Partiamo da un dato di fatto: Luca Trevisi è “IL” dj. Nel senso che ascoltare un suo set significa entrare in contatto con un nume tutelare della musica e del clubbing degli ultimi trent’anni in Italia. Ma intervistarlo – come in questo caso – acquista un altro valore. Perché si ha a che fare anche con un produttore con la stessa dedizione e ricercatezza che da sempre lo hanno contraddistinto, da quando ha iniziato nel 1989 con Kekkotronics. Con “First Job” pubblicato per Irma Records, è nato un sodalizio inossidabile continuato con Bossa Nostra, Vicki Anderson, Live Tropical Fish, e poi esploso in ogni angolo di mondo con il progetto LTJ-X-Perience e le sue cinquantatre releases tra album, singoli e remix dal 1990 ad oggi. Musica di qualità anche dagli inizi del 2000 con i progetti It’s A Small World Disco, Universal Love, One Man Edit e The Beatdown Machine. Ciliegina sulla torta: è anche un pregiato collezionista di vinili con il suo webshop Hot Groovy Records.
Diciamo che questa introduzione all’artista è asciugata al massimo, perché raccontare in breve l’immensa carriera di un pilastro portante della musica in Italia risulta difficile. È il momento che iniziate a leggere l’intervista, ascoltando la playlist preparata da Luca Trevisi con il suo alias più famoso per il Jazz Re:Found, dove si esibirà Mercoledì 7 Dicembre allo Spazio Dora insieme a Grandmaster Flash e Grasso Brothers. Buona lezione di storia.
Da più di tre decenni sei dietro le consolle di tutta Italia e non solo: quando hai capito che fare il DJ nella tua vita sarebbe stata la strada giusta? Come e quando ti sei avvicinato alla musica? Che generi musicali suonavi agli inizi?
Ho sempre avuto una grande passione per la musica black fin da giovanissimo, specialmente per quella funky, quella soul, quella disco ed ho immediatamente capito che condividere quella musica dietro una consolle sarebbe stata la strada giusta. Mi sono reso conto da subito che andare alla ricerca di dischi, collezionarli, conoscere gli artisti e cercare di capire il loro sound era per me la cosa più importante che avevo. Perdevo giornate intere in un famosissimo negozio e magazzino dell’epoca, “Nannucci”. Questo mi ha permesso di collezionare un grandissimo quantitativo di dischi. Nel tempo la mia cultura musicale si è modellata unicamente su suoni black, funky, hip hop, soul, acid, jazz, latin fino alla house.
Della tua storica residenza al Kinki si è detto di tutto e di più. Ma oltre al Kinki sei stato anche il resident di un altro locale, il Cap Creus. Ci parleresti di questa tua esperienza in questo club di Imola?
Insieme al Kinki è stato assolutamente uno dei locali che più mi è rimasto nel cuore, dove ho suonato come dj resident per cinque stagioni nei primi anni ’90. Era tutto differente rispetto agli altri locali, il modo di proporre musica e il modo in cui veniva recepita era qualcosa di unico, di incredibile! Erano tutte emozionanti serate all’insegna del rare groove, jazz, funk, latin, hip hop. È difficile anche per me spiegare il feeling che si creava tra me e la gente in quel locale, posso garantirvi che tornavo sempre a casa felice e pieno di positività. Le persone che ballavano in quella pista mi trasmettevano gioia… quella era pura club culture! Sicuramente gli ingredienti per la riuscita sono stati un grande gestore, Maurizio Spoglianti, che ha fatto si che tutto fosse al suo posto, e per primo il sound system! Penso di essere stato uno dei primi dj negli anni ’90 ad avere due sub in consolle! Maurizio ha arricchito le serate con concerti pazzeschi dei più autorevoli e clamorosi musicisti maestri di questo genere, tra cui: Roy Ayers, Airto & Flora Purim, Gil Scott Heron, Guru Jazzmatazz, Maceo Parker, Fred Wesley, Brand New Heavies, ecc… incredibile! Era un locale completamente diverso dagli altri e questo sicuramente lo premiava, lo staff viveva con passione tutti gli eventi, e naturalmente la gente che affollava il locale ogni venerdì sera si lasciava trasportare solo ed esclusivamente dal feeling della musica!
Ma piuttosto come sono andati i festeggiamenti dei quarant’anni del Kinki? Che sensazioni hai provato una volta che sei entrato con Dino Angioletti e messo su il primo disco’?
Hai detto bene, il primo disco! Lo stesso con cui iniziavo spesso le serate fine anni ’80 in quel locale, James Brown “People, Get Up And Drive Your Funky Soul”. È stata un emozione esagerata, fortissima… non la scorderò mai! Con Dino Angioletti in una forma strepitosa, quella notte è stata veramente magica. Un locale pieno all’inverosimile dove persone grandi e giovani si sono lasciate trasportare esclusivamente dalla musica creando uno spettacolo unico, in un back to back tra disco, house e techno… just amazìng! Nulla a che vedere con la “serata remember”, lungi da me partecipare a questo tipo di evento.
Ok, la rinascita del vinile. Ok, il periodo d’oro che sta vivendo questo formato. Tu, per esempio, che non hai mai tradito il vinile, te n’è mai importato qualcosa di questa seconda giovinezza che sta vivendo? Dove andavi a recuperare e a comprare, e dove attualmente compri, i dischi?
In effetti ritorno o meno del vinile a me non fa nessun effetto. È da quando ho iniziato che non ho mai smesso di amarli e collezionarli, e oramai da quasi quindici anni ho un negozio online che si chiama Hot Groovy Records con quasi 50.000 vinili di soul, funk, disco, jazz in stock e in vendita, frutto di numerosi viaggi fatti in America alla ricerca di questi impolverati vinili. L’emozione che mi da il diggin’ in questi luoghi è incrediìbile, unica! Ancora oggi per me non è cambiato nulla e ho costantemente bisogno di andarne alla ricerca!
La Irma Records è tra le label più importanti e rinomate d’Italia, cardine fondamentale per conoscere meglio il fermento musicale che c’era a Bologna negli anni ’90. Tu che ne hai fatto parte fin dai suoi inizi, avviando lì dentro la tua attività da producer, che rapporto hai con Umbi Damiani e l’etichetta? È sicuramente qualcosa di più di un semplice rapporto lavorativo, ma la prima volta che sei venuto a contatto con l’etichetta, cosa ti aspettavi a quei tempi?
Umbi oltre ad essere un amico, è colui che fin dalla nascita di questa label mi ha fedelmente accompagnato in tutte le mie produzioni, confrontandoci abbiamo sempre cercato di ottenere il meglio. Ci siamo conosciuti quando ancora in quei magazzini distribuiva e vendeva dischi, è stato uno dei primi a importare dischi house, si passavano interi pomeriggi ad ascoltare musica. Poi verso la fine del 1988 mi propose di stampare un disco con delle basi che avevo sovrapposto con un 4 piste a cassette Tascam, una sorta di bootleg. Poco dopo partecipai insieme a Kekkotronics a quello che fu il primo disco su etichetta Irma: first Job. Da quel momento ho realizzato tantissime produzioni e remix.
Per quanto riguarda l’acid jazz in Italia, ne sei l’ambasciatore già in tempi, diciamo, pionieristici con i Bossa Nostra. Ti ricordi cosa hai provato la prima volta che hai varcato quel confine da essere dj a produttore?
Bossa Nostra è stato il primo gruppo che mi ha visto nella veste di produttore ed è avvenuto proprio in quel fantastico periodo inizio anni ’90 in cui le produzioni musicali erano contaminate da quel caldo sound… l’acid jazz! È stata una bellissima esperienza seppur difficile da gestire. Ho avuto modo per la prima volta di condividere il mio concetto di groove attraverso una vera band di eccellenti musicisti, nonchè l’enorme piacere di ricreare alcuni classici con guest internazionali come Vicky Anderson e Joe Bataan!
Bologna è una città con un’offerta di spazi molto diversi tra loro, dal Link al Ex Forno Mambo, passando per Cassero e Arterìa. Ci fai un tuo personale itinerario notturno da consigliare a chi ci legge?
Per mia abitudine e per cercare di non mancare di rispetto verso qualcuno che non nominerei preferisco sempre non fare nomi sia di dj che di locali, considerando anche che frequento poco i locali bolognesi.
Guardando indietro alla tua carriera, c’è qualcosa che ti manca dal passato e se hai mai avuto qualche rammarico?
Per carattere e per forte dignità personale ogni cosa che faccio deve essere conquistata dalla mia reale capacità di produttore e dj, lungi da me cercare di ottenere qualcosa sgomitando, perdendo ore al telefono o inviando continui messaggi a promoters, art director ecc ecc… onde per cui tutto quello che non è avvenuto, ma che sicuramente sarebbe potuto accadere applicando questi tristi metodi, non mi da rammarico.
Cosa ti aspetti dal tuo set al Jazz Re Found? C’è qualche artista che non vedi l’ora di vedere dal vivo?
Tutti gli eventi Jazz:Re:Found e/o i party organizzati da Denis & Co. sono sempre stati emozionanti all’insegna del buon sound e sotto il segno della vera club culture, quindi sto aspettando con ansia il nuovo festival, che mai come quest’anno a mio avviso è stato assemblato senza alcun tipo di compromesso. Un festival coraggioso, veramente alternativo fatto per chi ama la musica, per chi ha soul!