Palermo, metà dicembre 2015. Al Palermo Jazz Club mi è capitato di assistere, con molta fortuna, a un dj set di Filippo Zenna. Fuori fa freddo. Durante il warm-up Filippo se n’è stato tra il riservato e le quattro chiacchere da bar scambiate con amici e organizzatori. Una volta preso possesso della consolle ha mutato pelle. Come il serpente, si è tolto di dosso i vestiti dello spettatore ed ha indossato quelli del dj. Di un grandissimo dj. Da quel momento al locale le temperature si sono fatte tropicali e non ricordo bene com’è finita quella serata, il che vuol dire tanto. Tutto è partito da quella notte: ho iniziato a seguire il suo tour fatto di dj set in tutta Italia e di podcast usciti di qua e di là. Quello che mi ha perennemente affascinato sono le sue skills da selector di prim’ordine: Filippo ha un gusto e uno stile nello scegliere i brani da numero uno della classe. E ciò che mi piace di più è il flow che riesce a dare ai suoi set, sempre morbido, caldo, spiazzante e avvolgente. Per rimanere in tema di flow, un’altra chicca che ha visto il suo contributo riguarda il 7” “So U Are”, prodotto insieme a Zampera e Mutto e uscito su Periodica: a mio parere una delle uscite più belle del 2016. Si diverte a cantare – come in questo caso – e ogni tanto anche a produrre, ma i dj set sono il suo pane quotidiano, il suo campo. Lì gioca in casa e lì ci si è fatto le ossa. Ossa dure e solide che gli hanno permesso di entrare nella rubrica di Soundwall Giant Steps. Bando alle ciance, è il momento di dare spazio alle parole di Filippo Zenna aka ZenRa Soulman.
Passo numero uno: qual è il disco o la traccia che ti ha cambiato la vita? La primissima. Quella che ti ha fatto capire che la musica era veramente un’emozione particolare, più intensa di altre.
Sarebbe troppo riduttivo ricondurre tutto ad una sola traccia. Ricordo le Stereo8 di Barry White nella Seicento bianca di mio padre. O i primi ascolti di Battisti, Celentano e Mina che mia madre ha sempre adorato. Sono tante le influenze, le canzoni, i flash nella memoria relativamente alla mia crescita. So soltanto che non ho mai fatto nulla senza la musica. Perfino gli esami universitari li preparavo con le casse spesso a volumi imbarazzanti.
Passo numero due: quando hai capito che la musica, produrla o suonarla, sarebbe stata una parte fondamentale della tua vita?
Pasqua 1998, party Angels Of Love a Napoli. tre-quattromila persone in pista. Francois Kevorkian ai piatti per cinque ore circa. Quel set è diventato storia per tanti dj ed aspiranti tali della Campania di quegli anni. Io non avevo ancora compiuto sedici anni, non esistevano Discogs, Shazam, YouTube. Esisteva soltanto quel professore dieci metri più in alto di noi, che ad un tratto passò “Gabriel” di Peven Everett e poi “Watch Them Come” dello stesso Peven Everett su base di Roy Davis Jr. Da allora è scoppiato l’amore, poi diventato viscerale, per la musica da club e per i dj con cultura, umiltà e capacità di raccontare grandi storie durante una esibizione.
Passo a margine: quali sono stati i momenti di maggior crisi, nel tuo rapporto con la musica?
Mi confesso. Vivo in un rapporto di crisi perenne. Mi spiego meglio: sto sempre ad interrogarmi sulle mie scelte, sulla qualità dei set, sulla sequenza dei brani, su cosa rappresentano per me e di conseguenza per gli altri. Registro ciò che propongo in qualsiasi occasione, poi mi riascolto e parte il processo analitico. Anche per la stesura di questo podcast per Soundwall ho trascorso diversi giorni a riflettere sui dischi da mettere e sul senso da dare all’intera struttura. È un percorso costante di autocritica, finalizzato – questo è ciò che dice il Freud che è in me – a creare una mia identità chiara ed il più possibilmente unica. Nello stile, non nel genere sia chiaro. La musica è ormai facilmente accessibile a tutti. È un bene, ma l’omologazione è il più grande rischio. Quindi, paradossalmente, la crisi perenne mi porta a superare la crisi, proponendo ciò che davvero mi rappresenta e che sento dentro in un determinato momento. Non importa se sia jazz-fusion, disco spezzata, soulful house. Sono io. Con le mie crisi anti-crisi.
Passi importanti: quali sono stati finora i momenti più importanti, nella tua carriera?
Prenderei in prestito un famoso aforisma di Renato Zero e direi “i prossimi”. L’augurio che mi faccio quotidianamente è quello di crescere ed avere un numero maggiore di occasione per esprimermi. Non per vivere di musica (esserne vincolati economicamente rischia di creare frustrazioni, quindi continuo ad avere un altro lavoro), ma per vivere la musica con un tasso emozionale maggiore. Di momenti stupendi, per fortuna, ne ho vissuti tanti: il Bunker a Torino, il Palermo Jazz Club, il festival Rawland a Spoleto, il party Combo Combs a Verona, Time Play a Vicenza, Basic a Montevarchi, l’esperienza surreale a Spazio Aereo, l’esplosivo Denghe a Firenze, il Soul Express a Napoli, lo showcase Periodica a Padova per Cipria in compagnia del mio amico folle e visionario Whodamanny. Insomma, sono stato abbastanza fortunato fino ad ora.
Passi per prendere un po’ d’aria e trovare ispirazione ed energia: quali sono le tue altre passioni? Come le sviluppi? Quanto tempo riesci a dedicare loro?
Di passioni ne ho coltivate tante in passato. E continuo ad averne molte. Amo il calcio (la tattica nello specifico) e continuo a ripetermi che un giorno prenderò il patentino per allenare. Adoro poi i mercatini, di qualunque genere. E nel corso degli anni ho sviluppato una forte passione per il cinema. Chiaro, che lavorando tutti i giorni e dedicando quasi tutto il tempo che resta alla musica, c’è poco spazio per il resto.
Passi perduti: quali sono finora i tuoi più grandi rimpianti, musicalmente parlando?
In tutta onestà, non ho grossi rimpianti. Cioè, non c’è nulla che mi faccia rimuginare e pensare: “quell’occasione poteva farmi svoltare”. Forse, mi imputo un warm-up fin troppo teso prima di un dj che stimo moltissimo nel 2014. E poi se potessi tornare indietro, darei semplicemente meno importanza alle parole ed ai comportamenti di certa gente che purtroppo ha voce in capitolo, ma vale umanamente poco meno di zero.
Passi che consiglieresti: quali sono secondo te i cinque album (o brani) che consiglieresti e che non dovrebbero mancare nella discografia di tutte le persone a cui vuoi bene o che stimi?
Herbie Hancock “Monster”
Azymuth “Outbro”
Johnny Hammond “Gears”
Mina “Attila”
The Mystic Jungle Tribe “Solaria”
Passi in biblioteca o videoteca: quali libri o film consiglieresti?
Tutti i libri di John Fante e Stefano Benni. E l’intera filmografia di Terry Gilliam: su tutti “Brazil” e “La leggenda del re pescatore”.
Passi fondamentali: qual è il risultato artistico di cui finora vai più orgoglioso?
L’unico che è finora venuto fuori (come si fa a ridere in una intervista?). “So U Are” con Zampera e Mutto, per quanto sia nato per gioco, è ciò che in realtà avrei sempre voluto produrre. Ovviamente, stiamo già lavorando da un bel po’ di mesi per una nuova uscita, sempre su Periodica con quattro tracce nuove ed una bonus possibile.
Passi virtuali: come stai vivendo l’onnipresenza del web nelle nostre vite in questi anni? Visto tra l’altro che questa è una intervista che stiamo facendo per un media online…
Bisogna saperla metabolizzare la vita social. Soprattutto per chi, come me, è cresciuto senza questo tipo di interazioni virtuali. Il supporto media di oggi è prezioso se sfruttato nel modo giusto, senza esasperazioni. Oggi è molto più semplice farsi conoscere, ma allo stesso tempo è molto più facile scivolare in rapporti piatti, superficiali, in scrolling compulsivi e privi di approfondimento. Facebook e poi Instagram hanno generato quelli che io definisco i cerebrolesi da like: persone la cui serotonina aumenta solo in base al consenso ricevuto. Questa è la deriva da evitare. Se ci si riesce, i media moderni possono essere il più potente strumento di comunicazione.
Passi in compagnia: quali sono i dj e producer con cui senti più affinità, e con cui vorresti sempre e comunque condividere parole, progetti, obiettivi?
Questa domanda è difficile davvero. Prima di tutti ci sono le colonne portanti della mia vita: Orlando Longobardi, Roberto Bosco, Claudio Mate e Fabio Petrosino. Poi cito Filippo Tazzer, che attraverso la condivisione di questa passione è diventato mio amico fraterno. Stesso discorso per Raffaele Arcella in arte Whodamanny e Stefano Boati Ksoul. Di artisti che godono poi della mia stima ce ne sono molti altri, ma ritengo le liste un po’ stucchevoli. Quindi non aggiungo altro.
Passi incrociati: qual è la situazione, musicale e non, più assurda che ti è capitato di vivere?
Una serata in Emilia Romagna. Per questioni meteo, l’organizzazione dovette rinunciare ad un magnifico giardino di un castello e ripiegare su un un altro posto, al coperto. La conditio sine qua non fu quella di far suonare un gruppo folkloristico del posto prima del mio back-to-back con Filippo Tazzer. Questo gruppo cantava pezzi famosi, rivisitandoli in dialetto romagnolo. Diciamo che è stato il warm-up più atipico mai ascoltato. Ma per fortuna, quando iniziammo c’erano tanti ragazzi in attesa di fare festa ed il party decollò alla grande.
Passi sbagliati: quali sono le cose che più di danno fastidio nella scena musicale italiana?
La presunzione di certi promoter, convinti di avere per certi versi in pugno i dj. Mi infastidisce poi il senso di grandezza che si auto attribuiscono certi personaggi. Ed odio la tendenza a creare fazioni. In Italia ci sono dj e produttori tra i migliori al mondo, ma manca l’umiltà per fare squadra, come capita ad esempio in Olanda oppure in Australia. Quante volte siete andati in un club per sentire una guest e poi vi ha stupito molto di più il resident o il dj italiano semi-sconosciuto che ha suonato prima o dopo l’ospite? La nostra scuola musicale non è seconda a nessuno, ma l’Italia è abituata a spaccarsi, a creare partiti, piuttosto che a fare fronte comune.
Passi che stai per compiere: quali sono i tuoi prossimi progetti?
Come già accennato, il 2017 dovrebbe vedere l’uscita, sempre su Periodica, di un mini-album prodotto con Zampera e Mutto dal titolo “Solo La Musica”. Quattro tracce, due delle quali cantate in dialetto napoletano. Ho pure lavorato ad un progetto soulful sotto il nome di Mediterraneo, ma non è ancora chiaro se vedrà la luce oppure no.
Passi sinestetici: salutaci non con delle parole, ma con una traccia, non importa se tua o di altri.