Non ci è ancora chiaro se a rapirci è stata l’intuizione brillante di chiedere ad alcuni degli artisti più eclettici su piazza di raccontarsi tramite i propri brani preferiti (ed aver ricevuto il loro consenso!), obbligarli a realizzare una cover esclusiva per ogni mix o il racconto breve che chiude ogni selezione (spesso letto da personaggi noti e meno noti, a caso: Benedict Cumberbatch, Will Self e Brian Blessed).
Probabilmente quello che ha reso LateNightTales una delle compilation più amate è proprio questo insieme di particolarità, senza aggiungere che dal 2001 tra gli ospiti del suo catalogo si possono incrociare Jamiroquai, Flaming Lips, Arctic Monkeys, MGMT e tanti, tantissimi altri.
Ma non è stato così semplice: Another Late Night è infatti il nome con cui le compilation vengono nominate fino al 2003, dopo una serie di problemi legali arriva il nome LateNightTales con la compilation firmata dai Nightmares On Wax. Oltre ai tanti artisti che hanno contribuito, tra quelli che hanno declinato l’offerta ci sono David Bowie, Caribou e gli Arcade Fire.
Tra le figure chiave della serie c’è anche Bill Brewster che segue e consiglia il fondatore Paul Glancy dalla prima release, tanto da essersi meritato una serie tutta sua: After Dark.
Nonostante la prima release ufficiale è datata febbraio 2001 oggi festeggiamo questi quindici anni con i nostri LateNightTales preferiti. In attesa di scoprire chi firmerà la nostra prossima storia preferita.
Zero 7 [2002]
La partenza fu saporitissima: Fila Brazillia, Howie B, Rae&Christian. Ma è col quarto volume che “Another Late Night” (poi trasformata in “Late Night Tales”) raggiunse l’apice della classe nel disegnare l’incontro tra hip hop, soul, preziosità acustiche, vibre rilassate (…elettronica? Giusto pochissima). Anno 2002, protagonisti gli Zero 7, allora in forma sublime (e molto più famosi, all’epoca, di una delle loro coriste – una che poi fece una carriera, come dire?, discreta: Sia). – Damir Ivic
Jamiroquai [2003]
Se c’è una cosa che i “LateNightTales” ci hanno insegnato, negli anni, è dove nasca davvero il gusto di un artista: il tema della “tarda notte” ha sempre fatto in modo che i selezionatori tirassero fuori il proprio lato più personale e intimo, mostrando apertamente le proprie influenze meno immediate. La selezione di Jay Kay non fa eccezione: tutte le tracce della sua compilation suonano, in un modo o nell’altro, tantissimo “Jamiroquai”, e se artisti come Sister Sledge o Marvin Gaye sono immediatamente riconducibili al suo stile lo stesso non avremmo detto di Josè Feliciano o Patrice Rushen, eppure, sentendoli tutti assieme, è immediato capire quanto di tutti loro ci sia nei Jamiroquai. – Mattia Tommasone
Four Tet [2004]
OK, iperbole: LateNightTales è l’uovo di cui Spotify è gallina.
La versione 3D di un paradosso.
Quello di Four Tet venne pubblicato nel 2004: prima di YouTube, prima che diventasse naturale condividere le playlist dei musicisti famosi ma anche quelle degli sconosciuti della porta accanto.
Prima, soprattutto, che Kieran decidesse di diventare un re della pista da ballo, anche se la definizione di indietronica probabilmente gli andava stretta ormai già da un pezzo.
E meno male.
La parola d’ordine è eclettismo: nelle selezioni, nel gusto, nello spaziare senza soluzione di continuità tra storie di epoche molto lontane tra di loro. Dal jazz alla psichedelia, dall’hip hop al post rock. E poi folk, elettronica, micro loop.
In pratica in questa compilation c’è tutto il Four Tet che è stato e parte di quello che verrà.
Nel 2013 quelli di LateNightTales decisero di ristampare, a quanto pare senza consultare Kieran, la raccolta in vinile doppio deluxe. Lui si incazzò molto e per ripicca lo rese disponibile in free download cominciando di fatto la terza vita della sua ormai lunga epopea d’artista.
Contiene la cover realizzata dallo stesso Four Tet di Castles Made of Sand di Jimi Hendrix.
Se dovete partire da qualcosa, partite da quella. – Emiliano Colasanti
Belle & Sebastian [2006]
La band scozzese è di casa all’interno del catalogo, avendone firmate ben due di raccolte. Quella che vi consiglio di recuperare è la prima, del 2006, sì proprio quella che contiene “O My Friends You’ve Been Untrue To Me” di Demis Roussos, ma non allarmatevi, perché prima c’è RJDJ e subito dopo gli Stereolab. I Belle & Sebastian onorano il catalogo variopinto di influenze che è marchio di fabbrica della compilation e lo fa con una straordinaria capacità nell’accomunare suoni distantissimi eppure incredibilmente vicini. Il flusso sonoro che ne viene fuori ha tinte reggae-jazz-funk filtrate attraverso una sensibilità pop da primi della classe. – Maurizio Narciso
Groove Armada [2008]
C’è l’elettronica degli anni 80: quella dei Depeche Mode, Roxy Music, Human League, Cure. C’è il funk di chi ha fatto la storia (Marvin Gaye, Stevie Wonder) e un mix di generi di quelli che hanno contribuito a scriverla negli anni più recenti (Chris Rea, Midlake, Peter, Bjorn and John). C’è tutto in questo ventesimo LateNightTales che porta la firma di Andy Cato e Tom Findlay. Probabilmente non è il mixato da cui pescare gemme nascoste della musica contemporanea, ma è un percorso senza passi falsi, che soddisfa a pieno. È l’altra faccia di una medaglia (pubblicata nel 2002 quando la serie si chiamava ancora “Another Late Night”) che racconta in modo straordinario i Groove Armada. – Antonio Fatini
The Cinematic Orchestra [2010]
St Germain, Burial, Björk, Sebastian Tellier, Flying Lotus, Imogen Heap. Tutti insieme, tutti vicini. Potrebbe sembrare la Sagra dell’Ovvio, il tentativo di vincere a mani basse senza nemmeno versare una goccia di sudore, e invece i The Cinematic Orchestra riescono nell’impresa di creare un flusso musicale avvincente, coinvolgente e nient’affatto scontato. Non c’è la minima traccia di quell’appiattimento che troppe volte ha caratterizzato i LateNightTales di altri illustri colleghi (Jon Hopkins, ad esempio, vi dice qualcosa?): Jason Swinscoe e soci c’hanno regalato una perla bella e buona, una compilation bellissima oggi come cinque anni fa. – Matteo Cavicchia
After Dark [2013]
Quando si decide di mettere le chiavi del proprio “bolide” preferito in mano ad un pilota di grande esperienza come Bill Brewster, un’autentica enciclopedia della musica elettronica (e non), si ha la consapevolezza che il risultato potrebbe magari non soddisfare chi si attende la sperimentazione o l’avanguardia stilistica. Ma quel che un artista del genere è in grado peró di garantire è la quasi assoluta certezza di mettervi di fronte a diciotto tracce di cui non avrete mai sentito nemmeno nominare gli interpreti e che, con un retrogusto tipicamente downtempo e 80s oriented, vi porterà per mano, come il miglior Cicerone, in un viaggio attraverso la sua personalissima storia. – Federico Raconi
Bonobo [2013]
Il LateNightTales firmato da Simon Green ha la capacità di stupire anche il più scettico degli ascoltatori. Parte con il piano di “An Ending, A Beginning” e ci racconta Bonobo, disco dopo disco. È un viaggio attraverso sonorità diverse, tutte accomunate da un’unica caratteristica: la calma. Romare lascia il passo a Shlohmo e i BadBadNotGood non trovano nessuna difficoltà a farsi cullare dal jazz sognatore di Bill Evans. È un saliscendi di melodie perfetto che non cade mai nel banale, come non sono mai state banali le produzioni di chi ha sapientemente saputo accostare le diciannove tracce di questa raccolta. – Costanza Antoniella