Di documentari sulla musica elettronica ormai si è perso il conto: tantissimi i registi (o pseudo tali) che nel mondo hanno raccontato la nascita di techno ed house. Alcuni ci sono riusciti meglio di altri ma probabilmente oggi più che (ri)narrare cose già note sarebbe più fruttuoso ampliare lo sguardo ed affrontare tematiche nuove o approfondirle secondo punti di vista differenti dai soliti, per aggiungere qualcosa in più e non limitarsi ad allungare la solfa del “c’era una volta a Chicago, Detroit, Londra o Berlino…”. A tal proposito risulta particolarmente attrattivo il lavoro di Tero Vuorinen, il film-maker che ha diretto il documentario interamente incentrato sulla scena musicale della sua nazione, la Finlandia.
Quando si parla di techno, di house o di musica elettronica ad ampio raggio, la Finlandia è nominata di rado. Sono diversi i probabili motivi di ciò: l’ostilità del clima che la rendono turisticamente poco appetibile, la forte inclinazione rock/heavy metal e la scarsa rilevanza internazionale a livello pop. Oltre a Darude e Bomfunk MC’s (entrambi orchestrati da JS16) e il temporaneo successo dei The Rasmus, non si ricordano altre recenti hit finlandesi che abbiano valicato i confini nazionali. L’intento di Vuorinen è tracciare un profilo che possa accrescere la conoscenza del “sound of suomi” (riprendendo il titolo di una raccolta edita nel 2004 dall’olandese Bunker Records), e per fare ciò ovviamente non può che affidarsi ad alcuni dei protagonisti più importanti di un Paese che l’italiano medio nomina solo durante il periodo natalizio.
Il primo ad apparire nel video è, prevedibilmente, Mika Vainio dei Pan Sonic, che racconta l’avvicinamento alla musica, grazie ad un album degli Hurriganes, e le svariate esperienze tra cui una performance a Roma, insieme ai Suicide, definita come una delle migliori della carriera. Gli seguono altri due “pilastri”, Jimi Tenor e Jori Hulkkonen, pionieri di una scena che appare subito ricca e multisfaccettata.
Vuorinen aveva in mente questo progetto da tempo: «ho iniziato a lavorarci su a gennaio 2014 anche se l’idea risale a molto prima. Quindici anni or sono, quando frequentavo la scuola di regia, volevo già realizzare un documentario ma una serie di motivi me lo impedì. In seguito, quando iniziai a lavorare presso il KASI della Artlab Productions mi resi conto che il progetto poteva effettivamente essere realizzato. Prima di me c’è già stato qualche tentativo di affrontare la tematica della musica elettronica finlandese in un documentario, come ad esempio “Sähkö The Movie”, un VHS del 1995 diretto da Jimi Tenor che raccontava la storia della Sähkö Recordings e che è diventato un classico in tutto il mondo, ma credo che Machine Soul sia il primo ad affrontare la questione in modo globale. Ho iniziato a raccogliere le interviste di Vainio, Tenor ed Hulkkonen nell’estate 2014 e poi, in corso d’opera, ho valutato e deciso quali altri artisti coinvolgere continuando a girare sino alla fine dell’anno. Il lavoro di editing è partito a febbraio 2015 ma alcune interviste sono state realizzate successivamente. La première risale all’estate scorsa, quindi è servito un anno e mezzo per completare il tutto. Il budget era di circa 20.000 euro, una somma estremamente contenuta per la realizzazione di un documentario. L’unico fondo pubblico è giunto dalla MES, Finnish Music Foundation, ma per fortuna siamo riusciti a racimolare altro denaro grazie allo sponsor Genelec, al media partner Bassoradio ed alla campagna su Mesenaatti, la più importante piattaforma finlandese di crowdfunding. Per soddisfare appieno i sostenitori abbiamo realizzato anche un EP su vinile in edizione limitata, tshirt, portapass e borsa per i dischi».
La house e la techno sbarcano in Finlandia alla fine degli anni Ottanta, esattamente come accade in altre nazioni europee, ma non è il primo contatto con l’elettronica. Lì la musica delle macchine nasce già nei primi anni Sessanta con Erkki Kurenniemi, che si fabbricò da solo alcuni strumenti (la serie dei DIMI, DIgital Music Instrument) per generare particolari suoni. Non mancano immagini di repertorio che fanno rivivere un’autentica età di sperimentazione finalizzata a creare qualcosa che non si era mai ascoltato prima. Si può approfondire ulteriormente l’argomento su questa pagina o cercando il documentario del 2002 “The Future Is Not What It Used To Be”, diretto da Mika Taanila ed interamente dedicato a Kurenniemi, pioniere della musica elettronica, dell’informatica e della robotica.
Nelle storie di Vainio & co, quindi, non ci sono soltanto i Kraftwerk come “primi motori” di plurime esperienze. Molti degli artisti coinvolti, tra cui Hannu Ikola, Orkidea, Lil Tony, Irwin Berg, Samuli Kemppi e gli Acid Kings (con e senza maschera), dichiarano di essere stati attratti dai “suoni nuovi” grazie ad MTV (con Party Zone), programmi radiofonici attraverso cui registravano brani, e cassette scambiate sui banchi di scuola. Erano i tempi dell’invasione dell’acid house e della new beat belga, dei rave, di artisti come WestBam, Altern 8, LFO, Orbital e Culture Beat che piombarono sulla scena come veri e propri alieni. Quasi ogni disco sembrò in grado di aprire nuovi scenari e disegnare nuove traiettorie, quel tipo di cultura (o subcultura) giovanile da un lato spronò l’estetica del do it yourself (con etichette nate senza ambizioni commerciali come la citata Sähkö Recordings, la Dum Records, la Lumi, la Mind Records, la Sävel Recordings o le più recenti Ural 13 Records, Kostamus, Verdura, X0X Records, Harmönia, e Rikos Records) e dall’altro generò una egualità sul dancefloor. Ai rave non aveva valore il colore della pelle, l’orientamento sessuale o politico, il modo di abbigliarsi o l’appartenenza culturale. La techno, anche per i finlandesi, livellò tutto.
I primi anni Novanta furono quelli dell’assimilazione, in cui gli appassionati cercarono di diventare padroni della materia per poi “customizzarla” facendola propria e creando nuovi ibridi. Oltre al citato Vainio, che fonde magistralmente industrial, techno, dark ambient, noise e glitch, Vuorinen ospita Perttu Eino Häkkinen e Lupu Pitkänen. Il primo si dedica al restauro della synth disco nel progetto V.U.L.V.A. (memorabile il remix che Legowelt realizza per “White BMW” nel 2002) e del miami bass come Imatran Voima, ma nel 2006 riparte da solista nelle vesti di Randy Barracuda tenendo a battesimo, spalleggiato da Frans Carlqvist della Flogsta Danshall, il genere skweee. Il secondo invece si fa notare, tra la fine degli anni Novanta e i primissimi Duemila, nel duo Ural 13 Diktators, tra i primi a credere in una nuova vita della synthetic disco e dell’hi-nrg, finendo con l’essere accreditati tra gli iniziatori dell’electroclash quando questo termine ancora non esisteva. Ora Pitkänen è impegnato con Toni Aalto in Luputoni, nel recupero ed aggiornamento di stilemi french touch. Non da meno è Jori Hulkkonen, tra i pupilli della F Communications di Laurent Garnier e collegato, seppur per poco, con l’electroclash (era lui infatti lo Zyntherius che nel 2001 affiancò Tiga nella fortunata cover di “Sunglasses At Night” di Corey Hart). Insomma, i finlandesi hanno voce in capitolo anche se spesso sono presi sottogamba. «Credo che gli artisti finnici siano troppo timidi e non riescano a promuovere adeguatamente la loro musica, ma forse è anche la poca voglia di cedere alle esigenze commerciali a renderli distanti dai nomi più chiacchierati della scena. Comunque sia non credo di essere la persona più adatta a spiegare queste ragioni, sono solo un regista» dice Vuorinen.
Machine Soul si addentra anche negli studi dei protagonisti, pieni zeppi di macchine di altri tempi (il Korg MS-20 di Tenor ha quasi tutti i tasti rotti ma funziona ancora!), che però non vengono ostentate come cimeli-icone dietro cui leggere implicitamente particolari doti ma semplicemente mostrate come mezzi usati per esplorare l’immensità delle opzioni offerte dalla musica elettronica. La lista degli assenti (Bangkok Impact, Pauli Jylhänkangas, Sasse, Blastromen, Erkki Rautio, DJ Ender, Tatu Metsätähti – Mesak, Mr. Velcro Fastener -, Polytron, Vcs2600, Jaakko Eino Kalevi, Vladislav Delay, Op:l Bastards, Mono Junk) lascerebbe ipotizzare un secondo atto, ma il regista chiarisce: «mi sarebbe piaciuto molto coinvolgere tutti questi artisti, però mi interessava soprattutto offrire contenuti e non solo una gallery di nomi. Per questo motivo ho optato per coloro che avrebbero potuto raccontare una storia nella migliore delle maniere, ma ciò non vuol dire che non apprezzi gli artisti sopra menzionati. Kimmo Rapatti (Mono Junk, New York City Survivors) ha preferito non parlare di fronte alla telecamera ed ho rispettato la sua decisione, Sasu Ripatti (Vladislav Delay, Luomo, Uusitalo) invece era nella mia lista ma è stato l’unico che, rispettosamente, mi ha negato l’intervista».
Il dvd blu-ray è provvisto di sottotitoli in inglese ed oltre ai 65 minuti di Machine Soul racchiude pure l’appendice “Making Of” coi footage e scene scartate dal film. Attualmente è in vendita in via esclusiva su Mesenaatti. Ideale per approfondire le conoscenze sul suono nato tra le nevi, magari integrandolo alle letture rinvenibili su pHinnWeb, il database creato nella primavera del 1996 dal citato Erkki Rautio (Club Telex Noise Ensemble, Kompleksi) che raccoglie praticamente tutto quello che c’è da sapere sul “sound of suomi”.