Questa storia leggetevela bene. Anche perché nel nostro paese, ve lo garantiamo, sono ancora in tanti che se ne vengono fuori con la terribile e temibile frase: “Ho avuto un’idea geniale: facciamo un festival!”. Per dire, le principali agenzie di booking italiane sono ancor’oggi funestate dalla continua presenza dei geni archimedici in questione, gente che senza nessuna esperienza e nessun pregresso se ne salta fuori all’improvviso e ti contatta sventolando questa frase magica (restandoci pure male quando vedono che il loro interlocutore non fa subito una faccia a metà fra meraviglia, entusiasmo ed ammirazione).
Intendiamoci: in Italia è pieno di festival fatti con criterio, gusto, passione, professionalità, efficienza, efficacia. Magari non giganteschi come i Coachella o i Sónar o i Time Warp di turno, ok, ma belli e degni di rispetto, amore e supporto. Basta scorrere le nostre pagine: ne incontrerete parecchi. Proprio tanti. E proprio belli.
Però ecco: in tempi in cui i festival musicali sono diventati una moda pervasiva&invasiva – perfino Chiara Ferragni ne fa una bandiera, e ci pare di aver detto tutto – è abbastanza automatico che la schiatta dei “Ho avuto un’idea geniale, faccio un festival” sia in circolazione come e più di prima. Se ne fate parte, o se conoscete qualcuno che ne fa parte, seguitevi bene questa storia.
Billy MacFarland, venticinque anni, una passione per la programmazione informatica (con cui evidentemente ha messo parte un gruzzolo, oltre a quello lasciatogli dai genitori, che gli permette di farsi sogni imprenditoriali non convenzionali) e una per il rap. Quest’ultima lo porta a conoscere, diventare prima amico e poi socio d’affari di Ja Rule: un rapper con un grande futuro dietro le spalle, che esordì nel 1999 con un album dal titolo – sì, stiamo ridendo ancora – “Venni Vetti Vecci” (…già, voleva ispirarsi al “Veni vidi vici” di Giulio Cesare), ebbe anche un certo successo, si mise e litigare praticamente con chiunque (a partire da Eminem e 50 Cent, storiche le sue faide con loro), iniziò ad andar via di testa, a vendere meno dischi, a farsi cacciare dalle etichette e, punto più basso della parabola, a farsi arrestare per evasione fiscale – un anno di galera, in America non si scherza – e altre piccolezze.
Una volta fuori dal carcere questa squinternata mezza gloria dell’hip hop americano si imbatte nel giovane MacFarland e insieme decidono, immaginiamo dandosi dei geni a vicenda, di creare una “media company”, la Fyre. Tra le mille avventure dei due amiconi, c’è anche quella del brevetto da pilota d’aereo: approssimativi come sono, un giorno mentre sono in volo da New Yor verso le Bahamas a pochi chilometri dall’arrivo restano a secco e devono fare un atterraggio di fortuna in un’isola dell’arcipelago delle Exuma. Una volta atterrati, si guardano attorno e – ce li immaginiamo – ad un certo punto esclamano all’unisono la fatidica frase: “Ma che posto meraviglioso, facciamoci un festival!”.
Il nerd ringalluzzito e il rapper appannato sognano in grande. Lo immaginano come luxury festival: biglietti che vanno dai 4.000 ai 12.000 dollari, a seconda della destinazione. Ah, scusate: se proprio volete trattarvi benino, c’è anche il pacchetto da 250.000 (duecentocinquantamila) dollari. Alé. Ingaggiano testimonial famosi, a partire dalla famigerata Emily Ratajkowski, che flauta in giro come il Fyre Festival sia un evento bellissimo, esclusivo, imperdibile, evviva. Con lei, altre bellone come Kendall Jenner e Bella Hadid: “Potranno mai non fidarsi di cotali gnocche?”, avranno pensato MacFarland e Ja Rule. Potranno? Favoriamo qui sotto una delle immagini promozionali del festival.
Qualcuno si è fidato, in effetti. Ma mica tutti. Di sicuro, non si sono fidati in abbastanza. E allora ecco che la line up annunciata – con sospetto ritardo – dal Fyre Festival (Blink-182, Disclosure, Major Lazer, Kanye West scusate non può ma manda qualche amichetto suo della G.O.O.D. Music, Skepta, altri ancora…) all’inizio non viene contestata da nessuno degli artisti in questione, ma già a un paio di mesi dall’evento gli addetti ai lavori – attenzione: solo gli addetti ai lavori – iniziano a sentire qualche scricchiolio, vedi anticipi sulle fee che non arrivano ed eccessiva vaghezza sulle condizioni tecniche da offrire per contratto a livello di produzione. Il bubbone scoppia quando i Blink-182 annunciano pubblicamente che no, loro al Fyre non ci vanno: “Con grande dispiacere, e dopo averci pensato a lungo, dobbiamo annunciarvi che non suoneremo al Fyre Festival alle Bahamas nelle esibizioni previste questo weekend e il prossimo. Non abbiamo infatti la certezza che ci saranno garantite le condizioni tecniche per poter offrire, come facciamo sempre, uno spettacolo ai massimi livelli ai nostri fan”.
— blink-182 (@blink182) 27 aprile 2017
“Dopo averci pensato a lungo”: questa frasetta fa capire che no, MacFarland e Ja Rule non sono dei semplici truffatori che hanno sparato nomi a caso nella line up e c’hanno costruito sopra un festival-fantasma: gli artisti annunciati in cartellone erano stati contattati per davvero e, evidentemente, era stata proposta loro una cifra talmente alta per l’esibizione da convincere i loro management a dare comunque fiducia a ‘sto Fyre Festival. “Se è una truffa sfiga e bestemmie, ma se non lo è ci intaschiamo talmente tanti di quei soldi che andiamo tutti a star bene: massì, proviamoci”: deve essere andata più o meno così, negli uffici delle agenzie che rappresentano gli artisti in questione. Perché dovete sapere che se tu sei un festival nuovo sul mercato e la tua credibilità e curriculum sono giocoforza ancora scarsi, il cachet richiesto dagli artisti s’impenna. Vuoi rischiare? Prego. Non vuoi rischiare? Mica ti ha ordinato il dottore di fare un festival.
…non te l’ha ordinato il dottore, ma te l’ha ordinato l’ego: spesso è così. E Ja Rule e MacFarland ne hanno a pacchi. “C’abbiamo un’isola da sogno, c’abbiamo una line up da sballo, c’abbiamo le PR VIP: e chi ci ferma? Dai che spacchiamo”. Scommettiamo il nostro biglietto della partita che ha segnato il ritorno in A del Verona dopo anni di purgatorio in Lega Pro e B – il nostro cimelio preferito – che negli uffici della Fyre sono volate queste parole e questi pensieri.
Parole e pensieri che, su scala molto minore, ogni tanto affiorano anche in Italia. C’ho la line up, c’ho la location, c’ho le PR: ecchecevo’? So’ a cavallo! O no? Eh no. Sei a cavallo, ma dopo mezzo secondo ci pensano tante cose a disarcionarti. Tante tante cose. Così come MacFarland, Ja Rule e soci sono stati disarcionati dal fatto che non hanno considerato che sull’isola prescelta le infrastrutture sono a meno del minimo (nella location devi portare non solo l’elettricità, ma pure l’acqua corrente), non hanno considerato che “…ah sì, poi dobbiamo montare anche le tende vendute nei pacchetti-biglietto, ma che vuoi che sia” per poi scoprire che noleggio e trasporto ti costano come il cachet di Deadmaus, non hanno nemmeno considerato che non automaticamente se spari certi nomi “di moda” in line up e c’hai Emily che sbatte gli occhioni la gente ti compra i biglietti in prevendita. A maggior ragione se li fai a prezzi da strozzo.
Risultato? Come un castello di carta bombardato da un idrante, quando i primi ospiti hanno comunque iniziato ad arrivare le cose sono andate a rotoli, una dopo l’altra. Già il forfait dei Blink, a un giorno dall’inizio ufficiale dell’evento. Ma poi anche i primi ospiti – gente che, lo ricordiamo, ha speso importi a quattro cifre – una volta arrivati, beh, hanno constatato che le infrastrutture erano da terzo mondo, altro che luxury festival. Pure la sicurezza in loco non era proprio al massimo, con bande di scippatori che pare si aggirassero nell’area dell’evento, a sentire alcuni tweet poi ripresi da vari media. Un po’ di reazioni le trovate qui, per dire, ma basta pascolare un po’ per Google e si trova di tutto. Tonnellate di tweet orrificati.
A quel punto, MacFarland e Ja Rule alzano bandiera bianca. Festival annullato. Una dichiarazione ufficiale del primo in cui non sai se ridere (se non sei stato coinvolto) o prendere la vanga e tirargliela ripetutamente in testa (se in qualche modo c’hai rimesso anche solo mezzo cent), sintetizzabile in “Scusate, non sapevamo fosse così difficile fare un festival” (…ah, evidentemente era difficile anche fermarsi in tempo prima del disastro rendendosi conto di come sarebbe andata a finire, anche perché nel frattempo della line up tanto sbandierata salta ora fuori che già da un mesetto si sapeva che molti artisti non erano stati saldati secondo gli anticipi pattuiti ed erano quindi pronti a tirare pacco all’ultimo se sui loro conti correnti non si fosse presentato il giusto prima dell’esibizione sul palco).
C’è un passaggio che è fantastico, della dichiarazione che abbiamo linkato sopra, e spiega molte molte cose: “Abbiamo lanciato ‘sto sito e iniziato a creare sopra a questo ipotetico festival una campagna di marketing. C’hanno preso tutti sul serio e abbiamo subito riscontrato un grande entusiasmo, tanto che questo festival è iniziato a diventare qualcosa di reale. Da lì, abbiamo iniziato a chiudere i contratti con gli artisti, andava tutto bene. Eravamo gasatissimi. Poi però la realtà delle cose ha iniziato a chiedere il suo conto, e un sacco di difficoltà concrete si sono messe sulla nostra strada”.
Cioè: avete un’idea geniale (tipo, “Raga, facciamo un festival!”), avete iniziato a pubblicizzarla in giro puntando ogni risorsa sul confezionare ‘sta idea bene (tipo, “Oh, ma ci stanno prendendo sul serio! La nostra idea geniale piace un sacco”), solo in quel momento iniziate ad agire concretamente ma invece di partire dalle spese semi-fisse (le infrastrutture, le spese di produzione) vi lanciate subito a fare la raccolta di figurine (tipo, “Chiamiamo questo in line up! E questo! E questo! …oddio, avremo soldi? Massì, la nostra idea sta piacendo talmente tanto che figurati se non vendiamo un fottìo di biglietti in prevendita! Siamo in una botte di ferro!”).
Che ad oggi si blateri ancora di rischedulare il Fyre Festival, come in effetti sta accadendo anche dai canali ufficiali dell’evento, è segno solo della demenza (e dell’ego) di chi l’ha pensato e (mal) organizzato.
Un paio di insegnamenti: se non avete mai organizzato un festival e vi è venuta l’idea geniale di farne uno, prima di tutto appendetevi una foto di MacFarland in camera, con in sottofondo un pezzo di Ja Rule. Se dopo una settimana così non vi è passata la voglia, rivolgetevi solo ed unicamente a persone che hanno esperienza nel settore, nei vari luoghi esecutivi, parlate con loro: un festival non è una cosa da salto nel vuoto. Se pure loro vi danno fiducia, iniziate a scrivere sul frigo in cucina con le lettere magnetiche o sul palmo della mano la seguente frase: LA LINE UP E’ SOLO UNA COMPONENTE FRA TANTE DI UN FESTIVAL MUSICALE. Mettetela anche in macchina, questa frase, sotto ad un’iconcina della Vergine Maria coprendo la scritta “Guida piano”.
Fatto tutto? Bene. Potete iniziare piano piano a procedere. Sarà un viaggio lunghissimo. Le cose da seguire, in un festival musicale, sono un’infinità: tra permessi, produzioni, installazioni, accordi, gestione delle risorse umane. Se ad un certo punto, a metà strada, penserete “Ma maledizione, ma chi me l’ha fatto fare” vuol dire che state facendo le cose per bene.
In Italia, praticamente ogni anno c’è gente che rimette l’equivalente di un appartamento (magari anche di lusso, in città di pregio) per aver organizzato un festival, anche in casi in cui accorrono migliaia e migliaia di persone. Per fortuna da noi dei rincoglioniti come MacFarland e Ja Rule a occhio non ci sono e non ci sono mai stati. Ma non si sa mai. Se ne conoscete, fermateli.
E se qualcuno vi chiede 4, 8, 12000 dollari per un festival e voi li sganciate pure, siete dei coglioni.
Vi meritate la mota. E un ascolto di un album (scrauso) di Ja Rule in repeat, stile “Arancia Meccanica”.
Ah, dimenticavamo: buon Fyre Festival.