E’ arrivato, è subito finito in cima alle chart, ha catturato immediatamente l’attenzione di tutti. E ci mancherebbe, visto 1) lo spessore di Damon Albarn 2) lo spessore del progetto Gorillaz 3) lo spessore degli ospiti che sono stati radunati per questo “Humanz”. Questo comunque è un album “strano, che merita un’analisi attenta. Abbiamo messo allora all’opera Emiliano Colasanti e Damir Ivic, chiedendo loro di mettersi uno di fronte all’altro e di “vivisezionare” l’album traccia per traccia. Ne nasce una chiacchierata che è una recensione, sì, ma è anche qualcosa di più.
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(Emiliano Colasanti) Prologo e premesse…
Non so se tu sei d’accordo, ma per me i Gorillaz sono sempre stati un gruppo da “singoli”, nel senso che la prima cosa che ti arriva quando ascolti un loro disco è proprio un’idea di frammentarietà voluta, inseguita e ottenuta spesso forzando anche la mano.
Non potrebbe essere altrimenti per un progetto che nasce partendo dall’idea di una band cartoonish e che punta quasi tutto sul mettere insieme quanti più featuring possibili e bizzarri.
Insomma io ho sempre la sensazione che Damon Albarn affronti gli album dei Gorillaz – tranne forse “The Fall” che era un disco particolare, nato in tour e creato utilizzando solo le app dell’iPad (al tempo era una novità assoluta – come si affronta la stesura di una compilation.
E se ci pensi è interessante, perché i Gorillaz hanno cominciato il loro percorso in epoca pre-streaming e in maniera del tutto casuale hanno anticipato il concetto di playlist che ora va tanto di moda. Perché allora non proviamo a mantenere lo spirito di un disco del genere anche in sede di recensione, affrontandolo canzone per canzone?
Ci stai? Cominciamo?
Sei fortunato perché ti tocca l’intro!
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(Damir Ivic) Intro: I Switched My Robot Off + Ascension (feat. Vince Staples)
…e così me la sbrigo in ventitré secondi? No dai, lasciami anche la prima traccia vera e propria, “Ascension”. Lasciami Vince Staples. Lasciami l’ennesima riprova che Damon Albarn non solo ha sempre più di un occhio buttato sull’hip hop, ma l’occhio è pure lungo e sofisticato. Anzi, forse stavolta ancora più furbo ed hipster del solito, a mettere in campo Vince Staples (cricca Odd Future, eccetera eccetera, il rap che piace agli influencer, quella cosa lì); però ecco, pure in questo caso succede quella molto interessante e soprattutto Gorillaz al 100%: il rapper di turno si trova in un territorio musicale leggermente diverso, meno hip hop e più lo-fi pop, e pure stavolta il meccanismo funziona. Non è la nuova “Clint Eastwood” (anche se Vince qua un po’ mi ricorda Del, accidenti quanto è bravo e sottovalutato Del Tha Funkee Homosapien), né vuole esserlo, ma mi pare una apertura di album più che dignitosa e frizzante, per quanto scarna e semplice.
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(Emiliano Colasanti) Strobelite (feat. Peven Everett)
Alla fine la raison d’être (ok, scusami) dei Gorillaz potrebbe essere proprio questa: far convivere mondi che di solito insieme funzionano poco e azzeccarci, più o meno, sempre. In questo disco in particolare mi sembra che anche nella scelta dei feat si sia divertito non poco a creare accoppiate bizzarre (ma ci arriveremo).
La cosa interessante, per me, è che non affronta certe sonorità, l’hip hop ma non solo, da turista.
Non cerca di replicarne l’essenza, scimmiottare i suoni più in voga etc etc, ma è sempre come se fosse solo la sua versione di quella cosa. Lo senti che arriva da un’altra parte e anche il dove vuole andare a parare è lontano da ogni forma di purismo di genere. In pratica i Gorillaz sono un progetto genderqueer.
Per esempio, “Strobelite”? Il pezzo con Peven Everett? Quanto è fighetto, proprio come concetto, collaborare con un nome del genere? Che poi Peven Everett è di Chicago, ma ha una vocalità che è la quintessenza del suono U.K. Garage.
È bastardo già di suo! Perfetto per i Gorillaz.
Comunque posso dire che in qualche modo sta smentendo la mia teoria dei Gorillaz come progetto in cui ogni canzone è un mondo a sé. Alla fine, nel modo bislacco in cui può esserlo un brano dei Gorillaz, trovo molta coerenza tra il pezzo con Vince Staples e “Strobelite”.
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(Damir Ivic) Saturnz Barz (Spirit House) (feat. Popcaan)
E la coerenza ce la metto anche tra “Strobelite” e la successiva “Saturnz Barz”. Ora: nel mio mondo ideale chi usa l’autotune è confinato ai lavori forzati in qualche miniera semidismessa della Ruhr, ma devo dire che questa sordida usanza spalmata sul suono-Gorillaz, soprattutto quella di questo album, diventa un po’ più accettabile. Tanto più che qua il cantato, nella seconda parte del brano, è affidato a un Albarn cazzone/salmodiante, non alla stellina soul di turno, come invece prescriverebbero i manuali della hit perfetta. Quindi insomma: finora molto bene. Ora però arrivano i De La Soul, chi si rivede. E arriva un brano un po’ particolare, “Momentz”. Che non è, no, la nuova “Feel Good Inc.”. Io la trovo più un imperscrutabile e discutibile incrocio tra Gnarls Barkley e Basement Jaxx. E no, non mi fa impazzire. Tu che ne pensi, invece?
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(Emiliano Colasanti) Momentz (feat. De La Soul)
Leggevo che a questo giro i De La Soul non erano previsti, e quel pezzo l’avrebbe dovuto cantare Dave Chapelle, il comico. A quanto pare Posdnuos se l’è letteralmente preso e portato a casa dopo averla sentita in studio di registrazione e ha preteso di rapparci sopra. Non so, alla fine De La Soul + Gorillaz (o semplicemente De La Soul + Damon Albarn) è ormai una specie di marchio registrato, “Feel Good Inc”. “Superfast Jellyfish”, “Here In After”… sarebbe stato se non ci fossero stati in questo disco. Però sono d’accordo: a parte un po’ di stupore iniziale per la cassa dritta, poi di questa canzone resta poco e niente. Il parlato finale – “Kool Klown Klan” – rimanda direttamente all’interludio che c’è subito dopo e che è preso da uno spettacolo di stand up comedian (ecco perché Dave Chapelle) di Steve Martin in cui sembra di sentire parlare Trump.
Lo spettro di Trump aleggia su tutto il disco, così come la brexit anche se non vengono mai nominati direttamente.
Il brano che arriva dopo, con Kelela e Danny Brown, lo lascio a te.
Mi sembra un possibile singolone, però. Forse l’unica vera hit finora?
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(Damir Ivic) Interlude: The Non-Conformist Oath + Submission (feat. Danny Brown, Kelela)
Ma sei sicuro? A me sembra un possibile singolone, anzi, un potenziale singolone, sì: nel senso che avrebbe tutti gli elementi per decollare (Kelela se la canta davvero bene per dire, è proprio “radiofonicamente” perfetta), poi però non decolla mai. Ha la stupidera da singolo, ma non i mezzi per affondare il colpo. Per dire, a me convince molto di più quanto approntato con Grace Jones. Ok, non come singolo, ma come impatto e come “carisma” sì. E’ ritagliato molto bene su di lei, “Charger”.
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(Emiliano Colasanti) Charger (feat. Grace Jones)
No beh, io parlavo proprio di presa sul pubblico. Mi sembra un pezzo dal grande potenziale radio, mentre il resto del disco si muove comunque su altri schemi: la forza dei Gorillaz è proprio quella di riuscire a infilare elementi di disturbo dentro una cosa che in realtà nasce proprio per essere popolare e facile.
Il pezzo con Grace Jones è senza dubbio uno dei migliori del disco, a partire dal beat, e quando arriva la sua voce è proprio un altro mondo. Altro carisma. Altro tutto.
Il brano rispecchia la natura quasi lo-fi del resto del disco, ho letto che è quasi tutto stato composto (anche questo) buttando idee su Garage Band, con l’iPad, e moltissimi dei suoni che senti nel prodotto finito sono proprio quelli che c’erano nelle prime bozze. Ha tenuto tutto. Un trionfo di plug-in, per dirla in termini tipici da menù di ristorante fighetto.
Prendiamo l’ascensore? Spingi tu il tasto?
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(Damir Ivic) Andromeda (feat. D.R.A.M.)
Prendo l’ascensore verso “Andromeda” e chi mi trovo? Mi trovo uno che ha esordito con un pezzo che si chiama “Cha Cha” ed è diventato famoso con uno che si chiama “Broccoli”. Terribile, a vederla così. Per la presenza di D.R.A.M. in questo lavoro dei Gorillaz mi ha fatto molto riflettere su una cosa: in realtà Albarn a l’amico dei broccoli e del cha cha partono da background praticamente opposti (i Blur e l’intellettualismo per per il primo, la tamarreide black contemporanea per il secondo) ma arrivano su destinazioni simili. Una musica che è allegro disimpegno festaiolo ma con qualcosa di strano, irregolare in sé.
Un’alchimia strana, per cui un disco dei Gorillaz poteva andare bene quando è arrivato per la prima volta (e infatti l’esordio fu un successo epocale tanto di critica quanto di pubblico) e può andare bene adesso, ora che l’hip hop dei bassoni e dei rapper sguaiati è un verbo dominante sia nelle classifiche che fra i cosiddetti, ehm, influencer (scusate la parolaccia).
E’ davvero “gommosa”, la formula dei Gorillaz. Si adatta a qualsiasi circostanza e a qualsiasi finestra temporale degli ultimi quindici anni. Forse perché in realtà non mira e non ha mai mirato troppo in alto. O no?
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(Emiliano Colasanti) Busted And Blue
Forse mi sbaglio io, ma tutto questo intellettualismo non l’ho mai visto neanche nei Blur.
O meglio: è una cosa che i Blur si sono conquistati passo dopo passo, ma pur non essendo mai stati hooligani come gli Oasis hanno in qualche modo sempre fatto leva su una sorta di leggerezza pop, tranne forse in “13”, che ne ha contraddistinto per lo meno l’immagine. Così come penso che in realtà l’idea dei Gorillaz sia altissima come concetto: la band pop “fittizia”, l’immaginario dei cartoni animati a fare il verso alle girl band di Spector, o i Monkees.
L’idea che per fare pop in un determinato modo tutto debba essere in qualche modo costruito, e infatti ogni personaggio ha la sua backstory, il suo mondo, le sue origini. C’è una continuity degna della Marvel dentro i Gorillaz.
Credo che il nodo di tutto sia proprio la parola pop, perché alla fine quello vuole essere: un progetto pop che utilizza strutture e stilemi della musica urban e non solo.
Comunque sono contento che mi sia toccata “Busted and Blue”, che è – interludi a parte – l’unica canzone senza feat. del disco e che sembra pescata direttamente dalle session di “Everyday Robots”, l’album solista di Albarn.
Non solo per via delle atmosfere soffuse, downbeat e la ritmica minimale, ma anche come testo dato che è la solita – per lui, dato che è leggermente ossessionato dalla questione – critica alla società iperconnessa, e alla solitudine che si nasconde dietro le nostre interazioni internettiane. E anche qui la sua voce è filtrata, nascosta, come a dire: “Volevi il ballatone strappa cuore? Guarda come ti sporco anche questo!”
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(Damir Ivic) Interlude: Talk Radio + Carnival (feat. Anthony Hamilton)
E perché? “Carnival” è pulita? Tra l’altro, Anthony Hamilton fa una figura strepitosa – l’hai mai sentito così in forma? Io no – e il pezzo è una specie di operazione di sintesi tra l’ultimo Dj Shadow e gli ultimi Massive Attack. Ecco, forse proprio in questo si sente un po’ la mancanza di sano “bomberismo” (mi passi il termine?) nell’impasto sonoro dei Gorillaz, in “Carnival” forse si poteva ancora di più premere il piede sull’acceleratore. Ma resta, già così, un pezzo molto, molto bello secondo me. Sono invece piuttosto perplesso sulla successiva “Let Me Out”, che con Mavis Staples e Pusha T come ospiti doveva essere una bomba invece a me pare un po’ confusa.
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(Emiliano Colasanti) Let Me Out (feat. Mavis Staples & Pusha T)
Il problema di quel pezzo è che visto l’attacco di Pusha T ti aspetti che entri un beat di quelli che buttano giù i muri e invece… nì. Forse tra tutte quelle presenti sul disco è quella dove hanno davvero cercato di riprodurre un pochino l’effetto “Clint Eastwood”, ma senza un hook altrettanto memorabile.
Però, oh… Mavis Staples! Damon secondo me si diverte un po’ a fare la collezione delle figurine.
Alla fine, soprattutto negli ultimi due dischi, ha messo insieme una serie di leggende inimmaginabili tutte insieme.
Comunque mi sta venendo un dubbio: abbiamo parlato tanto di hip hop, ma anche di lo-fi e di una sorta attitudine da prodotto “fatto in casa” che viene fuori brano dopo brano, posso dire che in alcuni beat, ma anche soprattutto in certi ritornelli ci sento un po’ di house vecchia scuola? Sono pazzo io?
O forse è questa la novità dei Gorillaz?
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(Damir Ivic) Intelude: Penthouse + Sex Murder Party (feat. Jamie Principle & Zebra Katz)
Guarda, nell’approccio potrei dirti proprio di sì. Però dillo che questa cosa l’hai pensata e scritta perché avevi già sentito “Sex Murder Party”, che pare uno scarto di produzione – ma di quelli buoni e saporiti – di Azari & III. Però ti chiedo: il risultato è lo stesso? Secondo me no. Perché la house vecchia scuola era in qualche modo più carnale, più sensuale, più dritta all’obiettivo. Mentre qua mi pare sia tutto filtrato comunque da una grande cerebralità. E’ un lo-fi e un “fatto in casa” intenzionale, programmatico, ben calibrato, non un “Porca eva non c’ho mezzo euro, ma questo disco a costo di mangiare Bucaneve marci e scaduti per un mese di fila lo voglio fare”.
D’altro canto lo dici anche tu, e controfirmo, che i featuring sono davvero una “raccolta di figurine”. Quindi ecco, ci vedo dietro un disegno molto preciso ed euclideo, nell’apparente scioltezza ed istintività del tutto. Però boh, magari sono schiavo del personaggio e dell’aura di Albarn, che ne so? Ad ogni modo, ora tocca a “She’s My Collar”: che a me pare bruttina. Gli anni 2000 che peggiorano i (peggiori) anni ’80 pop di matrice (pallidamente) black.
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(Emiliano Colasanti) She’s My Collar (feat. Kali Uchis)
Senza dubbio “She’s My Collar” è una delle più deboli dell’album.
E alla fine torna in voga il concetto di disco da prendere come una raccolta di singoli.
Ogni album dei Gorillaz è sempre il greatest hits dei Gorillaz.
Un greatest hits di soli inediti. Di questo pezzo mi piace l’atmosfera un po’ da colonna sonora di videogiochi.
La tipica canzone che pensi di trovare in uno dei mixtape dei ragazzini di “Stranger Things”.
Non conoscevo Kali Uchis. Tu?
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(Damir Ivic) Interlude: The Elephant + Hallelujah Money (feat. Benjamin Clementine)
La verità? Ho dovuto googlare. Invece non c’è certo bisogno di googlare Benjamin Clementine, ormai. Ma ho un grosso problema. Sai quale? La “Hallelujah Money” in cui imprime un marchio fortissimo, dando il contributo decisivo alla sensazione da inquietante, affettato straniamento che rende magnifica la tracca, tutto sommato a me pare la traccia migliore del disco. Forse addirittura: la traccia migliore del disco. Mi ricordo che quando l’ho sentita, visto ch è uscita a mo’ di preview dell’lp un po’ di tempo fa, ho pensato: “Che bella. Se questo è l’appetizer dell’album, ci aspettano grandissime cose”. Ora che ho scoperto che non è (solo) l’appetizer ma, per me, il suo picco devo dire che un po’ ci restando male.
Sia chiaro: il giudizio sull’intero lavoro resta positivo. Ben oltre la sufficienza. Ma non nascondo: ci sto restando un po’ male.
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(Emiliano Colasanti) We Got The Power (feat. Jehnny Beth)
Pensa che invece io ero arrivato a questo disco con le aspettative bassissime: le prime cinque – CINQUE – canzoni pubblicate in anteprima dopo “Hallelujah Money” mi avevano fatto temere un disco slegatissimo e che cercava di suonare mischiando più cose alla moda possibili. E invece alla fine “Humanz” è un album molto coerente, leggero, pop, ma con un senso logico che lega ogni canzone e uno stile di produzione fresco ma al tempo stesso personalissimo.
Al punto che mi sono ritrovato a pensare che forse esista un vero e proprio suono Gorillaz, e che Albarn sia partito proprio da lì per dar vita a questo disco e non da tutta la musica che gira intorno.
Poi c’è tutto il discorso dei cartoni animati e tutto l’aspetto visivo che dopo così tanti anni potrebbe sinceramente avere rotto il cazzo, e la mia sensazione è che il primo a rompersene sia stato proprio lui. Come se si trattasse di una tassa da pagare, una tassa che permette di giocare con la creatività e di creare immaginario, ma che di fatto non gli interessa più di tanto. Comunque sono contento perché mi hai lasciato “We Got the Power”, forse la canzone più chiacchierata dell’intero lavoro. E solo per un motivo. Un motivo con un nome e un cognome: Noel Gallagher.
C’è stato un momento in cui in questo pezzo c’erano solo Albarn, la voce e la chitarra di Noel e la chitarra di Coxon.
Praticamente il G3 del Britpop. Credo che lo stesso Damon non se la sia sentita di fare uscire una cosa del genere e ha coinvolto Jehnny Beth delle Savages, il coro gospel, insomma come se avesse voluto a tutti i costi levare l’attenzione da quella cosa lì. La cosa che fa ridere è che probabilmente è la canzone che funziona meno bene dell’intero disco.
O almeno è quella che piace meno a me e che mi fa venire voglia di scippare.
Perché in teoria il disco sarebbe finito, ma la versione digitale è composta di altri sei brani. E in uno di questi c’è Carly Simon. L’hai sentito? Perché la cosa più incredibile per me, alla fine di tutto, è proprio data dal fatto che una canzone del genere possa essere eliminata dal disco ufficiale. Chiunque firmerebbe per avere un brano così, con un featuring così, nel proprio disco. E invece…
E invece siamo noi che siamo vecchi e dopo tutto questo parlare di coerenza tra un brano e l’altro tocca ammettere che ci troviamo davanti all’ennesima playlist. Anche se stilosissima.
Damon Albarn ha dichiarato di avere altre quaranta canzoni scritte per questo disco e prima o poi le farà uscire tutte.
Chissà se sta dicendo una cazzata.