Alla fine è arrivato il verdetto del Council di Islington, il quartiere di Londra che ospita il Fabric. Un suo portavoce, Flora Williamson, che fa parte del comitato per il rilascio delle licenze, ha dichiarato – riassumendo – che “due persone sono morte dopo aver acquistato droga all’interno del locale anche grazie al fatto che le perquisizioni personali all’ingresso non sono state abbastanza approfondite e, in generale, si ritiene che il club non abbia le capacità per contrastare meglio il fenomeno della circolazione di droga al suo interno“; quindi, dopo aver valutato di porre condizioni e richieste più stringenti per il nuovo rilascio della licenza, si è proprio deciso che non ci sarebbero mai stati margini, che il club non era in grado di debellare il fenomeno del consumo di stupefacenti e quindi la licenza veniva e viene revocata e basta.
Onestamente: tutto questo ci fa schifo. Una decisione ridicola e sospetta sotto ogni punto di vista. Chiudere un posto perché il posto medesimo non riesce ad evitare che vi si circoli della droga, beh, se applicato regolarmente come principio dovrebbe portare alla chiusura – a spanne – del 95% dei luoghi pubblici a Londra (…a partire, probabilmente, dal Parlamento), una Londra che ad esempio è conclamatamente la capitale europea della cocaina (consumata tutta al Fabric? Non crediamo). Pensare che questa sia una decisione dolorosa ma utile per contrastare il fenomeno dell’abuso di sostanze stupefacenti è idiota e/o ipocrita: non è che ora che il Fabric non apre più la gente che vuole drogarsi smette di drogarsi, semmai va a farlo in posti non controllati, non regolamentati, dove non vige alcuna forma di tutela – possibile che il Council di Islington sia così stupido da non capirlo? O forse lo capisce benissimo, gira sempre più questa interpretazione, ma per vari motivi non ha più convenienza che il Fabric resti aperto… interpretazione molto malevola, la registriamo per la cronaca, ma non è detto che non sia azzeccata.
E ora? Ora, in teoria, i giochi sono chiusi. Ma il nuovo sindaco di Londra, Sadiq Khan, pur avendo premesso nei giorni scorsi sulla questione un ponziopilatesco (ma inevitabile…?) “Non sono io che decido”, ha comunque dimostrato una certa sensibilità sull’argomento, dicendo che quella della club culture è una tradizione londinese che va preservata e che i cambi di destinazione d’uso edilizio – quelli che permettono di trasformare le mura di un club in una serie di appartamenti di lusso, destino ad esempio capitato all’Haçienda – devono diventare molto più complessi da concedere. Se è difficile credere, per le abitudini della legge anglosassone, che Khan possa d’imperio scavalcare le competenze decisionali del Council locale, pensiamo sempre che possa farsi sentire e possa trovare, lui che è la più alta autorità di Londra, un modo per non buttare a mare anni e anni di storia, cultura, belle vibrazioni ed imprenditoria di alto livello. Che poi ci fosse anche la droga, beh, certo. Ma la droga c’è ovunque, a partire dalle narici dei tanti rapaci falchetti ed aquilotti della finanza che, a Londra, nessuno si sogna di toccare e di punire (o almeno tassare) in modo adeguato.