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[tab title=”Italiano”]Gerd Janson non è un dj qualunque, ha iniziato il suo percorso in musica dal nostro lato, quello di chi recensisce, scopre, divulga e analizza la musica club e chi la produce. Al contempo ha iniziato a mettere i dischi prima nella sua città natale (Darmstadt) fino ad arrivare al Robert Johnson e ora, a girare tutto il mondo. Honco label di Running Back, prolifico produttore con Lauer sotto pseudonimo Tuff City Kids, Gerd Janson sembra conoscere ogni possibile lato della clubbing culture tanto da definirlo “Dj’s Dj”, un soprannome che non gli piace per niente…
Cerchiamo di ritornare a quella cena in cui condividemmo il “Macco Pugliese” con fave e cicorie…parlavamo del nostro personale gusto musicale e Sade e il reggae son venuti fuori. Posso chiederti qual è la traccia di Sade che più preferisci? La mia è chiaramente “Turn My Back On You” …bassline malatissima…
Ricordo quella cena e quel ristorante affettuosamente ed era tutto buono come “Turn My Back On You” e quindi è sicuramente una buona scelta. Ma sono combattuto tra “Nothing Can Come Between Us” e “Hang On To Your Love”. Ora che ci penso, sarebbe interessante trovare la multi-track di “Hang To Your Love” e farne una versione dub-not-dub di dieci minuti e si, Sade spesso ha un tocco ovvio o nascosto di reggae.
Il tuo approccio con la club music è iniziato con alcuni radio show del lunedì sera e con i primi party al venerdì. Da lì in poi un “enthusiastic not-musically-at-all boy” ha deciso di muovere i primi passi nell’ambiente club come giornalista e una review sulla Guidance Records è stato il punto d’entrata. Una storia condivisa con molti della redazione di Soundwall, sicuramente la mia. Personalmente la maggior parte dei miei ascolti quotidiani sono legati alla club music e credo ci troviamo in un periodo storico nel quale le rock-star stanno lasciando il campo alle dj-star, anche per un ovvio ordine cronologico (non è il 2016 a portare sfiga, stanno semplicemente passando nda). Molti sono spaventati nell’identificarsi in questo tipo di era musicale, qual è la tua opinione a riguardo? Si sta creando una nuova referenza musicale? Hai una tua dj-star (sicuramente non in modalità groupie)?
Se stai cercando di mettere il “DJ” come figura opposta alle “rock star”, io credo che la cosa lasci il tempo che trova. I dj più popolari hanno comportamenti da rock star, di sicuro, e generi come l’EDM hanno molti più punti in comune con il formato rock/pop che con la musica dance. Secondo la mia opinione la figura del DJ non è mai stata una figura di contrasto a quella della rockstar, è successo perché la cosa è stata stabilita. Questo lavoro parte dal mettere musica di altre persone per intrattenerli su di una pista – l’equivalente musicale di quello che fa un bartender e non quello che fa un musicista – ed ovviamente è cambiato molto. Anche negli ultimi quindici anni, è divenuto qualcosa di diverso da entrambi i lati del dancefloor. Ma io continuo a preferire quelle meccaniche rispetto a quelle di una classica band: mi è sempre piaciuta di più la musica registrata e creata in studio. Tra le dj star che preferisco ce ne sono troppe da menzionare. DJ Harvey sicuramente “in a groupie habit” ma ripensandoci devo concludere che è più una rockstar che non una DJ star.
Prima di essere coinvolto nel tuo momento di giornalismo, hai lavorato anche in un negozio di dischi. Un’esperienza formativa per diversi dj della scena, non solo per come essa insegni a vagare tra le collezioni e cercare di mettere insieme i pezzi, ma anche perché era molto più difficile uscire fuori. Di questi tempi, la tecnologia ha reso molto più semplice riuscire a farsi ascoltare e quindi riuscire a farne un vero e proprio lavoro. Credi che questo abbia determinato una perdita in termine di sound signature e in termini di qualità (anche per quanto riguarda il gusto dell’ascoltatore)?
Più di tutto, possono essere cambiati le maniere e i metodi, ma c’è sempre lo stesso filo conduttore: cerchi musica che ti piace. Per me questa è una fortuna. Una volta che cominci a viaggiare molto, diventa sempre più difficile riuscire a visitare i negozi di dischi personalmente perciò le presentazioni online di un negozio aiutano molto. Il processo è del tutto virtuale adesso. Puoi ancora capitare per caso su di un disco e il tuo interesse tende ad accrescersi per l’artwork e gli apprezzamenti degli altri, ma il lavoro rimane sempre lo stesso: devi ascoltarli e devono piacerti così come un dj professionale deve sperare che alla gente piacciano. Ma sicuramente il putrido odore di alcuni negozi di dischi non può essere ricreato.
Spex, Groove, Red Bull Music Academy…molte interviste e tonnellate di parole. Hai mai sperimentato un approccio cinico nei confronti della musica e della club culture in passato? L’impersonalità risulta il miglior approccio per un giornalista musicale? C’è il rischio di divenire troppo distaccati?
Come per tutto quello che viene iniziato per puro amore o passione e poi diventa un lavoro o una professione, ad un certo punto è molto facile che questo porti ad avere un approccio cinico. Qualcosa che appartiene e molto ad una carriera nel giornalismo. Personalmente, ho lasciato il campo perché sentivo che si stava sviluppando un conflitto tra il mio essere giornalista/critico musicale su di un lato ed il mio lavorare come dj, proprietario di etichetta e remixer dall’altro. Ad un certo punto, sono divenuti aspetti assolutamente incompatibili tra loro. Questa era la sensazione che ho avuto. A rendere le cose ancora più difficili, la mia boccetta d’inchiostro s’è prosciugata e a quel punto avevo esaurito tutte le parole che esistevano nel mio vocabolario per i 12” e avevo intervistato quasi tutti quelli che io ammiravo – con l’eccezione di una persona, forse. Ho cominciato come un ragazzo che frequentava i club e come un fan e credo che ci sia bisogno di una fame che si ha ad una certa età per far sì che si possa farlo al massimo, soprattutto in questi tempi. Perciò, ho lasciato spazio a quelli più giovani. Completamente impersonali? Non credo. Non devi sicuramente provare a diventare il miglior amico del soggetto che stai analizzando, ma un po’ di passione non fa male.
Connettendoci nuovamente all’ambiente reggae, sono rimasto scioccato dal “dubplate business” …così lontano dall’obiettivo che questi prodotti hanno. Credi che ci sia una mancanza di argomenti ostici nella trattazione giornalistica della club culture? C’è ancora un senso di oggettività in questa epoca?
Credo che il giornalismo musicale sia più critico di quanto lo sia mai stato prima. Come la maggior parte delle pubblicazioni di oggi capita che queste siano online ed i grandi inserzionisti tendono a far passare agli editori un momento difficile, se si sono sentiti maltrattati, e quindi hanno perso un po’ del loro peso. Penso anche che ci sia un certo senso di libertà all’interno di critica musicale di adesso, che alcune persone potrebbero interpretare come mancanza di rispetto, ma a me sembra più simile a una emancipazione. Non ci sono quasi più vacche sacre oppure queste diventano mature per la macellazione molto prima. Obiettività? Forse è impossibile, in quanto tutto si riduce ad un gusto musicale molto personale o almeno alle proprie preferenze. Ma ho sempre creduto che ci dovrebbe essere una certa obiettività nella soggettività di ognuno. Contesto, cari, il contesto! Spiegare ” perché ” qualcosa è grande o non così grande nel vostro mondo e non confondere un’opera sempliciotta e bizzarra (cioè un disco) per qualcosa che non è. Un disco ambient è qualcosa di diverso da un beat bonus – e viceversa.
Il rischio è quello di annoiarti parlando sempre di musica reggae, ma come ogni genere, ha una filosofia particolare. La “Rastaman Vibration”, il senso di unità che qui in Italia e nel mio paese ha portato, in passato, punk e rocker unirsi seguendo un unico scopo: la condivisione di vibrazioni positive e di aggregazione. Tralasciando gli sforzi che vengono fatti per avere la migliore audio qualità possibile sui soundsystem. Cosa hai trovato nella house music e cosa significa per te?
Innanzitutto, è stata più di una boccata d’aria fresca di cui avevo bisogno. In un tempo in cui una techno veloce e sciocca (anche se trovo piacere in un sacco di musica sciocca) regnava suprema, l’house sembrava essere sofisticata. Più lenta, più dettagliata e meno stressante anche da ballare. E mi piaceva il fatto che un pezzo di DBX poteva essere combinato con “Come Back And Stay” di Paul Young. Probabilmente significa libertà e se non è così, è solo un altro termine per parlare di dance music.
E cosa rappresenta il djing?
Oggi sembra essere diventato qualcosa di molto ingegnoso o geniale da cui io però tendo a rifuggire. Significa suonare un flusso continuo di musica che definisce un senso o un punto senza alcun senso per far ballare la gente, se tutto va bene. È un servizio che può essere fornito in diverse forme e stili e in qualche modo la maggior parte, se non tutti, hanno il diritto di esistere.
Sei d’accordo sul potere che un dj ha all’interno della sua bag?
In accezione filosofica o trascendentale: si! Si salvano e cambiano vite. In accezione pratica: no! Arriva in un rave jungle con una bag piena di cosmic disco e vedrai cosa succede.
Il nomignolo “Dj’s Dj” ti disturba?
Vorrei davvero conoscere chi ha avuto l’idea di utilizzare questo termine per primo. Mi disturba – nel mio caso la maggior parte dei dj vorrebbero avermi come il loro tour manager addizionale.
Non voglio essere distruttivo, ma sto sperimentando un senso di idolatria nella scena dei club. Molti promotor compilano le serate seguendo una modalità “Berghain /Plastic People /P – bar” e forse i media, social network, tag e le cavalcate di cammello stanno spostando le cose fuori dall’ordine musicale. Pensi che siamo in un periodo un po’ drogato per la club culture? Troppa moine e poca danza?
Come il soggetto del mio comportamento da groupie DJ Harvey disse eloquentemente una volta: “I tempi migliori sono sempre adesso” oppure “Quelli che sono abituati ad essere persone migliori, possono stare a casa”. E’ sempre stato così: ci sono sempre buoni o brutti party. E devi renderti conto che ogni weekend un ragazzo da qualche parte finisce per la prima volta in un club, una warehouse o su di un campo e sente quello che io e te abbiamo sentito le prime volte che ci è successo. È una cosa generale della vita, suppongo. E ancora la gente balla di volta in volta.
“La vita è gusto un piccolo periodo di tempo nel quale tu sei vivo”, perciò che tipo di storia stai scrivendo con Running Back? La maniera in cui tu la porti avanti sembra essere un infinita fiaba.
È terribilmente piacevole questa cosa, ma per me si legge ancora come il diario di un lunatico. Spero che una volta venga scritto tutto il libro, possa essere anche letto come tu hai suggerito.
Il 19 di agosto è stato rilasciato il Fabric 89 mixato da te. Come ti sei approcciato ad un club mix come quello del Fabric? Come lo hai registrato e quale l’obiettivo? Ogni transizione nel mix è nuova o c’è qualcosa di rodato? Sono assolutamente scioccato da come hai collegato “Marauder” di Dj HMC e “Rhythm” di Joe Claussell.
Come suggerisci tu: ho provato a fare un mix da club. È stato disegnato sul Fabric e su quello che farei nella Room 1. Un mix che potresti sentire sulla via per il club o se senti il bisogno di doverci ritornare. L’ho fatto tutto in una volta dopo una piccola sessione di stretching. Ho provato a cercare le combinazioni nelle settimane precedenti la registrazione, ma fare un cd mix commerciale comporta sempre qualche problema di licenza, quindi non c’è molto da fare in anticipo. Scioccato? Spero che possa considerarlo un complimento (certo nda).
Cerco di concludere le mie interviste chiedendo cinque tracce che possano descriverti in musica o semplicemente che tu voglia condividere con noi.
Queste sono le cose più difficili da fare, ma siccome sembri essere ossessionato dal reggae, scelgo le mie cinque tracce preferite:
1. Half Pint – Mr- Landlord
2. Foxy Brown – Baby, It’s You
3. Wailing Souls – They Don’t Know Jah
4. Vivian Jones – Red Eyes
5. Mighty Massa & The Dub Steppers – Talawa
P.S: hai ancora rimorsi per aver abbandonato la tua carriera accademica?
Si. Non passa un giorno che non ne abbia.[/tab]
[tab title=”English”]Gerd Janson is not the common dj. He started his path in music from our side: those who review, discover, disseminate and analyse the club music and those who produce it. He started playing in his hometown (Darmstadt) until he get to Robert Johnson and now he tours the world seamlessly. Honco label of Running Back, prolific producer with Lauer under pseudonymous Tuff City Kids, Gerd Janson knows every possible side of the club culture and this has brought someone to call him “Dj’s Dj “, a nickname that he does not like it at all…
Let’s try talking like we did in front of that shared “Macco pugliese” dish with fava puree and chicory…we were talking about our taste in music and Sade and reggae music come out. May I ask what your favourite Sade track is? Mine is definitely “Turn my back on you”, wicked bass line…and what kind of feelings come out listening to reggae and dub music, so far and at the same time so close to the club culture.
I remember that dinner and restaurant fondly and it was as good as “Turn My Back On You“is – definitely a good call. But I think that I’m torn between “Nothing Can Come Between US“and “Hang On To Your Love“. Now that I think of it, it would be interesting to find the multi-tracks to the later one and do a 10-minute dub-not-dub version of it. Sade often has an obvious or hidden reggae touch to it.
I found out that your approach to club music came from Monday radio show listening sessions and the first Friday parties. Since there an enthusiastic not-musically-at-all boy decided to move the first steps as journalist in the club world and a review about Guidance Records (Chicago) was the entering point. A story that maybe lot of Soundwall contributors share, surely mine. Personally, majority of my listening are linked to club music and I suppose we live in a period in which the rock star are fading away in favour of “dj-star”, also for an obvious chronological order. Some are scared to identify themselves in this kind of “untrue way to PLAY music” musical era, what is your opinion about? Are we just creating a new musical reference? Do you have a personal dj-star? Surely not in a groupie habit.
I am not quite sure what you exactly mean by this question. If you are trying to place the “DJ“as the opponent of the “rock star“, I think that comes and goes. The most popular ones behave like “rock stars“ for sure and genres like EDM have more in common with the rock/pop format then dance music. In my opinion the DJ was never intended to be the opponent, he just happened to be it by design. The profession started by playing recorded music of other people in order to entertain a dance floor – the musical equivalent of a bar tender and not of a musician. That changed a lot obviously. Even in the last 15 years, it became quite a different thing – on both sides of the dance floor. But I still prefer those mechanics over the ones of a classic band-audience set-up: I always enjoyed recorded/studio music more. Personal DJ stars? Almost too many too mention. DJ Harvey definitely “in a groupie habit“. But thinking about it, I have to conclude that he is more of a rock star than a DJ star.
Before getting very involved in your journalistic era, you also worked in a record shop. A formative experience for several dj, not only about crate digging and matching records together but also ‘cause there was an hard work to come out. Nowadays technology has flatten the opportunity to get listen and to become famous quickly. It is easier for sure, but do you think that there is a loss in terms of sound signature and in terms of quality (even for the listener’s taste)? After all these years of djing have you find yours?
Most of all, the ways and methods might have changed, but the bottom line is still the same: you look for music that you like. For me, it’s actually a blessing. Once you start traveling a lot, it gets harder and harder to visit record stores personally. Even if you travel the world, you hardly get time to see it while doing so. So, the online presentation of record shops helps a lot. The process is just virtual now. You can still stumble about records by accident and your interest gets aroused by artwork and the likes. The work is still the same: you have to listen and you have to like it or as a professional DJ hope that people will do the same. But the putrid smell of some record shops cannot be re-created that way.
Spex, Groove, RBMA…many interviews and tons of words. Did you experiment a cynical approach towards music and club culture in the past? Being completely impersonal would be the best approach for a music journalist? The risk is becoming aloof?
As with everything that you started out of sheer love or passion and that turns into a job or profession at one point, it can become pretty easy to turn into a cynic. Something that holds especially true for a career in journalism. Personally, I stopped doing it because I felt that there was a conflict arising between me being a journalist/critic on the one side and working as a DJ, remixer, and label owner on the other hands. At one point, it becomes more and more incompatible with each other. At least, that was the feeling that I had. To make matters worse, my inkpot dried up and by that point, I used up all the words that I existed in my vocabulary for 12“s and I had interviewed almost everyone that I admired – except for one person maybe. I started it out of being a club kid and fanboy and I think you need to have a hunger that often comes with a certain age to do it to the fullest – especially nowadays. So, I made room for the young ones. Completely impersonal? I don’t think so. You shouldn’t try to become your subject’s best friend, but a little bit of passion doesn’t hurt.
Connecting back to reggae realm, I was shocked when I knew about the “dublate business”…something that is so far from the paramount purpose of dubplate. Now you are far from journalism in terms of creation of content and let us stay restricted to club culture. Do you think that there is a lack of info about thorny arguments? Is there in musical journalism a sense of objectivity yet?
I think music journalism is more confrontative or critical than ever before. As most publications happen to be online now, the big advertisers that tent to give the editors a hard time, if they felt mistreated, have lost some of their weight. I also think there is a certain sense of freedom within music criticism now, that some people might interpret as disrespectful, but to me seems more like an emancipation. There are almost no holy cows anymore, or they get ripe for slaughter much earlier. Objectivity? Maybe that is impossible, as it all boils down to a very personal music taste or at least preferences. But I always believed that there should some objectivity in everyone subjectivity. Context, dear people, context! Explain “why “something is great or not so great in your world and don’t mistake the odd simpleton opera (i.e. a DJ record) for something that it’s not. An ambient record is something else than a bonus beat – and vice versa.
The risk is to bore you talking always about reggae music, but like every genre, it has a peculiar ethos. The “rastaman vibration”, the sense of unity that here in Italy and in my country has brought, back in the days, punkers and rockers to join one only purpose: sharing positive vibes and aggregate. Despite the technical struggling to have the best audio quality. What have you find in house music and what means it to you?
First of all, it was a much needed breath of fresh air for me. In a time when fast and sometimes silly (although I take pleasure in a lot of silly music) techno reigned supremely, house seemed sophisticated. It was slower, more detailed and a bit less stressful to dance to. And I liked the fact that it could be combined with a DBX record as well as with Paul Young’s „Come Back and Stay“. So it probably means freedom and if not, it’s just another term for dance music.
What represents djing?
It gets made into this artful thing these days, which I tend to shy away from. It’s playing a continuous stream of music that makes some sense or a point of not making any sense in order to make people dance, if it goes well. It’s a service that can be provided in many different forms of styles and somehow most, if not all of them have a right to exist.
Do you agree about the huge power that a dj has before in its bag?
In a philosophical or transcendental way: yes! You save and change lives. In a practical way: no! Turn up with a bag of comic disco to a jungle rave and you see what I mean. What it has though if you take the right turns and the stars align, are the ingredients to make people happy.
“Dj’s Dj” sobriquet disturbs you?
I would really like to know who came up with that term first. It’s disturbing – in my case most DJs would just like me as their additional tour manager.
I don’t want to be destructive, but I’m experimenting a sense of idolatry in the club scene. Many promoters compile club nights following a “p-bar/berghain/plastic people” way and maybe media, social networks, photo tags, camel riding and things that are out of the club culture are driving the things out of the music order. Do you think that we’re in a doped period for clubbing culture? Too much fancy and so less dancing?
As the subject of my groupie behavior DJ Harvey once put it so eloquently: “The good times are always now”. Or: “The used to be better people can stay at home“. It’s always been like that: good and bad parties take turns. And you have to keep in mind that every weekend a kid somewhere stumbles for the first time into a club, warehouse or onto a field and feels what you or me felt the first times it happened to us. That’s a general thing in life, I would suppose. And I still see people dancing from time to time.
“Life is just a short period of time in which you are alive”, so what kind of story are you writing for us with Running Back? Your way to bring it on seems to foretell an unfinished fairy tale…
A fairy tale? That’s awfully nice from you to say, but to me it rather reads like the diary of a lunatic so far. I hope once the book is written, it could be also read like what you hinted at.
On 19th August has been released Fabric 89 mixed by you. How do you approach to a club mix like Fabric it is? How did you record it, when and what is the goal that have you been set? Every transition in the mix is new or you have tried before? I’m really shocked for the transition between “Marauder” and “Rhythm”.
You already hinted at it: I tried to do a club mix. Tailored towards Fabric and what I would try to do in Room 1 if you let me. It’S something you should be able to listen to on your way to the club or if you feel a yearning to go back there. I did it in one take after a little stretching. I tried to find combinations in the weeks leading up to the recording, but doing a commercial mix cd is always of licensing issues, so there is not much doing it beforehand. Shocked? I hope that is meant to be a compliment.
I try to finish my interview asking five tracks that could describe you in music or your first listen or just whatever you want to spread with us.
Those are always the hardest things for me to do. As you seem to be obsessed with reggae, I pick five of my faves:
1. Half Pint – Mr- Landlord
2. Foxy Brown – Baby, It’s You
3. Wailing Souls – They Don’t Know Jah
4. Vivian Jones – Red Eyes
5. Mighty Massa & The Dub Steppers – Talawa
P.S.: Have you regrets for the abandon of your academic career yet?
Yes. Not a day goes by.[/tab]
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