Napoletano classe 1964, MarianoRano è uno di quei dj che hanno visto il mestiere del djing nascere e che quindi potremmo definire “oldschool” nell’accezione più positiva del termine: nei suoi quindici passi, infatti, non troverete nessuna delle sovrastrutture e delle barriere di genere che spesso si riscontrano nei dj più giovani ma solo e soltanto tantissima passione per la musica, in tutte le sue forme.
È proprio questa passione così forte, unita a un gusto estremamente variegato, che ha fatto innamorare di lui sia noi che i ragazzi di 180gr: siamo sicuri che dopo aver letto la sua intervista anche voi sarete, come minimo, incuriositi.
Passo numero uno: qual è il disco o la traccia che ti ha cambiato la vita? La primissima. Quella che ti ha fatto capire che la musica era veramente un’emozione particolare, più intensa di altre.
Nel ’74 avevo dieci anni, mia sorella, dopo aver visto i Genesis dal vivo a Napoli, comprò “Selling England By The Pound”, e lo fece suonare sul fantastico mobile radiostereo con giradischi appena comprato da mio padre; era uno di quelli dove potevi mettere una serie di dischi impilati su di una bacchetta al centro del piatto e poi automaticamente li potevi ascoltare in sequenza. Tecnologia tedesca.
In realtà non capivo nulla di inglese ma ero attratto in maniera particolare dal modo di cantare di Peter Gabriel. Costruii una cuffia artigianale nel laboratorio di mio padre usando due casse da auto “Autovox” (per evitare di rompere i coglioni a mia madre) e imparai a memoria la prima canzone dell’album, “Dancing With The Moonlit Knight”; non capivo quello che stavo cantando ma fu un’esperienza speciale, un nuovo modo di vivermi la musica.
Passo numero due: quando hai capito che la musica, produrla o suonarla, sarebbe stata una parte fondamentale della tua vita?
Era scritto nel mio destino, la musica era stata sempre di casa da noi, mia madre faceva le faccende casalinghe intonando melodie classiche napoletane, era un piacere ascoltarla; avevamo un bel divano un po’ psichedelico con giradischi incorporato pieno di vinili dei generi più disparati che io e le mie sorelle facevamo girare. Crescevo con la musica in testa. Mio padre, il genio di famiglia, aveva addirittura installato in macchina un’autoradio con mangiadischi, un modello avveniristico per quei tempi, sentivamo i quarantacinque giri in viaggio; ascoltavamo roba tipo Claudio Villa, Celentano o Ornella Vanoni, ma andava bene così, la musica era onnipresente nelle nostre giornate.
Son cresciuto musicalmente ascoltando prevalentemente quello che si sentiva per radio negli anni della mia gioventù, le proposte musicali delle prime radio libere, che diffondevano musica alternativa a quella di Mamma Rai, mi hanno allargato gli orizzonti.
All’inizio, visto che i soldi erano pochi e i dischi costavano un bel po’, per saziare la mia sete musicale registravo delle cassette con un microfono sistemato vicino alle casse della radio e me le riascoltavo poi andando in giro con una specie di walkman autocostruito (ben prima che la Sony mettesse in produzione il primo vero Walkman nel ’79).
In quegli anni ascoltavo di tutto, passavo indifferentemente dall’ascoltare cose tipo Beatles, Eagles, Jimi Hendrix, Deep Purple e Rolling Stones, che mi facevano sentire i miei cugini più grandi nei pomeriggi domenicali passati in famiglia, alla disco music di Donna Summer o della Love Unlimited Orchestra che proponevano le radio nelle calde giornate estive. Dopo quegli anni man mano cominciai ad interessarmi alle nuove sonorità che ci proponeva la scena musicale inglese con la new wave, poi arrivò l’hip hop old school e un radiolone boombox che mi fu regalato per i miei diciotto anni, iniziai a fare break dance e andai anche in Rai per un’esibizione che è rimasta storica. Praticamente mi piaceva tutto, ascoltavo di tutto! Probabilmente questo ha lasciato un’impronta che ha segnato il mio percorso sonoro, in fin dei conti non mi sono mai focalizzato su un solo progetto musicale.
La mia esperienza come dj è iniziata che non avevo ancora sedici anni quando mi fu proposto di fare il dj ad un party casalingo a casa di mia cugina. L’occasione, il capodanno dell’80, la festa fu un successone, (forse anche a causa dei litri di alcool che si scolarono). Avevo ricevuto una bella somma da investire per l’acquisto di musica; nel pomeriggio del 31 avevo comprato vari dischi che andavano forte in quel periodo, le famose “TopHits” tra cui il quarantacinque giri di “Video Killed The Radio Star” dei Buggles fresco fresco arrivato al negozietto del mercatino dietro casa che spacciava vinili appena usciti in circolazione.
L’impianto era composto da un giradischi Technics a trazione diretta senza pitch, un Thorens a cinghia che ogni volta che partiva ondeggiava per alcuni secondi in maniera inquietante, un mixer antidiluviano grande quanto un campo di calcio e cuffie modello Sandro Ciotti. Ricordo solo che passai tutta la notte senza rilassarmi un attimo dietro la consolle, segregato nella cabina dj (lo stanzino di casa); avevo paura di sbagliare, sudavo, mi tremavano le gambe, ma la gente ballava ogni pezzo che mettevo e questo mi fece capire che prima o poi mettere dischi sarebbe stato parte della mia vita futura.
In realtà la voglia di passare veramente dalla pista da ballo alla consolle probabilmente me l’ha trasmessa il mio amico fraterno Nico Mina che mi ha insegnato a mettere in battuta i pezzi più disparati; la spinta definitiva c’è stata quando sono andato a vedere e ballare il dj set strepitoso di Andy Smith dei Portishead agli inizi degli anni ’90 al mitico Notting Hill di Napoli che mi fece capire che puoi tenere la pista calda per ore mixando pezzi dei generi più differenti, come piaceva a me.
Passo a margine: quali sono stati i momenti di maggior crisi, nel tuo rapporto con la musica?
Ci sono stati due momenti nella mia storia di spacciatore di musica, il primo è stato quando ho cominciato a raffinare le mie scelte musicali e a dare un senso educativo alla musica che proponevo, perché io penso che il pubblico vada “educato” musicalmente e non accontentato. Mi ero reso conto che i direttori artistici e i proprietari dei locali cercavano qualcuno che portasse gente o jukebox ambulanti più che dei dj con un proprio stile. In quel periodo nei locali in genere si proponeva una musica in un certo senso commerciale, anonima e per me monotona che però faceva ballare tutti indiscriminatamente, una sorta di melassa musicale che io non digerivo; e poi c’era la musica variegata, colta ed educativa che piaceva a me. Il grosso dilemma era: continuare a suonare la mia musica oppure cedere alle richieste dei gestori o dei “portagente” di turno? Il mio istinto mi ha fatto continuare sul mio cammino e ne sono contento.
Anche l’avvento della musica su supporto digitale mi ha creato uno scompenso notevole, la comodità era indubbia, una quantità quasi infinita di brani da poter portare dietro per qualsiasi evenienza. Quasi invidiavo gli altri dj che arrivavano con un computer, una consolle o in alcuni casi semplicemente due chiavette usb e si sparavano tutta la serata. Invece io giravo con un paio di valige stracariche di quarantacinque giri che pesavano una tonnellata, sembravo un rappresentante. Ogni volta che ritornavo distrutto a casa a tarda notte dopo aver fatto le mie cinque rampe di scale, mi chiedevo quale forma di autolesionismo avessi dentro per farmi continuare in quella direzione illogico-analogica, ma la mia passione per il vinile andava oltre il concetto di qualità, quantità o dinamica del suono digitale. Il contatto fisico col disco e la puntina mi dà un piacere fisico, ho un approccio quasi feticista col vinile, adoro anche il fruscio lasciato dalle centinaia di serate in cui è stato suonato, è parte della sua vita, della sua esistenza; ogni graffio un pezzo di storia di quel disco, ogni solco sembra quasi come una ruga sul viso di una persona, come il segno del passaggio del tempo sulle cose.
Passi importanti: quali sono stati finora i momenti più importanti, nella tua carriera?
I momenti importanti per chi come me mette dischi per passione sono tutti, sia che suoni per pochi amici intimi in una cantina in un party improvvisato, che quando ti trovi di fronte a migliaia di persone in una discoteca; in questi circa venti anni di attività ogni serata, anche la più piccola, ha segnato una tappa vitale per la mia crescita personale.
Per dieci anni circa ho portato avanti in coppia con Piero Natale il progetto di resistenza vinilica “Vintage45Style” che ci ha dato l’opportunità di suonare in alcune delle discoteche più grandi di Napoli come Casa della Musica, il Duel, L’Arenile o il Nabilah o in location storiche e suggestive per la Notte Bianca o il Forum Internazionale delle Culture.
Devo dire che un bel periodo è stato quando mi sono trovato a proporre i miei set musicali in alcuni grandi eventi aziendali che ho seguito in giro per il mondo. Uno per tutti che mia lasciato un ricordo speciale è stato quando, per una convention, mi sono trovato a mettere dischi a Dubai subito dopo il concerto di Grace Jones al Dubai Creek Golf Club, il posto più figo dove abbia mai suonato.
Sicuramente quello che mi reso fiero al momento e che mi ha dato una nuova spinta e fiducia per il mio futuro da dj è stato quando ho aperto con i miei quarantacinque giri alle otto del mattino il dj set del bellissimo progetto 180gr che si è svolto a settembre in una bella mattinata di sole nel mercato della Pignasecca a Napoli, con la consolle mimetizzata tra cassette di frutta e verdura e incastonata tra i banconi di un fruttivendolo e un pescivendolo; la location più particolare dove abbia messo dischi.
Passi per prendere un po’ d’aria e trovare ispirazione ed energia: quali sono le tue altre passioni? Come le sviluppi? Quanto tempo riesci a dedicare loro?
Le mie passioni oltre la musica? La famiglia, i figli, la mia amata Napoli e la mia moto vintage, una AMF-Harley Davidson SX175 modello scrambler del ‘76, un piccolo gioiello.
Per fortuna il mio lavoro a scuola (prof alle superiori) mi permette di fare il dj come passatempo ma anche di avere parecchio tempo libero. Il problema è che cerco di fare troppe cose, ascolto musica di notte e dormo poco. Nel quotidiano devo prima di tutto gestire la mia attività di padre dei miei due stupendi marmocchi, Luna e Tiago Pepe, che mi succhiano via tutta l’energia. Poi c’è Napoli, la mia magica città, fonte di energia e ispirazione; ci ho vissuto fino al 2007 prima di trasferirmi al nord, spesso ci torno per mettere dischi, abbracciare i vecchi amici e fare un giro in motocicletta per andare a salutare il mare.
Dal punto di vista pratico la mia passione primaria è stata sempre legata al lavoro manuale artigianale e alle riparazioni; odio buttare le cose che sempre più spesso si rompono subito e cerco di aggiustare qualsiasi cosa smetta di funzionare in casa, ho una dote particolare nelle mie mani. Sono cresciuto nella bottega di fotoriparazioni di mio padre dove ridavamo vita alle macchine fotografiche rotte. L’attività l’aveva iniziata mio nonno negli anni ‘20; per tanto tempo ho condiviso le mie giornate in laboratorio con mio padre lavorando, ascoltando i suoi racconti, i suoi consigli e soprattutto imparando ad aggiustare un po’ di tutto; ad esempio posso smontare, riparare e rimontare la mia moto in mezza giornata, oppure i giocattoli dei miei figli, o risolvere un problema idraulico in casa, un bel risparmio!
Passi perduti: quali sono finora i tuoi più grandi rimpianti, musicalmente parlando?
Non ci sono grossi rimpianti, non ho nulla da recriminare, più che altro ci sono state delle scelte dettate dalla mia vita lavorativa che mi hanno obbligato a trasferirmi e ad abbandonare alcuni progetti che avevo costruito e portato avanti negli anni nella mia realtà cittadina napoletana.
Passi che consiglieresti: quali sono secondo te i cinque album (o brani) che consiglieresti e che non dovrebbero mancare nella discografia di tutte le persone a cui vuoi bene o che stimi?
Solo cinque? Beh, in ordine sparso:
Leftfield “Leftism”
Stevie Wonder “Songs In The Key Of Life”
Kruder & Dorfmeister “The K&D Sessions”
The Clash “London Calling”
Matthew Herbert “The Audience”
Ps: Suba “Sao Paulo Confessions”
Passi in biblioteca o videoteca: quali libri o film consiglieresti?
Tra i film che preferisco:
“The little shop of horror” (1986) di Frank Oz, un musical deliziosamente fuori di testa.
“Cidade de Deus” (2002) di Ferdando Meirelles, da vedere assolutamente in lingua originale.
“La vita Agra” (1957) di Carlo Lizzani, un film tristemente premonitore.
“The Life Aquatic With Steve Zissou” (2004) di Wes Anderson, un fantasmagorico viaggio surreale e visionario con una colonna sonora strepitosa con delle perle di David Bowie cantate in brasiliano da Seu Jorge.
“The Big Lebowsky” (1998) di Joel Coen, potrei rivederlo cento volte, il mio preferito.
Tra i libri che mi viene da segnalare c’è l’ultimo che ho letto quest’estate che è “Teoria del Bloom” del collettivo Tiqqum (più che un libro un virus editoriale); il primo che mi ha appassionato “I nutrimenti terrestri” di André Gide; e quello che mi appartiene a livello storico “Il resto di niente” di Enzo Striano.
Passi fondamentali: qual è il risultato artistico di cui finora vai più orgoglioso?
Parlare di risultati artistici di livello elevato non fa al caso mio, sono un dj di nicchia e non faccio parte del grande circuito del clubbing o delle produzioni. Ho collaborato con molti locali e gestito progetti che poi nel tempo hanno dato bei frutti sia dal punto di vista musicale che da quello sociale, cercando di proporre sempre scelte musicali di qualità. Dagli anni ‘90 in poi ho suonato almeno una volta praticamente in quasi tutti i club di un certo tipo a Napoli.
In realtà per me tutta la musica può far ballare e quello che mi inorgoglisce è il fatto di poter proporre ancora oggi dei dj set legati alle più disparate realtà musicali. Passo da serate viniliche soul funk in piccoli club a milonghe cittadine per tangueri in cui propongo il mio “Anarcotango”; da party in puro stile brasiliano a seratine vintage con quarantacinque giri d’epoca; da sonorizzazioni per eventi artistico-culturali alla patchanka e alla musica folk e balcanica…di tutto un po’ praticamente.
Passi virtuali: come stai vivendo l’onnipresenza del web nelle nostre vite in questi anni? Visto tra l’altro che questa è un’intervista che stiamo facendo per un media online…
Per me l’invasione del web nella nostra vita quotidiana sta alterando i rapporti sociali, se non sei in rete non esisti. Come per tutte le cose penso che il problema sia nell’abuso che si fa delle reti virtuali e dell’effetto negativo che questo avrà sulle generazioni future, lo vedo io stesso nel mio lavoro giornaliero con i giovani a scuola.
Il fatto è che a me piacciono le cose fisiche, l’effetto emotivo che può dare una vecchia fotografia, anche se un po’ strappata, non sarà mai lo stesso di quello di una bella foto digitale messa su un social network; nessun video in HD ti restituirà l’emozione di un concerto dal vivo e c’è gente che passa metà dei concerti guardando lo schermo mentre registra col cellulare, mi sembra assurdo, è un’aberrazione. Per questo forse sono così fortemente legato al vinile e alla fisicità del suono.
In realtà quello che sinceramente mi intriga è il fatto che tramite il web anche un singolo artista semisconosciuto possa mettere in mostra le proprie qualità su un palcoscenico altrimenti impensabile e possa divulgare il proprio progetto musicale raggiungendo una quantità incredibile di visualizzazioni.
Personalmente però devo dire che il web mi ha salvato dal punto di vista dell’approvvigionamento musicale; non potendo quasi più girare per mercatini vari e negozi di dischi la mia ricerca personale di vinili più o meno rari, di singoli particolari o b-side semisconosciuti si è rimessa in moto e la mia collezione di sette-pollici continua a crescere; quindi God Save the Web!
Passi in compagnia: quali sono i dj e producer con cui senti più affinità, e con cui vorresti sempre e comunque condividere parole, progetti, obiettivi?
Ci sono dei cari e vecchi amici con cui ho suonato in passato e con cui spero sempre di riuscire a condividere nuove esperienze, fosse solo per un fatto di empatia musicale.
Una persona a me molto cara è Stefano Miele aka Riva Starr con cui, prima della sua esperienza londinese, ho avuto il piacere di dividere a volte consolle e serate in compagnia al KestèNapoli che era il nostro punto di rinfresco mentale.
Gli incontri più interessanti che mi hanno fatto crescere a livello musicale li ho avuti in questi ultimi anni al 65mq, più che un locale un fanale di speranza sonora nella scena milanese che ha ospitato nomi storici e che purtroppo da poco ha chiuso i battenti dopo più di dieci anni di attività con una interminabile maratona musicale durata 65ore in cui ho avuto l’onore di suonare.
Tra i maestri con cui ho incrociato le puntine sento una particolare affinità con Luca DeGennaro, DjRocca, Bruno Bolla, Massimo Di Chio, Valentina DeltaV, Dario Piana, Fabio De Luca, Mark:eno; tutti dj con cui ho trovato una sintonia di suoni e sonorità che rispecchiano un po’ il mio modo di vedere la musica dance.
Passi incrociati: qual è la situazione, musicale e non, più assurda che ti è capitato di vivere?
Su questa domanda potremmo stare giorni a raccontare, spesso i locali notturni sono frequentati da personaggi inquietanti e si creano situazioni imbarazzanti come quella che mi è capitata un’estate di un po’ di anni fa al Turistico Beach Park. Mentre ero nel pieno della serata con la pista piena, si avvicina una tipa vestita tipo esercito della salvezza e comincia a chiedere di metterle “Maria Maria” di Carlos Santana per il compleanno di una sua amica. Dopo la quinta richiesta, per togliermela dalle palle, le rispondo un po’ seccato che non l’avevo e lei che fa? Prende la borsetta, estrae il cd di Santana e, con un sorriso ebete, me lo mette sulla consolle…. me l’hanno dovuta levare dalle mani sennò la buttavo a mare!
Passi sbagliati: quali sono le cose che più di danno fastidio nella scena musicale italiana?
Non mi piace parlare male di colleghi e affini, ma se c’è una cosa che in realtà mi fa particolarmente incazzare è vedere personaggi più o meno famosi che come per incanto si trasformano in dj strapagati e propongono musica oscena sfruttando i mezzi tecnologici facendo finta di mixare senza avere nemmeno idea di cosa possa essere un mixer o un disco; lo trovo deprimente e irrispettoso nei confronti di chi da sempre mette dischi per passione ed è pagato una miseria.
Passi che stai per compiere: quali sono i tuoi prossimi progetti?
La mia crescita personale adesso ha bisogno di nuovi stimoli e di amici con cui progettare e sognare; le ultime esperienze professionali mi hanno fatto capire quanto sia sempre più importante per me il concetto del condividere con altri le mie visioni sonore, sono sempre più convinto che suonare insieme ad altri dj non faccia altro che arricchirci interiormente. Il mio obiettivo primario attuale è semplicemente quello di trovare nuovi spazi dove la musica di qualità che propongo sia apprezzata e rispettata, poi il resto verrà.
Passi sinestetici: salutaci non con delle parole, ma con una traccia, non importa se tua o di altri.
1975, “Drugs Theme”, Maestro Enrico Simonetti, semplicemente la colonna sonora di uno sceneggiato televisivo, un pezzo unico.