Una volta che il Sole si è abbandonato sotto la linea dell’orizzonte per prendere un po’ fiato tra una giornata e l’altra, ci hanno pensato le mille luci gialle degli ADE Light Cube ad illuminare il cammino ai viaggiatori, indicandoci la via ed accentuando l’ubiqua presenza di Amsterdam Dance Event nel tessuto sociale della città dei canali. Anche se, è doveroso renderlo noto, non tutte le luci hanno brillato come ci si attendeva. Dopo diversi anni di presenza sul campo, abbiamo cercato di focalizzare l’attenzione bilanciando novità e certezze, cercando di perdere il meno possibile di quanto questa estenuante Maratona (durata ben cinque giorni) aveva da offrire. Poter usufruire di un’automobile (sebbene spostarsi con mezzi pubblici e taxi sarebbe stato comunque non impossibile, specialmente in centro) ha innegabilmente facilitato il compito, permettendoci di fare su e giù per le strade del Ring con prevedibile agilità e di poter garantire alla nostra parte notturna un apporto considerevole non solo in termini qualitativi ma anche e soprattutto quantitativi.
Volendo dare la precedenza ad un tema, ci sembra doveroso fermare la ruota sulle new entry fra le location, visto che (oltre ai moltissimi spazi rincodizionati una tantum per l’occasione) proprio in concomitanza con l’ADE sono state inaugurate due nuove e molto interessanti venue che andranno poi invece a lavorare con base settimanale: lo Shelter (che avevamo già avuto modo di assaporare nella sua apertura di prova dello scorso weekend) ha dimostrato, nella poderosa serata del giovedì con (fra gli altri) Moodymann ed il back-to-back in chiusura fra Jackmaster e Tom Trago, di essere già pronto a litigarsi un posto nell’élite cittadina, grazie ad una posizione “scomoda” ma strategica (l’ingresso del locale dista qualcosa come 50 metri dal battello che porta in pochi minuti da Amsterdam Noord alla stazione centrale) ed un ambiente simil-warehouse ma con ritocchi e abbellimenti che ne aumentano esponenzialmente l’appeal. Unica pecca alcune “zone d’ombra” ai lati della consolle dove il soundsystem fatica a penetrare, rendendo alcuni spazi inabitabili per chi volesse godere a pieno dell’esperienza sonora. Dall’altra parte del canale il Claire, sito esattamente dove giaceva il fu Studio80 fino all’inizio di quest’anno nella centralissima Rembrandtplein, è sembrato (almeno nella sua notte inaugurale di mercoledì) ancora un cantiere aperto, con qualche modifica da attuare per garantirne il perfetto funzionamento. Abbiamo però notato una consistente ristrutturazione degli ambienti, con un nuovo set up quasi volto a far sembrare la sala principale una sorta di saloon o bar vecchio stile, con un discreto impatto dal punto di vista dell’atmosfera da club. Le sferzate poliedriche di un monumento al djing come Gilles Peterson hanno chiuso il cerchio mentre il locale andava sempre più riempiendosi già prima della mezzanotte. Vista la prorompente programmazione già annunciata saremo curiosi spettatori della sua evoluzione nei prossimi mesi, ma per ora ci tocca “rimandarlo a Settembre”.
Il resto del nostro ADE è proseguito rimbalzando da un club all’altro cercando di assaporare il più possibile, con l’obiettivo di catturarne le istantanee e di avere un quadro generale della situazione che permettesse un giudizio completo e ben articolato. Come spesso accaduto nel corso degli anni abbiamo (purtroppo) dovuto constatare la presenza di eventi poco pieni o addirittura desolatamente vuoti. Ammirare un paladino come James Lavelle festeggiare i 20 anni di un marchio storico come Global Underground eseguendo un set dalle epiche straordinarie, aiutato ad un impianto poderoso e da una location (il Q Factory) fra le più belle in città, e rendersi conto di essere una cinquantina di persone (per lo più over 30) ci ha lasciato un retrogusto difficile da mandare via. Ma se questo mezzo flop poteva trovare giustificazione nel poco appeal che il brand di Newcastle può esercitare sulle nuove generazioni, vedere un artista decisamente in voga come Ron Morelli suonare davanti a poche decine di persone al DEPOT durante la festa di MIR in cui si esibivano nomi come Function, Atom e Tobias, proprio non riusciamo a spiegarcelo. Forse, come avvenuto nei party del Sònar OFF a Barcellona, sarà necessario che alcuni promoter confluiscano in eventi magari più consistenti piuttosto che trovarsi alle prese con molti dancefloor inabitati ed artisti di grande rilevanza relegati a mere apparizioni di cui non resterà alcuna traccia.
E’ quindi pacifico, andando a tirare le somme, che i brand a riportare i dati più confortanti siano stati grosso modo quelli attesi: dal sempre dominante Awakenings, anche quest’anno fresco di cinque sold out consecutivi al Gashouder con ulteriori miglioramenti alla sua già imponente scenografia, al neo-entrato De School, che al suo primo ADE si lascia alle spalle tantissimi feedback positivi (la nuova sala al piano terra ha strappato ovazioni a tutto tondo) e tanti set degni di nota, passando per i party targati Loveland al Mediahaven e DGTL allo Scheepbouwloods, con un impatto in termini di allestimenti e soundsystem davvero importante e line up davvero stellari. Forse non avranno puntato tutti su artisti sperimentali o particolarmente ricercati, questo no, ma visti gli investimenti necessari per la riuscita di eventi simili lo possiamo ben comprendere. E a conti fatti la resa è stata talmente evidente da zittire qualsiasi tipo di critica. Stesso discorso che varrebbe intraprendere per l’Amsterdam Music Festival, che ci ha visti presenti per qualche ora nella giornata di sabato. La musica potrà non piacere, ma vedere uno stadio pieno di gente riunita solo per la musica elettronica, con una scenografia ed un impianto audio ai limiti dell’impressionante, qualche brivido sulla schiena, in tutta sincerità, ce l’ha provocato. Sicuramente non tutto è stato di nostro gradimento, anzi la netta sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di più simile a degli animatori in un villaggio turistico che a veri e propri dj era piuttosto forte, ma la frivolezza di una situazione del genere non può di certo (e non crediamo ve ne sia alcuna intenzione) minare la credibilità di un ambiente che (mai come ora) avrebbe bisogno di essere preso sul serio non solo per le sue profondissime radici socio-culturali, ma anche per le possibilità economiche che può generare. E se proprio non possiamo digerire questa angolazione da cui viene vista oggi la musica elettronica, uscendo dall’Amsterdam Arena abbiamo avuto la chiara sensazione che la “nostra” maniera di vivere la club culture e la musica che tanto amiamo possa convivere con questa nuova attitudine piuttosto agilmente. Senza sentirsi deturpati o insultati e brandire bastoni infuocati o forconi in nome di un non si sa ben quale diritto egemonico.
Andando ad analizzare invece le performance singole, il vincitore assoluto di quest’anno non può che essere uno e uno soltanto: Maceo Plex. L’americano, fresco di un’annata vissuta costantemente a fondo corsa e con due nuovi album all’orizzonte nel 2017, si è esibito quattro volte nell’arco del weekend sul suolo cittadino, recapitando in cassa altrettanti sold out instantanei, alternandosi tra la festa del suo party ibizenco “Mosaic” allo Scheepbouwloods (dove è stato all’opera sia in solitaria che in compagnia dei Modeselektor) ai tre party super esclusivi organizzati il venerdì sera sulla soglia del Rijksmuseum, uno dei monumenti simbolo della città, il sabato sera al Dok come special guest a sorpresa, e la domenica mattina nella A’dam Toren, la torre panoramica di Amsterdam Noord, dove ha suonato in back-to-back con Solar, altro artista americano tanto apprezzato a queste latitudini e già protagonista di un duetto in punta di fioretto il giovedì sera al Radion con il norvegese Prins Thomas. E proprio il “Principe del Norte” ha strappato ovazioni (sia in singolo che accompagnato) nella già citata festa XXX, dove anche il nostro Massimiliano Pagliara ha dato sfoggio di un set dalle tinte downtempo e 808-oriented per la gioia dei presenti. Allo stesso modo la raffinata e compita marcia musicale di Harvey Sutherland ha lasciato un grande strascico di emozioni il mercoledì al Chicago Social Club, prima che Leon Vynehall e Gerd Janson prendessero il comando della plancia fino all’alba. Altro vincitore indiscusso il live TS5 marchiato Craig David. Lo show del cantante di Southampton, sebbene sembrasse essenzialmente una miscela di tutte le evergreen r’n’b ed hip-hop che capita di trovare in qualunque disco pub (rispetto al Paradiso, dove si è esibito, bastava semplicemente attraversare la strada) la sua presenza sul palco ed una voce sublime hanno aggiunto un boost di esplosività e “presabene” che ne hanno sancito il tripudio ricevuto da una platea colma in ogni ordine di posto. E poi diciamocelo, risentire “Re-Rewind” e “Seven Days” ci fa sempre tornare adolescenti in un battibaleno.
E proprio dalla “vecchia guardia” sono arrivate alcune delle note più confortanti di questa settimana: se del redivivo James Lavelle avevamo già discusso sopra e di artisti come Sven Vath o Laurent Garnier è anche addirittura inutile rimarcare la costante capacità di creare la festa anche in un ascensore, il sempre impetuoso live di Luke Slater come Planetary Assault Systems mantiene un’innata capacità di stupire ogni volta per la fragranza e la varietà del suono proposto. Un vero piacere per le orecchie tanto quanto la selezione musicale di un asso come DJ Harvey, di cui abbiamo potuto testimoniare le ultime ore di un autentico viaggio lungo una notte intera di fronte ad un locale stupendo come il De Marktkantine, pieno come un tappo fino a mattina. Come del resto è stato anche per Kenny Dope e Jazzy Jeff, due giganti di tecnica e conoscenza musicale che si sono avvicendati nel torrido clima di festa del centralissimo SugarFactory per la gioia del molti fedeli giunti per l’occasione. Gli ultimi artisti (in termine di tempi di ascolto, non certo di importanza) ad aver fatto breccia nell’ancora fitta programmazione domenicale, sono stati senza dubbio la francese Jennifer Cardini, che al De School ha sciorinato molto di quel “suono di Amsterdam” (a metà fra techno europea e synth anni ’80) che tanto sta venendo acclamato a queste latitudini, le sferzate di acciaio giapponese proposte dal sempre intensissimo dj set di DJ Nobu all’H7 e la soulful lenitiva e splendida di Byron The Aquarius nella seconda sala del Radion mentre Theo Parrish regalava sei ore di caleidoscopica bellezza in quella principale andando così a chiudere, all’alba di lunedì, una settimana per cuori impavidi.