Partiamo dalle basi: i BADBADNOTGOOD sono un trio avant-jazz di Toronto formato da Matthew Tavares (tastiere), Chester Hansen (basso) e Alexander Sowinski (batteria). Fanno jazz, che suona anche di hip-hop. E sono bravissimi nel farlo. Si sono conosciuti all’Humber College Jazz Program di Toronto nel 2010, e da subito hanno capito che dalla loro comune, e insana, passione per l’hip-hop poteva nascere qualcosa di buono. Mai intuizione fu più profetica! In sei anni hanno pubblicato altrettanti sei album: tre auto-prodotti, uno con Ghostface Killah per la Lex Records e gli altri due pubblicati dalla Innovative Leisure, etichetta di Los Angeles. Con un’eleganza d’altri tempi hanno rivisitato brani di artisti come J Dilla, Nas, Madlib, Earl Sweatshirt, Ol Dirty Bastard, Wiz Khalifa e Flying Lotus, tanto per dire che dai classici ai suoni più moderni non si pongono problemi nel rivedere qualsiasi declinazione del genere. Ma il nocciolo della loro musica è jazz al 100%. Autentico, bello e affascinante. Senza trucchi e senza inganni. Nonostante si siano fatti conoscere da relativamente poco, i BADBADNOTGOOD sono un punto di riferimento per gli appassionati di musica senza nessuna restrizione: sarebbe irragionevole cercare altre definizioni più specifiche. Loro semplicemente suonano, e sanno farlo spaventosamente bene. Se come ha detto Damir Ivic, la loro esibizione è stata una delle migliori del Sònar 2016, un motivo ci sarà – e potete leggerla in questo bell’articolo. Qui invece ho fatto delle domande ad Alex, il batterista, e lui mi ha risposto. Ne è venuta fuori un’intervista interessante che serve a tracciare il loro profilo di musicisti, fan dell’hip-hop ma semplicemente amanti della musica di ogni genere.
Iniziamo con una domanda anagrafica: come vi siete conosciuti e quando è partito il progetto BADBADNOTGOOD?
Ci siamo tutti conosciuti all’Humber College dove stavamo studiando musica. Ho incontrato casualmente Chester e Leland durante l’assegnazione dei ruoli e Matty tra le stanze parlando di musica rap. Abbiamo iniziato a jammare dopo le lezioni e alla fine abbiamo creato un medley di cover rap da inviare su YouTube. Dal nostro primo caricamento quello è stato essenzialmente l’inizio dei BADBADNOTGOOD.
Parliamo di “IV”, un album caleidoscopico per merito del vostro straordinario lavoro ma anche per i tanti featuring presenti all’interno: Kaytranada, Mick Jenkins, Samuel T. Herring, Colin Stetson e Charlotte Day Wilson. Come avete coordinato il lavoro per quest’album?
Praticamente siamo stati a scrivere e a registrare la musica dopo l’uscita di “Sour Soul”, cercando di trovare una motivazione nel fare le sessioni nel nostro studio di casa portando diversi collaboratori per vedere quello che avremmo potuto creare. Tutti i collaboratori elencati su “IV”, perché abbiamo fatto delle sessioni, ci hanno fatto venire un sacco di idee e alla fine abbiamo messo insieme i brani che sentivamo avessero potuto fare l’album. Queste adorabili persone sono tutti nostri amici, quindi fare musica e unire il nostro stile con il loro è stato estremamente divertente e piacevole!
Siete nati come una formazione jazz a tutti gli effetti, ma non avete mai fatto mistero del vostro amore per ogni declinazione della black music, dalla cover di “Electric Relaxation” degli A Tribe Called Quest a “Lemonade” dei Gucci Mane. D’altronde la vostra pagina Wikipedia recita “They are known for their interpretations of hip-hop tracks”. Non vi sta stretta questa definizione? Non è un po’ limitativa?
In realtà non pensiamo troppo alle descrizioni della nostra band. Abbiamo iniziato come un progetto di cover cercando un modo di suonare canzoni che non avevamo mai sentito prima in una configurazione improvvisata. Crescendo come musicisti e come persone abbiamo trovato un’infinita passione nello scrivere la nostra musica. Ci troviamo bene con la progressione della nostra band e, auspicabilmente, la pagina Wikipedia avrà più correzioni “sensate”.
Alla vigilia di “III”, primo LP di materiale originale e primo album per una label (Innovative Leisure Records), avevate dichiarato di voler tenere vivo lo spirito del jazz senza pretendere di rivitalizzarlo dalle radici. Com’è cambiato il vostro approccio da “BBNG” e “BBNG2” a “III” e a “Sour Soul” per finire con “IV” ? E questo approccio è stato mantenuto?
È divertente sentire citazioni o cose che possiamo aver detto e non ricordarcelo assolutamente, lol. Abbiamo sempre utilizzato lo stesso approccio per suonare i nostri strumenti dal vivo nella stessa stanza, lavorando a dei pezzi e trovando delle idee per le canzoni. Abbiamo continuamente cercato di cambiare il nostro approccio alla scrittura partendo da diversi modi per uscircene con gli accordi, le melodie e i groove. A volte si parte da uno di noi che suona un sintetizzatore per vedere se la patch del synth può ispirare alcuni accordi che suonano bene per noi. In “IV” abbiamo usato come abbiamo potuto diversi metodi di scrittura e di registrazione. Sia che fosse analogico o looppato digitalmente al computer.
Tornando indietro a “Sour Soul” e alla felice collaborazione con Ghostface Killah, com’è nato il disco? Chi ha contatto chi per primo?
“Sour Soul” era un progetto che ci ha portato il nostro caro amico Frank Dukes. Lui è un incredibile beat maker, produttore e compositore che ha fatto i beats per l’album “Apollo Kids” di Ghostface Killah e ha girato in tour con lui come dj. Frank Dukes stava componendo le sue canzoni e le sue strumentali e ci ha invitato a registrare a New York ai Dunham Studios, sede della Menahan Street Band. Ci siamo scambiati le canzoni e le idee con Frank Dukes e Ghostface Killah via email, e abbiamo incontrato Ghostaface Killah mentre stavamo suonando dal vivo. Dopo tre anni di lavoro sull’album e aver trovato una label come la Lex Records l’album è stato terminato!
Sempre parlando di “Sour Soul”, un album rap suonato da strumenti è sempre una bella sfida: qui la composizione degli arrangiamenti è tanto immediata quanto coerente e precisa grazie alla vostra volontà di evolvervi come musicisti e alla produzione di Frank Dukes. Com’è stato lavorare con Ghostface Killah e Frank Dukes? E quanto vi siete evoluti per questo disco?
Lavorare con loro è formidabile. L’album è partito prima ancora che noi avessimo scritto o registrato “III”, quindi il processo per creare le strumentali per rappers o pezzi strumentali per noi è cresciuto tanto. Essere nei Dunham Studios è stata una sensazione intimidatoria anche perché guardavamo quei musicisti dal basso verso alto. Ci siamo sentiti come se avessimo dovuto dare il meglio di noi stessi con delle buone registrazioni in studio e impegnandoci al massimo per farlo.
La maschera di maiale indossata da Alex mi ha sempre fatto pensare a un vostro certo scimmiottare MF Doom. Ci ho visto giusto? Vi è mai capitato di incontrare MF Doom?
La maschera di maiale era un espediente che ho iniziato ad usare quando abbiamo girato i video. Non gli ho dato troppo peso, ma come siamo cresciuti come gruppo ho deciso di non metterla da parte per gli show e per la nostra immagine. In verità noi abbiamo realmente incontrato MF Doom e anche suonato insieme a Londra, Inghilterra. Lungo la strada verso la venue stavo leggendo un articolo di Frank151 su MF Doom, la sua storia con la sua maschera e sull’essere il ”cattivo” dell’hip-hop. Questo mi ha fatto capire che la maschera di maiale non rispecchiava onestamente la nostra band e che era tempo di andare avanti.
Ho sempre considerato il mondo jazz come un ambiente iper purista che snobba tutto ciò che non si avvicina ai suoi interessi. E invece voi siete l’esempio evidente di come due ambienti musicali, in questo caso jazz e hip-hop, possano felicemente stare insieme. Cosa ne pensate della unione tra questi due generi? Alla fine la matrice alla base è al 100% black.
Non ci siamo mai concentrati su un genere soltanto. Fortunatamente viviamo in un tempo fortemente influenzato da internet che consente a tutti di avere accesso alla musica di molte generazioni e di tutto il mondo. Questo ha portato a molti gruppi musicali attuali, tra cui noi stessi, ad avere un’influenza molto più ampia e ci ha permesso di sfidare qualsiasi confine di genere. Stiamo cercando di apprendere tutta la musica e l’arte possibile per influenzare ciò che creiamo. Per quanto riguarda la storia dei due generi ci sono sempre stati un sacco di incroci a causa delle qualità espressive della musica che abbiamo unito, ma non mi sento limitato a lavorare esclusivamente all’interno di questi generi.
Che cosa consigliereste come punto di partenza per chi è interessato al jazz?
Recentemente ci sono stati un sacco di elementi provenienti dalla musica jazz che hanno reso la sua strada più accessibile a persone che non erano già familiari con il jazz. Persone come Kendrick Lamar, Robert Glasper, Kamasi Washington e l’intera famiglia Brainfeeder hanno portato il jazz a molte più persone. “Kind of Blue” di Miles Davis è un gran disco per ascoltare un bel jazz modale ed è anche un album che è in sintonia con le persone di tutto il mondo fin dalla sua uscita. Se potessimo far dare a qualcuno uno sguardo più attento tra i dischi saremmo andati su “Out To Lunch” di Eric Dolphy, l’album omonimo di Steve Kuhn e forse uno dei tanti incredibili album di Sun Ra.
Come sono sviluppate le canzoni in un vostro show? Vedete più improvvisazione su un palco o in studio?
Le nostre canzoni si sviluppano in base a quanto sempre di più le suoniamo, ne acquistiamo confidenza creando un’energia per improvvisarci sopra ed esprimerci tramite loro. Cambiano con il tempo, le dinamiche e le sensazioni in ogni spettacolo che suoniamo. Improvvisare dal vivo e in studio sono due bestie totalmente differenti. Dal vivo c’è una tale presenza del momento che non ti puoi guardare indietro e bisogna solamente andare avanti seguendo la sensazione che si ha, invece in studio è molto più facile essere meticolosi e concentrarsi su come ottenere un assolo o un’atmosfera sentendoci una band il più forte possibile.
Avete lavorato canzoni come “Seasons” dei Future Islands e “You Made Me Realise” dei My Bloody Valentine, che appartengono a uno spettro musicale distante anni luce dal vostro. Come lavorate quando c’è da fare una nuova cover? Quand’è che capite che siete sulla strada giusta per tradurre la versione originale nella vostra visione?
In sostanza si tratta di provare nuove idee e se portano da qualche parte possiamo costruire una canzone o un remix da seguire. Il remix di “Seasons” era qualcosa che non eravamo sicuri stava andando o stava suonando come volevamo, ma è venuto fuori abbastanza bene. Il prodotto finale di uno sforzo non è sempre qualcosa di cui siamo orgogliosi o che rilasceremo ma non si sa mai a meno che non si tenta.
Parlando del rework di “Fall In Love” di J Dilla, è stato uno dei vostri primi esperimenti tra avant-jazz e hip-hop, e devo dirvi che per me è un lavoro di una bellezza inaudita. Penso che ogni fan della musica hip-hop deve avere una buona conoscenza della musica di J Dilla e del suo enorme peso culturale che ha avuto negli ultimi 20 anni. Voi come avete vissuto questo rapporto con J Dilla?
Siamo tutti fan di J Dilla e quando di solito stavamo collezionando le registrazioni (BBNG1 / BBNG2) pensavamo solamente a canzoni che tutti noi conoscevamo e provavamo a suonarci di sopra. Lui è un incredibile creativo nella musica e nell’hiphop, che ha ispirato così tanta musica che possiamo sempre tornare indietro e rivisitare alcune dei suoi incredibili lavori e rimanerci in contatto.
Adesso cosa avete in programma?
Solamente entrare in studio il più possibile e rimanere in buona salute e di spirito. La strada degli spettacoli è faticosa e noi troviamo un grande equilibrio nella creazione di nuova musica. Abbiamo anche in programma di allenarci per delle maratone da 10, forse 15 km, imparare nuovi strumenti e trovare album ancora più belli.
Ultima domanda: che fine ha fatto la maschera da maiale?
In un armadio a rilassarsi.
ENGLISH VERSION
Let’s start with the basics: BADBADNOTGOOD is an avant-jazz trio from Toronto formed by Matthew Tavares (keyboards), Chester Hansen (bass) and Alexander Sowinski (drums). They do jazz, who also sounds hip hop. And they are very good in doing so. They met at the Humber College Jazz Program of Toronto in 2010, and immediately they realized that from their common, and insane, passion for hip-hop could come something good. Intuition was never more prophetic! In six years they have published other six albums: three self-produced, one with Ghostface Killah for Lex Records and the other two published by Innovative Leisure, a Los Angeles’s label. With an elegance of other times they have revisited songs from artists such as J Dilla, Nas, Madlib, Earl Sweatshirt, Ol Dirty Bastard, Wiz Khalifa and Flying Lotus, just to say that from the classics to more modern sounds they don’t pose problems in reviewing any variation of the genre. But the heart of their music is jazz at 100%. Authentic, beautiful and charming. Without tricks and without cheating. Even they are known relatively in short time, BADBADNOTGOOD are a reference point for music lovers with no restrictions: it would be unreasonable to look for other more specific definitions. They just play, and know how to do insanely good. If as said Damir Ivic, their performance was one of the best at the Sònar 2016, there is a reason – and you can read it in this nice article. But here I made some questions to Alex, the drummer, and he answered me. What has emerged is an interesting interview that serves to draw their profiles as musicians, hip-hop fanst but simply music lovers of all kinds.
Let start with a registry question: how did you met and when the BADBADNOTGOOD project has started?
We all met at Humber College where we we’re studying music. I met Chester and Leland in performance assignment randomly and Matty in the halls talking about rap music. We started jamming after class and eventually put together a medley of rap covers and sent it up to the YouTube portal. From our first video upload was essentially the start of BADBADNOTGOOD.
Let’s talk about “IV“, a kaleidoscopic album for your extraordinary work, but also for the many featuring inside: Kaytranada, Mick Jenkins, Samuel T. Herring, Colin Stetson and Charlotte Day Wilson. How have you coordinated the work for this album?
We had basically been writing and recording music post the release of ‘Sour Soul’ and really finding a love for doing sessions in our own home studio bringing in different collaborators and seeing what we could create. All the collaborators listed above our on “IV”, because we did sessions, making lots of different ideas and eventually compiling the tracks we felt could make the album. These lovely people are all our friends so making music and blending our style with theirs is a extremely fun and enjoyable time!
You born as a jazz outfit, but you never hidden your love for all kinds of black music, from A Tribe Called Quest’s “Electric Relaxation” edit to Gucci Mane’s “Lemonade”. Furthermore your Wikipedia page says “They are known for their interpretations of hip hop tracks”. Do you feel comfortable with this definition or it is a bit restrictive?
We don’t really think too much about descriptions of our band. We started as a cover project finding ways to play songs we had never heard before in a improvised setting. Growing as musicians and people we have found the endless love of writing our own music. We’re comfortable with the progression of our band and hopefully the Wikipedia page will get full of more “lit” dopiness.
On the eve of “III”, first album of original material and first album for a label (Innovative Leisure Records), you’ve said that you want to keep alive the spirit of jazz without insist on revitalize it from the roots. How has changed your approach from “BBNG” and “BBNG2” to “III” and “Sour Soul” and ending with “IV”? And this approach has been maintained?
It’s funny to hear quotes or things we may have said and totally don’t remember, lol. We have always used the approach of playing our instruments live in the same room crafting pieces and finding song ideas. We continuously try and change our approach to writing by starting with different ways to come up with chords, melodies and grooves. Sometimes we start by having one of us play on a synth to see if the synth patch can inspire some chords that sound good to us. On “IV” we used as many different approaches to writing and recording as we could. Whether it be all analog or looping digitally in the computer.
Going back to “Sour Soul” and the successful collaboration with Ghostface Killah, how the album come into the world? Who has contacted who first?
“Sour Soul” was a project brought to us by a good friend Frank Dukes. He is an incredible beat maker, producer, songwriter who had made beats for Ghostface Killah’s “Apollo Kids” album and toured with him as his live dj. Frank Dukes was getting into compositing his on own songs and instrumentals and invited us to record in New York at Dunham Studios home of the Menahan Street Band. We did the exchange of songs and ideas through Frank Dukes to Ghostface Killah via email and met Ghost half way through while playing live shows. After three years of working on the album and finding it a label home with Lex Records the album was done!
Always speaking about “Sour Soul”, a rap album played with real instruments is always a beautiful challenge: the arrangements’s composition is as immediate as consistent and precise thanks to your will to grow as musicians and also thanks to the production of Frank Dukes. How it was working with Ghostface Killah and Frank Dukes? And how much did you evolve for this record?
Working with those guys is amazing. The album started before we even wrote or recorded “III” so the process of creating instrumentals for rappers or instrumental pieces for ourselves has grown a lot. Being in Dunham Studios was such an intimidating feeling as we look up to those musicians highly. We felt like we had to really come through with some strong takes in the studio and put our best effort to do so.
Alex’s pig mask has always prompt me to think about mocking MF Doom. Am I right? Did you ever meet MF Doom?
The pig mask was a gimmick I started when we first made videos. Didn’t put much thought into it, but as we grew as a group I decided to not have it apart of the show or image. We actually did meet MF Doom and played a show together in London England. On the way there I had read the Frank151 issue about MF Doom and his story with his mask and being the “villain” in hiphop. That made me realize the pig mask wasn’t an honest piece of our band and it was time to move on.
I always considered the jazz environment as an hyper purist scene very reluctant to everything else that is not close to his interests. But you guys are the proof that these two different music scenes, jazz and hip-hop, can happily coexist. What do you guys think about the mixture between these two genres? At the end the jazz and hip-hop’s roots are 100% black.
We’ve never been focused on fitting into any sole genre. Fortunately we live in a time heavily influenced by the internet which allows everyone to have access to music from all over the world through many generations. This has led to many current musical acts including ourselves to have a much broader influence and allowed us to defy any genre boundaries. We are trying to discover as much music and art as we possibly can to influence the music we create. As far as the history of the two genres go there has always been a lot of cross over because of the expressive qualities of the music that we’ve latched on to but don’t really feel restricted to exclusively work within these genres.
What would you recommend as a starting point for those interested in jazz?
Recently there has been a lot of elements of jazz music making its way into the main stream which makes it more accessible to people who weren’t already familiar with jazz. People like Kendrick Lamar, Robert Glasper, Kamasi Washington and the entire Brainfeeder family have made it reach more people. Miles Davis’s “Kind of Blue” is a great record to hear some lovely modal jazz and an album that has resonated with people worldwide since its creation. If we could show someone a deeper look into record records we would go to Eric Dolphy’s “Out To Lunch”, Steve Kuhn’s self titled album and maybe one of the many amazing Sun Ra albums.
How did your tunes are developed during your show? Are you more confident in improvising during on stage or during studio sessions?
Our songs develop as we play them out more and more, getting comfortable creating an energy to improvise on and express ourselves with. They change with tempo, dynamics and feel with every show we play. Improvising live and in the studio are two totally different beasts. Live there’s such a presence of in the moment don’t look back and just go for it feeling where as in the studio its much easier to be meticulous and concentrate on getting a solo or vibe as a band that feels as strong as possible.
You have worked on “Seasons” from Future Islands and “You Made Me Realise” from My Bloody Valentine, that musically speaking are very distant from your world. How do you work when you have to do a new edit? When do you understand that you are in the right path to translate the originals version into your vision?
Basically it comes down to trying new ideas out and if they seem to lead somewhere we can build a song or a remix we just go for it. The “Seasons” remix was something we weren’t sure was going to work out or sound good but it came out pretty nice. The end product of an effort is not always something we’re proud of or will release but you never know unless you try.
Talking about your J Dilla’s rework of “Fall In Love”, it was one of your first experiments of mixing avant-jazz and hip hop, a tune of an outstanding beauty. I think that every hip hop fan must have a solid background about J Dilla’s music and cultural influence that he had in the last 20 years. How did you lived this relationship with J Dilla.
We’re all J Dilla fans and when we used to put together recordings (BBNG1/BBNG2) we would just think of songs we all knew and try playing them off top. He’s an amazing creative in music and hiphop that has inspired so much music that we can always go back and revisit some of his amazing work and stay connected.
Now what are you planning?
Just getting in the studio as much as possible and staying in good health and spirit. The road of travel and playing shows can be taxing and we find a great balance in creating. We also plan to hopefully train for some 10 maybe 15K runs, learn some new instruments and find more great albums.
Last question: where is the pig mask?
In a closet just chilling.