la Fresh Yo! Label proponete sonorità abbastanza varie – semplificando direi elettronica dal cuore hip hop e tutto ciò che ci può ruotare intorno – eppure rimanete un’etichetta dal suono ben riconoscibile. Si ha l’idea di grande famiglia composta da artisti che si stimano e collaborano, se non a livello concreto, almeno da punto di vista delle influenze. E’ davvero così?
Sicuramente gran parte degli artisti che gravitano attorno a Fresh Yo! hanno in comune una passione sfrenata per la black music (così metto tutti d’accordo) e vengono da background spesso simili. Il collante principale a livello umano e artistico abbiamo però cercato di costruirlo con i nostri eventi, durante i quali cerchiamo sempre di inserire l’ospite in un contesto molto variegato, dinamico e spesso caratterizzato da momenti di reale improvvisazione. In questo modo ciascuno ha avuto l’occasione di conoscere e apprezzare le capacità dell’altro, finendo spesso per collaborarci attivamente a livello di produzione. Il lavoro con i nostri artisti non si limita alla release fine a se stessa. A noi non interessa collezionare nomi in un catalogo, ma costruire un rapporto virtuoso di lavoro con tutti i membri della squadra (o per lo meno tra quelli che hanno voglia di starci dietro) per cercare di fare ogni volta tutti un passettino in più in avanti.
Cosa vuol dire gestire un’etichetta oggi? Mi piacerebbe sapere com’è una vostra giornata tipo, come vi suddividete il lavoro.
Gestire un’etichetta oggi può voler dire tante cose. Noi stiamo quotidianamente imparando e cerchiamo di muoverci in uno stagno molto affollato e ricco anche di personaggi dal dubbio valore intellettuale, morale ed artistico. Fortunatamente, in una prima fase, non ci sono grossi interessi economici in ballo, quindi si tende a fare rete ed a rispettarsi. Ci si occupa molto degli aspetti artistici, anche se a quel livello dominano gli atteggiamenti adolescenziali e la professionalità latita. Ad esempio: ci sono persone che in piena produzione di un disco, non rispondono alle e-mail perché troppo oberati dalla preparazione degli esami universitari, altri convinti che gli uffici stampa siano delle associazioni a delinquere e che lavorare con le edizioni e la SIAE sia un insulto alla libera espressione e alla democratizzazione della musica. Tanta confusione, ma alla fine anche molte energie positive concentrate sulla questione più importante, la musica. Quando si mette la testa fuori da questo brodo di genuina irrazionalità, si comincia spesso a parlare di cose un po’ più noiose ed a scontrarsi con interessi economici, con commercialisti, fatture, leggi e tutta una serie di personaggi che sono fuori dal mondo della musica. Succede sempre quando si comincia a fare della propria passione un lavoro, ma è bello anche per questo. Ad oggi Fresh Yo! resta ancora una realtà emergente che, nell’ultimo anno, ha iniziato a strutturarsi un po’ di più ottenendo ottimi risultati e dotandosi di strumenti adeguati a sostenere delle produzioni quasi in totale autonomia. Tuttavia siamo solo in tre, quindi la nostra giornata tipo è sempre piuttosto piena e ci dividiamo il tempo tra il lavoro per l’etichetta e quello come liberi professionisti. Niccolò Brighella si occupa dell’organizzazione eventi e della comunicazione; io, Edoardo Fracassi, mi occupo del management e dell’assistenza tecnica alle produzioni dal punto di vista audio, condividendo la direzione artistica con Simone Brillarelli che, parallelamente, è supervisore di tutto il design dell’etichetta, creatore dell’estetica comunicativa e unico interlocutore con una figura a tratti mitologica quale Jonathan Calugi. Questi i ruoli, in linea di massima, ma quotidianamente la contingenza porta ciascuno ad occuparsi di problematiche trasversali alle proprie competenze.
Il vostro quartier generale è Firenze. E’ un buon posto per un’etichetta? Mi spiego meglio, per voi il posto dove lavorate è importante oppure ai tempi di internet un luogo vale l’altro.
Lavorare sul territorio è fondamentale. Internet è una bella invenzione, ma non ci sogniamo di farcela grazie ai like di SoundCloud. Firenze è la nostra città. Non è di sicuro un posto virtuoso dal punto di vista imprenditoriale per le attività più legate alla cultura contemporanea, e i fiorentini sono spesso un po’ troppo auto-referenziali e legati a quello che già è stato, ma ha un pregio: è una città che da secoli è immersa nel “bello” (nel senso filosofico del termine) e, fondamentalmente, è una città benestante, i cui abitanti si sono potuti permettere di raffinare i propri sensi o comunque hanno immagazzinato, per osmosi, secoli di arte e magnificenza, imparando a scegliere con gusto. Musicalmente Firenze è quindi una città molto preparata, amante delle avanguardie e sicuramente poco incline alle cose sempliciotte e volgari (a volte anche troppo!). Questo fa alzare il livello di chi produce i contenuti, ma anche del suo pubblico. La città è piena di musicisti molto in gamba e fucina di idee interessantissime. Quello che manca sono gli investimenti e un music business altrettanto illuminato che aiuti queste persone ad uscire dall’amatorialità ed a crearsi il know how per fare il salto di qualità.
Nella gestione della Fresh Yo! Label conta più la programmazione oppure l’istinto?
Direi un bilanciamento tra le due cose.
Quanto costa, mediamente, fare un disco? E poi sono anche incuriosito dal successivo processo di distribuzione.
Lasciamo perdere quelli che stanno in cameretta a fare dalla pre produzione al mastering, disegnandosi da soli anche la cover e facendosi realizzare un video dall’amico del cuore per poi distribuire il lavoro su SoundCloud in free download o per una label cecoslovacca che li sbatte su Juno e che incasserà 12 euro in un anno e tanti bei “mi piace” su FB. Quello è un processo più assimilabile al bricolage, che coinvolge raramente artisti veri e quasi mai offre vere possibilità di crescita, risucchiando invece tanti potenziali e talenti facendoli appassire lentamente nelle loro camere/studio. Una produzione di musica elettronica di un emergente può andare dai 500 alle 1.000 euro, ma è difficilmente quantificabile dato che, per quanto ci riguarda, tendiamo a internalizzare e svolgere una mole enorme di lavoro non retribuito nell’immediato. Gli artisti stessi possono inoltre decidere se spendere dei soldi per la produzione di tasca loro o impegnarsi per trovarsi degli sponsor o degli accordi di favore con videomakers, tecnici, etc, riducendo ancora di più l’impatto dei costi di produzione o post produzione. Se si comincia a parlare invece di album prodotti in maniera un po’ più professionale (mix e mastering) stampati su supporto fisico e promossi da un ufficio stampa, si va dai 3.000 ai 5.000 euro, fino ad arrivare intorno ai 10.000 euro si si realizzano dei video decenti e magari si vuole anche fare promozione all’estero. C’è poi chi spende tra i 20.000 ed i 50.000 euro e oltre ma quello è un business che non possiamo permetterci. La distribuzione è una cosa più noiosa. Funziona come la distribuzione di un qualsiasi altro bene e chi ci fa più soldi, soprattutto nel digitale, sono ovviamente quelli che stanno in mezzo alla catena, che aggregano centinaia o migliaia di titoli. Leggetevi quello che dice Steve Albini che ne sa molto più di noi (un buon approfondimento in merito lo trovate qui ndr).
Qual è il vostro rapporto con le altre etichette in Italia? Per esempio avete collaborato insieme alla 42 Records per l’uscita dell’album “NOVANTA” di Go Dugong.
Rapportarsi con le altre etichette è importante perché si impara comunque a vedere le cose da altri punti di vista ed a capire che uno stesso lavoro può essere svolto con successo in modi differenti. Avere a che fare con realtà più strutturate ed esperte di te, come La Tempesta Dischi e 42 Records, non può che insegnare ed essere prezioso. La cosa fondamentale è che ci sia il rispetto reciproco e la consapevolezza del valore aggiunto che ciascuno può dare, al di là delle questioni economiche.
C’è un osservatorio dove tenete d’occhio nuovi talenti? Mi piacerebbe sapere come riuscite a gestire la cosa, con la sovraesposizione musicale odierna.
Ascoltiamo periodicamente i demo che ci vengono inviati, cercando di rispondere a tutti. Generalmente, però, le nostre produzioni vengono realizzate con persone che in qualche modo conosciamo già personalmente e magari anche artisticamente. BeatCon è, ad esempio, un bel palco per valutare gli artisti emergenti. Abbiamo faticato molto per mettere in piedi questo evento, ma alla fine siamo riusciti ad aggregare attorno ad esso molte delle realtà che si occupano di musica elettronica (non-dance principalmente) e beatmaking, una marea di artisti e tanto pubblico. Si tratta di una sorta di fiera/convention di settore, volta a mettere in contatto artisti attivissimi nei social, ma che difficilmente hanno la possibilità di incontrarsi, dandogli modo di jammare tra loro, esibirsi, incontrare operatori di settore e seguire workshop.
C’è una scelta strategica che avete operato e che ha dato buoni frutti inaspettati?
Stampare anche in CD “Plush And Safe” di Godblesscomputers.
La controparte visiva dei vostri album è curata da Jonathan Calugi. Com’è nata questa collaborazione? Parlateci un po’ di lui.
Jonathan Calugi collabora con Simone Brillarelli fin dai tempi del progetto “A Smile For Timbuctu”, compagine nella quale militava Cristiano Crisci poi tramutatosi in Digi Galessio e successivamente in Clap Clap. Finire ad occuparsi anche dell’immaginario grafico di Fresh Yo! credo sia venuto quasi naturale. Spesso vedo una profonda continuità tra le due cose. Jonathan è una persona molto capace e talentuosa, con un’estetica molto personale e riconoscibile. Il valore aggiunto che dà alle nostre produzioni è altissimo. Non sempre possiamo impiegare il suo lavoro nella realizzazione degli artwork, ma siamo tutti d’accordo sul fatto che molti dei risultati ottenuti da Fresh Yo! siano anche merito di come Calugi ha saputo raccontare per immagini il nostro mondo.
Cinque brani per comprendere al meglio l’evoluzione della Fresh Yo! Label dal debutto ad oggi.
1) Saint Drone (leggersi “Sandrone”, geniale!) – Colossius & Digi Galessio (tratta da EP telefono casa – FY ! 008) perché può essere un buon punto di partenza;
2) Goodnight Song – Joel Swenson (tratta da An Unremarkable Pair Of Lungs – FY ! 011) perché esce dalla nostra routine ma racconta molto di FY!;
3) Per Fare – Biga + Milelemmi (tratta da Spazionauta E.P. FY! 021) perché Biga e Millelemmi sono gli artisti di casa che ci hanno aiutato ad arrivare fino a qui;
4) Clouds – Godblesscomputers (tratto da Plush and Safe FY! 036/LTI 023) perchè Plush And Safe è la produzione più ambiziosa con cui ci siamo confrontati;
5) Filho Da Guerra – Go Dugong (tratto da Novanta FY! 037 / 42 032) perché è dove siamo arrivati per adesso e rappresenta il mescolone di generi e mondi che Biga ci ha insegnato con i suoi dj set e proponiamo come base concettuale di tutto il nostro lavoro.
C’è un album in catalogo che credete non sia stato capito appieno dal pubblico e che secondo voi merita più attenzione?
Fermati O’ Sole di K-Conjog. Un disco bellissimo.
Come ne pensate del free download? Diverse produzioni possono essere scaricate gratis dal vostro sito.
Il free download è un buon mezzo per diffondere i contenuti e può andare bene, come ogni altra scelta di marketing. E’ una questione di strategia. Trovo assurdo e inutile il free download dogmatico, come scelta politica di contestazione del music business. Per noi, ovviamente, è sempre meno sostenibile dato che dobbiamo gratificare il lavoro di tutti quanto più possibile.
Programmi per il prossimo futuro? Magari potete svelarci qualche gustosa novità.
Dopo alcune produzioni belle impegnative torneremo ad occuparci di esordienti, con due EP molto belli, per poi, nella seconda metà del 2016, buttarci su due progetti molto interessanti che vi assicuriamo meritano molta attenzione.