Booka Shade, duo elettronico di base – indovina un po’ – a Berlino, è composto da Walter Merziger e Arno Kammermeier e si possono tranquillamente nominare veterani della scena tech-house, con più di venticinque anni al servizio della musica. Pubblicato il 7 aprile, il nuovo album “Galvany Street”, segna una svolta notevole nel percorso musicale del duo, che si spoglia dei suoni del passato per indossare una nuova veste, più consona alla loro maturazione non solo artistica ma anche anagrafica.
Dopo il vostro ultimo album, “EVE”, qualcosa come quattro anni fa, e quello che avete voi stessi chiamato “periodo di crisi creativa”, qual’è stato il processo che vi ha portato a “Galvany Street”?
Per noi artisti tutto gira intorno al progresso creativo. Ci stanchiamo facilmente e, quando crediamo di avere detto tutto in un determinato contesto musicale, proviamo nuove strade per esprimere noi stessi. Siamo orgogliosi di dire che attraverso questo album, specialmente attraverso le tracce strumentali, abbiamo creato un “Booka Shade Sound Universe” un suono che sia riconoscibile, cosa difficile se non hai un cantante. Poco dopo “EVE” avevamo avuto il sentore che ormai avessimo esplorato la tech house in ogni suo lato e che fosse tempo per un cambiamento. Non ci piace ripeterci e rimanere incastrati da qualche parte, quindi abbiamo preso tutto quello che avevamo, e lo abbiamo mescolato. Abbiamo cambiato le nostre routines, ci siamo aperti a collaborazioni con cantanti – specialmente con l’ex frontman degli Archive Craig Walker – e abbiamo usato strumenti differenti da quelli che eravamo soliti utilizzare. Praticamente abbiamo cercato di fare tutto quello che non abbiamo mai fatto in passato! Anche la presenza del leggendario mixer/producer Mark Plati è stata molto importante. Conosciuto principalmente per i suoi lavori con David Bowie, New Order e The Cure, abbiamo collaborato con lui su tre tracce, “Digging a Hole”, “Eyes Open” e “All Falls Down”. Altri input sul mixing sono arrivati dal nostro amico di lunga data Fritz Hilbert dei Kraftwerk che ci ha suggerito di inserire un sacco di vocals. Insomma due le direttive: non doveva essere il classico Booka Shade, e non doveva contenere tech house beats. Non volevamo però che la gente non ballasse più sui nostri pezzi, quindi gli abbiamo voluto dare un taglio disco.
Quanto è stata importante la presenza di Craig Walker in questo processo?
Abbiamo cominciato a scrivere le tracce del nuovo album subito dopo la release di “EVE”. Sapevamo già di volere più vocals e una struttura più musicale. Abbiamo provato quindi una sfilza di coristi, uomini e donne, e ci siamo resi conto che volevamo un uomo adulto, con una voce seria, un po’ dark. Craig si è trasferito a Berlino nel 2015 e ha preso uno studio al Riverside, vicino al nostro. Qualcuno ci ha presentati, abbiamo realizzato che avevamo mutuo rispetto per i lavori gli uni dell’altro, abbiamo provato una traccia…é il nostro uomo!
E com’è stata la collaborazione con Craig, dal suo punto di vista, dal momento che viene da un background completamente differente?
In realtà non poi così differente. Abbiamo la stessa età, veniamo tutti dalla new wave degli anni ’80. Per Craig comunque è stato un piacere scrivere testi su tracce che avevano già un sacco di atmosfera. La vera sorpresa è stata quando, proponendo i vocals, ci ha ispirato per rimettere mano alle tracce che consideravamo già chiuse.
E le altre collaborazioni, come ad esempio con Urdur Hákonardóttir dei GusGus o Australian Yates?
Urdur ci è stato suggerito dallo stesso Craig. Si conoscono bene, e noi eravamo contenti dell’idea di avere più contributing vocals. Stavamo registrando “Babylon” quando lei, passando, si è fermata in studio a salutare e se ne è uscita con la meravigliosa parte centrale del pezzo. Stessa cosa più o meno con Yates, abbiamo trovato la sua voce molto interessante e in effetti i vocal sperimentali in “Peak” si sposano perfettamente con le atmosfere del pezzo.
E il nome “Galvany Street” da dove viene? È un riferimento topografico?
“Galvany Street” è un gioco di parole basato sul processo galvanico. L’energia chimica (Booka Shade e Craig Walker) è convertita in energia elettrica (la musica). La collaborazione con Craig, inoltre, è stata così naturale che sembrava fossimo un tutt’uno, fuso insieme.
Pensate che si possa leggere il cambiamento dalla techno/tech-house all’indie dance come un segno di maturità? Ci sono ragioni autobiografiche all’interno?
Non ci era rimasto molto da esplorare nella tech-house, e ci è sembrato molto naturale scrivere musica che possiamo portare su un palco come band, in un concerto, e non in un DJ booth a tarda notte. Sono sicuro che molte persone della nostra età si sentano come noi: amano la musica elettronica ma non escono più spesso come prima. Quindi si, è stata anche una scelta dettata dalla maturità, e da esigenze diverse.
Lo definireste quasi un ritorno alle vostre primissime radici pop degli anni ’80?
Nei nostri 25 anni di carriera come producer e songwriter ci siamo mossi spesso tra pop e club, ma sinceramente? Non amiamo per niente le definizioni.
E d’ora in poi, pensate sarà questa la direzione da seguire?
Non amiamo pianificare, siamo sempre aperti a nuova ispirazione. Vediamo dove ci porta il viaggio.
Trovo che la vostra sia una scelta coraggiosa, in controtendenza con l’attuale techno-mania e il ritorno alle sonorità anni ’90. Voi cosa ne dite?
Non siamo mai stati bravi nel seguire i trend, abbiamo sempre creato il nostro proprio universo musicale. Prendi “Body Language” per esempio, quando il pezzo uscì non rientrava in nessuna categoria, ha 130 bpm, che sono troppo veloci per una traccia house, ma non è nemmeno techno. E poi ha quel lungo break con del silenzio in mezzo, eppure il pezzo ha trovato la sua strada. Book Shade è un ego trip nudo e crudo, facciamo solo quello che ci piace, indipendentemente da quello che possa essere vendibile o trendy. Ci abbiamo sempre riso sopra, dicendo: lavoriamo così lentamente e per così tanto tempo sulla nostra musica che se provassimo a seguire un trend sarebbe già finito ora che riusciamo a finire la musica che stiamo producendo!